DEL ROSSO, Paolo
Figlio di Pierozzo, nacque a Firenze nel luglio 1505. La famiglia, detta dei "vajai", di origine' fiorentina, apparteneva alla media borghesia artigiana della città ed era politicamente vicina alla Repubblica: lo testimoniano il bando patito al rientro dei Medici nel 1530 da alcuni suoi appartenenti, probabilmente fratelli del D., e un priorato tenuto nel 1529 da un Del Rosso.
Sulla giovinezza e sulla formazione del D. si hanno poche notizie. Ilario Zampalochi, suo amico, nella "Lettera consolatoria ... per la morte ..." del D. ricorda solamente che "...maneggiò nella sua gioventù così bene l'Armi quanto altro e sempre do[ve] occorse avanzò vinse, e superò i suoi adversarij ...". Educazione militare, dunque, ma anche buona preparazione letteraria se, una volta fuori di Firenze, poté dare alle stampe numerose traduzioni di classici latini, regole di grammatica toscana e versi di vario genere.
Partito da Firenze, fu nel Regno di Napoli al servizio di Anton Francesco Albizzi, che era stato bandito da Firenze nel 1530. Nel 1534, dopo la morte di Clemente VII, l'Albizzi lo mandò come suo ambasciatore da Gaeta a Roma, dove, presso Filippo Strozzi, gli altri fuorusciti fiorentini cercavano di riorganizzarsi e di sfruttare la morte di papa Medici per rientrare a Firenze; ancora nel 1535 era a Napoli, sempre con Anton Francesco Albizzi, in casa di Antonio da Gagliano. Nel 1537 "fu dal Magistrato chiarito rebelle insieme con Amerigo Antinori e 'l Cilucchia, Cencio Bijordi et più altri simili perché s'erano scoperti sulle strade vicino a Fiorenza facendo delli assassinamenti; ma, quanto alle strade, Paulo supplicante non è nominato nella sententia ..." (S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, Roma 1890, I, p. 122), e partecipò alla battaglia di Montemurlo (31 luglio-1º agosto), ultimo sfortunato tentativo compiuto dagli esuli fiorentini di combattere a viso aperto il regime mediceo dopo la presa del potere da parte di Cosimo. Nel corso della battaglia l'Albizzi venne catturato e successivamente, a Firenze, processato e decapitato: rimasto senza protettore il D. restò comunque in contatto con l'ambiente dei fuorusciti.
Fino a circa il 1544 abbiamo documentata solamente la sua attività editoriale e di scrittore: nel 1539 uscirono alcune sue poesie in una raccolta intitolata Versi et regole de la nuova poesia toscana, stampata a Roma per i tipi di Antonio Blado; i destinatari delle poesie del D. erano Paolantonio Soderini, Francesco Corsini, Giovanni Baroncelli, banditi anch'essi da Firenze fin dal 1530. Sempre a Roma e per Blado, uscirono nel 1539 alcuni suoi versi nella traduzione compiuta da Giorgio Dati dei Detti et fattimemorabili di Valerio Massimo. Di questo periodo, passato fra Napoli e Roma, rimangono anche diverse poesie, ancora inedite, che sarebbero andate disperse se il suo amico Ilario Zampalochi, allora residente a Lione, non lo avesse pregato di fargliele ricopiare e di mandargliele (cfr. le poesie e la lettera di accompagnamento allo Zampalochi: Firenze, Bibl. naz., Filze Rinuccini 20).
Nel 1543 si pubblicò a Venezia la sua traduzione dell'Operadelle antichità della città di Roma di Andrea Fulvio, dedicata a Francesco Soderini, fratello di Paolantonio. Dalla lettura di questa dedica possiamo dedurre che i rapporti fra il D. e i rappresentanti dell'importante famiglia fiorentina dovevano essere piuttosto stretti: "I riconoscimenti verso di V. S. de benefici, che ella m'ha fatto, in dedicarle questa mia leggier fatica ... sempre sono per essere ricordevole, de benefici ricevuti e da V. S. e dal vostro fratello, mio sempre osservandissimo messer Paulantonio ...".
Èinvece del 1544 la prima edizione della traduzione delle Vite de XII Cesari di Svetonio, uscita "In Roma, per Antonio Blado asulano ad istanza, e spese di M. Francesco Priscianese Fiorentino": è di nuovo per l'interessamento diretto di un personaggio, vicino alla "diaspora" fiorentina, appunto Francesco Priscianese, che il D. pubblicò questo suo lavoro, dedicato ad Averardo Serristori, ambasciatore di Firenze presso Paolo III.
Nel 1544 era comunque già passato in Francia, come ci indica una lettera del marzo spedita da Marsiglia a Ilario Zampalochi, che risiedeva a Lione. Insieme con questa lettera, nella quale raccontava gli studi su Dante compiuti con altri amici fiorentini, egli inviò all'amico la vita di Plinio da lui scritta e la traduzione del De viris illustribus Romae, operadall'autore incerto ma attribuita dagli editori e curatori cinquecenteschi a Plinio il Giovane ("Gajo Cecilio cognominato poi Plinio Secondo, il più giovane Nipote di G. Plinio, che scrisse la Storia naturale, delli Uomini valorosi, e illustri..."): l'edizione venne stampata da Guglielmo Rovilio a Lione nel 1546 e, sempre nello stesso anno e con la sola sostituzione dell'insegna tipografica, da Gabriele Giolito de' Ferrari a Venezia.
Èquesta l'ultima traduzione di un testo classico da lui data alle stampe, non considerando ovviamente le numerose riedizioni e ristampe di questa e delle precedenti traduzioni che si sono succedute fino al sec. XIX. Un altro frutto del lavoro di questi anni furono le Regole, osservanze, et avvertenze sopra lo scrivere correttamente la lingua volgare toscana, in prosa et in versi, Napoli, per maestro Matteo Cance, 1545. Che di questo piccolo manuale di grammatica fosse autore il D. si ricava dalla lettera di dedica che Domenico Gamucci inviò a Giovanvincenzo Belprato conte d'Aversa: "...che traducendo Messer Paulo del Rosso alchune opere latine in lingua volgare, e scrivendole io mi furo da lui dettate insieme alchune avvertenze di scrivere rettamente; quali se volea correggere, ampliare; et ordinare, io senza dubbio proniettea dedicarle a V. S....". Era dunque principalmente 'il lavoro di traduttore, che dava di che sostentarsi al D. durante questo periodo di forzata lontananza da, Firenze.
In questi anni in Francia un gruppo abbastanza numeroso di Fiorentini, anche in questo caso per la - maggior parte esuli dai tempi di Alessandro de' Medici, aveva formato una colonia piuttosto importante, sia politicamente sia culturalmente. Fra le figure principali di questo gruppo vi erano i due figli di Filippo Strozzi, Piero e Leone, al servizio dei quale si pose il Del Rosso. Leone, che era divenuto nel 1536 capitano delle galee dell'Ordine gerosolimitano di Malta, era passato alla morte del padre al servizio del re di Francia. Non si hanno documenti che attestino la data precisa dell'inizio dei rapporti fra Leone e il D., ma possiamo situarla all'incirca intorno agli anni 1542-43. Al seguito dello Strozzi, il D. divenne cavaliere gerosolimitano e viaggiò, fra gli anni 1546 e 1552, più volte attraverso il Mediterraneo, combattendo anche contro i Turchi. Sono del 1548 un gruppo di lettere conservate presso l'Archivio di Stato di Firenze, scritte a Marsiglia, attraverso le quali viene chiarito in maniera abbastanza precisa il tipo di rapporti che intercorrevano fra il D. e lo Strozzi. In esse il D. nomina quest'ultimo suo "patrono", e per lui si interessa ad una fornitura di armi che sarebbe dovuta giungere da Antonio da Gagliano residente a Lione, a cui sono indirizzate le lettere.
Negli anni fra il 1546 e il 1552 interruppe probabilmente l'attività di scrittore, a parte la produzione di alcune poesie occasionali, per dedicarsi ai viaggi ed alle imprese militari al seguito dei cavalieri gerosolimitani: "...essendo stato per Mare per terra più volte per tutta Italia la Francia la Spagna, l'Inghilterra l'Iscozia il Portogallo Costantinopoli, e quasi in tutte le parti d'Oriente, e d'Occidente..." ricorda Ilario Zampalochi nella "Lettera consolatoria ... mentre si ritrovava in carcere". Fu proprio alla fine di uno di questi viaggi per mare sulle galee degli Strozzi che, a Trapani, fu fatto prigioniero non si sa bene per quale motivo. Rimesso quasi subito in libertà, giunse a Roma nell'anno seguente "per negotij et legationi honorate et importanti alla vostra Religione Hierosolimitana" (ibid.). Cosimo, che lo conosceva come nemico del suo governo e come segretario della famiglia Strozzi, ritenne giunto il momento di farlo prigioniero. Sfruttando la debolezza del papa Giulio III nei suoi confronti, richiese a quest'ultimo la cattura e la consegna nelle mani della giustizia medicea del Del Rosso. Nel luglio 1553 il D. passò da Roma a Firenze e quindi, per alcuni indizi che erano sorti contro di lui riguardo una congiura antimedicea cui avrebbe partecipato, fu condannato a vita a stare rinchiuso nella torre di Pisa. Fino a circa il 1560 dovette patire un regime carcerario piuttosto duro. In seguito, dopo diverse suppliche fatte al duca, poté avere libri e corrispondere con gli amici fuori dal carcere; fino alla fine della detenzione, nel 1566, passò il tempo studiando gli autori toscani e quelli classici. Sempre durante la prigionia scrisse poesie, tradusse i Salmi di Davide, il Trattato dell'anima di Aristotele, e ridusse in terza rima i concetti fondamentali della Fisica di Aristotele. Quest'ultima opera venne pubblicata postuma nel 1578 a Parigi, a cura di lacopo Corbinelli. Dal carcere riuscì comunque a seguire gli avvenimenti più importanti della vita fiorentina, e nel 1564 pubblicò alcuni versi nel volume uscito in occasione, della morte di Michelangelo. Nel gennaio del 1566 venne finalmente liberato per grazia del granduca Cosimo. In questo stesso anno riuscì ad entrare a far parte della più importante e prestigiosa istituzione culturale della città, l'Accademia Fiorentina.
Pubblicò nel 1567, per i Giunti, la traduzione degli Statuti della religione de Cavalieri Gierosolimitani;nel 1568 una poesia sulla statua di Perseo di Benvenuto Cellini e il Comento sopra la Canzone di Guido Cavalcanti (Firenze, presso B. Sermartelli) dedicato a Cosimo.
Il D. morì a Firenze il 13 genn. 1569 e venne sepolto il giorno dopo nella chiesa di S. Marco.
Presso la Biblioteca nazionale di Firenze (Filze Rinuccini 20) sono raccolte numerose poesie scritte in occasione della sua morte e spedite ad Ilario Zampalochi da diversi suoi amici ed estirriatori. Nella stessa filza sono stati riuniti dallo Zampalochi tutti i versi scritti dal D. sia durante il periodo napoletano sia durante la prigionia a Pisa: sono versi di scarso valore letterario, ma che illustrano alcune circostanze della sua vita che sarebbero altrimenti rimaste in ombra: dall'amicizia con il gran maestro dell'Ordine gerosolimitano J. Parisot de La Valette alla completa sottomissione a Cosimo avvenuta durante la prigionia.
Altri manoscritti delle sue rime si conservano presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze, dove è anche conservata una sua traduzione del De senectute di Cicerone non databile con precisione, ma probabilmente riferibile agli anni della prigionia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 3, n. 135, pp. 53-72 (cinque lettere da Marsiglia datate 1548);Firenze, Bibl. naz., Magl. IX.67-68: G. Cinelli, La Toscana letterata, II, pp. 1445-58; III, p. 868; Magl. IX.78: A. M. Biscioni, Giunte alla Toscana letterata del Cinelli, t. 10, pp. 33-36; Ibid., Filze Rinuccini 27, 3 ("Lettera consolatoria scritta da M. Hilario Zampalochi al Cavalier M. Paulo del Rosso mentre si ritrovava in carcere nel Castello di Pisa dove era stato dodici anni Prigione" datata 7 ott. 1563 e "Lettera consolatoria scritta da M. Hilario Zampalochi per la morte del Cavalier M. Paulo del Rosso ad una monaca sua Nepote"). L'unico tentativo di ricostruire la figura del D. è di A. Lorenzoni, Ilcav. P. D. Notizie e scritti inediti, Firenze 1907; altre notizie si ricavano da B. Segni, Storie, Milano 1834, I, p. 182; B. Varchi, Storia fiorentina, Firenze 1841, III, p. 114; I. Nardi, Istorie, Firense 1842, II, p. 267; M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum..., Florentiae 1589, p. 143; G.B. Cini, Vita del serenissimo signor Cosimo de Medici..., Firenze 1611, p. 439; S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, p. 185; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp.449 s.; G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, V, Venezia 1730, p. 130; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 432; IV, ibid. 1743, p. 29; VII, ibid. 1752, p. 129; F. Argelati, Biblioteca degli volgarizzatori, Milano 1767, III, pp. 418-21; IV, pp. 192 s., 669 s.; Delizie degli eruditi toscani, XVI (1783), p. 436; G. Poggiali, Serie di testi di lingua..., Livorno 1813, II, pp. 348 ss.; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., IV, Milano 1833, p. 169; F. Inghirami, Storia della Toscana, Fiesole 1844, XVI, p. 215; A. Ademollo, Marietta De' Ricci ovvero Firenze al tempo dell'assedio, a cura di L. Passerini, Firenze 1845, V, p. 1752; S. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de' Ferrari, I, Roma 1890, pp. 119-23.