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PAOLO da Novi

di Carlo Taviani - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 81 (2014)
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PAOLO da Novi

Carlo Taviani

PAOLO da Novi. – Nacque a Novi Ligure nel 1443 da Giacomo Cattaneo, tintore della seta, e da Giorgetta Pellegrini.

Non si conosce la data del suo insediamento a Genova, dove si traferì per praticare il mestiere del padre. Com’è attestato per molti artigiani inurbati a Genova nella seconda metà del Quattrocento, anche Paolo venne definito solo come «da Novi» senza cognominazione. L’attività della sua tintoria è documentabile attraverso i contratti di accartazione che regolavano il lavoro dei famuli, i ragazzi di bottega ai quali non era corrisposto un salario. Paolo ne ebbe diversi per un periodo di circa dodici anni: nel 1489, nel 1494, poi nel 1496, nel 1497 e nel 1500. Nel 1476 comprò una casa con una porzione di terreno per 800 lire dai monaci cistercensi di S. Maria dello Zerbino; ne acquistò una seconda nel 1484 nella contrada Domoscultae per 225 lire. Un terzo gruppo di beni immobili venne acquisito nella zona della parrocchia di S. Stefano, in via S. Martino. Nel contratto di acquisto della prima casa, Paolo è definito «providus vir, in facultatibus competentibus abundans» (Levati, 1928, p. 470) a significare che non gli mancavano le risorse economiche. Nel 1501 l’Ufficio delle virtù, deputato al controllo della moralità dei cittadini, lo multò per l’abbigliamento della moglie, Bianchinetta da Terrile, considerato troppo lussuoso. Anche quest’ultimo elemento è indice della relativa agiatezza raggiunta dalla coppia.

Le prime informazioni sul ruolo politico di Paolo risalgono al 1502. Il 16 dicembre partecipò a un accordo segreto per il rovesciamento della dominazione francese a Genova iniziata nel 1499. Il patto, firmato da Alessandro Fregoso, vescovo di Ventimiglia, e dall’ambasciatore spagnolo a Roma Francisco de Rojas, stabiliva che i genovesi si sarebbero ribellati ai francesi e avrebbero consegnato la città a Ferdinando il Cattolico. Tutta la casa dei Fregoso siglò il patto in appoggio ad Alessandro e così pure un membro della famiglia Adorno, Carlo. In second’ordine vi erano alcuni rappresentanti della nobiltà (Doria, Lomellini, Grimaldi, Fieschi e Cattaneo) e alcuni populares, mercanti e artigiani (Rolando de Ferrari, Melchiorre de Franchi, Marco da Terrile, Benedetto Roca, Paolo da Novi, Battista de Rapallo, Antonio de Sale, Antonio Sivori, Francesco de Sopori). Non è chiaro se tutti i membri coinvolti dell’accordo fossero partigiani della fazione dei Fregoso, che con gli Adorno si erano contesi il dogato nel corso del Quattrocento ed erano stati esclusi dal governo della città dai francesi a partire dal 1499. Era di parte Fregoso Antonio Sivori, mentre non abbiamo indicazioni né per Paolo da Novi, né per suo cognato, il lanaiolo Marco da Terrile. È invece probabile che i firmatari del patto rappresentassero le diverse componenti politico-cetuali della città e che dunque già a quell’altezza cronologica Paolo esercitasse una certa influenza tra gli artigiani.

Il ruolo di Paolo nella politica cittadina è attestato in maniera crescente a partire dal 1506, con l’inizio della rivolta antinobiliare conosciuta come rivolta delle Cappette, dal nome infamante con cui vennero designati gli artigiani (per via delle cappe che indossavano) e da loro puntualmente ripreso. In un primo momento Paolo ebbe un potere ridotto, perché dall’estate all’autunno del 1506 la componente dei mercanti, guidata dalla famiglia dei Sauli, prevalse sugli artigiani.

Questa fase della rivolta venne caratterizzata dall’elaborazione di una riforma che assegnava i due terzi delle cariche delle magistrature cittadine ai popolari e un terzo ai nobili, modificando l’impianto precedente che prevedeva una ripartizione equa delle cariche fra i due ceti. A rivolta avviata le fazioni degli Adorno e dei Fregoso cercarono di tornare a Genova e di riattivare il proprio consenso in città e nelle riviere, ma il pontefice Giulio II, che appoggiava gli insorti in prospettiva antifrancese, non era interessato a far prevalere le fazioni e preferì servirsi dei mercanti e in particolare della famiglia Sauli, che vantava tra i suoi membri un depositario generale (Paolo). Nello stesso periodo gli artigiani promossero un giuramento contro le fazioni degli Adorno e dei Fregoso, e dei guelfi e dei ghibellini. Il giuramento aveva lo scopo di consolidare i legami fra gli artigiani e spezzare la coesione fazionaria, tradizionalmente trasversale ai ceti.

Al giuramento contro le fazioni parteciparono 1643 persone, tra cui Paolo da Novi. Dal testo (detto Libro di pace e concordia) si deduce che era già considerato uno dei capi della rivolta e che era analfabeta (perché non fu elencato nella lista degli artigiani, ma in quella delle cariche politiche e si giovò dell’aiuto di un notaio per apporre la firma). Tra l’ottobre e il novembre 1506 fu creata la magistratura dei tribuni della plebe composta da nove artigiani (Paolo da Novi, Marco da Terrile, Nicola Pittaluga, Pantaleo Cipollina, Giovanni Scorcino, Battista Rebuffo, Pietro Marengo, Pelegro de Bergamo e Giuseppe Dernice) ed egemonizzata all’inizio da Marco da Terrile. Nel corso dell’autunno, i tribuni presero via via potere esautorando i mercanti, appropriandosi dei beni dei nobili che erano fuggiti e controllando i movimenti di quelli che erano rimasti in città. Negli stessi mesi la rivolta assunse una connotazione antifrancese e i nobili fornirono a Luigi XII il denaro per il pagamento di un esercito che avrebbe dovuto riconquistare Genova. Alla metà di ottobre gli artigiani diedero vita a un’offensiva militare nella riviera di Ponente per la conquista delle zone nelle mani dei nobili: Pieve di Teco e la Valle Aroscia degli Spinola e Monaco dei Grimaldi. Nella seduta del 20 gennaio 1507, Paolo stabilì la strategia per condurre le operazioni militari: chiese che fossero reperiti 155.000 ducati e costruite 25 galee. Nelle settimane successive si dedicò all’assedio di Monaco: in un primo momento organizzando le compagnie di artigiani che venivano inviate da Genova, poi, dall’inizio di marzo, con l’incarico di commissario al campo.

Nell’assemblea del 10 aprile 1507, dopo che fu scartata la possibilità di mettere il governo di Genova nelle mani degli Adorno o dei Fregoso, Paolo fu nominato doge. Durante l’atto di consacrazione giurò sulle convenzioni degli artigiani, come prima di lui aveva fatto solo il doge Pietro Campofregoso (1454). L’attività di Paolo è attestata da alcune lettere, redatte dai suoi cancellieri, che attraverso un articolato armamentario retorico miravano al coinvolgimento progressivo degli abitanti delle riviere nei processi della rivolta. Oltre a organizzare da Genova la difesa delle riviere e della costa, Paolo indisse alcune processioni religiose coadiuvato dal cancelliere Raffaele Ponsone, che aveva curato nei mesi precedenti i rituali di pacificazione degli artigiani e il giuramento contro le fazioni. Nello stesso periodo fece coniare nuove monete (i testoni) con la scritta «Libertas populi Ianuensis». Verso la fine di aprile, Luigi XII, a capo di un esercito, arrivò a Genova e la città fu costretta alla resa. Il re, entrato in città da pacificatore, inscenò un rituale che conferiva il perdono ai cittadini e puniva i responsabili principali della rivolta.

Paolo era fuggito verso Bologna e la sua casa venne rasa al suolo. Imbarcatosi a Pisa su un brigantino, venne catturato per la delazione del padrone dell’imbarcazione e condotto a Genova. Fu giustiziato mediante decapitazione il 15 giugno 1507. La sua testa e il suo corpo squartato furono esposti in diverse zone della città.

Dal matrimonio con Bianchinetta da Terrile, avvenuto nel 1464, nacquero Domenico, Antonio e Francesca. I due figli maschi, inizialmente banditi, furono graziati e ritornarono a Genova. La fortuna della figura di Paolo da Novi è attestata dalle cronache genovesi e dalle opere francesi che celebrarono la presa di Genova di Luigi XII. Nell’Ottocento Michele Giuseppe Canale, riprendendo le vicende di Paolo che aveva combattutto contro i francesi, scrisse un romanzo in chiave patriottica. Sulla base di questo romanzo Goffredo Mameli compose un abbozzo per una tragedia.

Fonti e bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, 664, 666 (in particolare c. 93r, elezione dei tribuni della plebe), 667, 668, 1821, 1822, 1824, 1825, 2707 C, 2780, 2177, 3083, 3084; Mss., 137, cc. 1r-11v (riforma delle cariche); Biblioteca civica, Mr. I.9 (Libro di pace e concordia); Madrid, Real Academia de la Historia, N.41, cc. 20r-v (accordi tra Alessandro Fregoso e Francisco de Rojas); Ibid., Archivio Doria, scat. 417, n. 1912 (G. Salvago, Historie di Genova); Ibid., Facoltà di lettere e filosofia, database ARTIGEN (contratti di accartazione dei famuli); Parigi, Archives nationales, J.499, n. 40 (accordi tra i nobili genovesi e Luigi XII).

P.A. Sbertoli, Cenni sul doge P. da N., in Giornale degli studiosi, Genova 1871; M. Staglieno, Intorno al doge P. da N. e alla sua famiglia, in Atti della Società ligure di storia patria, XIII (1879), pp. 487-494; L.G. Pélissier, Documents pour l’histoire de l’établissement de la domination française à Gênes, in Atti della Società ligure di storia patria, XXIV (1892), pp. 477-500; E. Pandiani, Un anno di storia genovese (Giugno 1506- 1507). Con diario e documenti inediti, ibid., XXXVII (1905), ad ind.; L. Levati, I dogi perpetui della Repubblica di Genova, Genova 1928, pp. 466-482; B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria ab anno MCDLXXXVIII usque ad annum MDXIV, a cura di E. Pandiani, in Rerum Italicarum Scriptores, XXIV, Bologna 1929-1932, pp. 88-119; G. Roccatagliata, La moda, i fasti e le leggi suntuarie nel ‘500 a Genova, in La storia dei genovesi, IV, Genova 1984, pp. 77-88; A. Pacini, I presupposti politici del secolo dei genovesi. La riforma del 1528, in Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXX, 1 (1990), ad ind.; R. Savelli, Il problema della giustizia a Genova nella legislazione di primo Cinquecento, in Studi in onore di Franca De Marini Avonzo, a cura di M. Bianchini - G. Viarengo, Torino 1999, pp. 329-350; C. Taviani, Superba discordia. Guerra, rivolta e pacificazione nella Genova di primo Cinquecento, Roma 2008, ad indicem.

Vedi anche
Andrea Dòria Dòria, Andrea. - Principe di Melfi (Oneglia 1466 - Genova 1560), è stato un condottiero e ammiraglio della repubblica di Genova. Vita e attività. Rimasto orfano giovanissimo, fu avviato alla professione delle armi, e divenne presto un abile condottiero; fu al servizio di varî signori e, tra il 1503 e ... Battista II Fregóso Fregóso, Battista II. - Doge di Genova (Genova 1453 - Roma 1504). Figlio del doge Pietro II e di Bartolomea Grimaldi, visse la sua adolescenza a Piombino presso Emanuele Appiani. Nel 1478 con un colpo di mano si impadronì di Genova e fu doge fino al 1483 quando fu costretto ad abdicare da suo zio Paolo ... Antoniotto Fregóso Fregóso, Antoniotto. - Poeta (m. dopo il 1532), il cui nome d'arte è Antonio Filèremo, figlio naturale legittimo di Spinetta II Fregoso, ch'era stato doge di Genova nel 1461 (m. 1470) e il capostipite dei Fregoso di Milano. Entrò assai presto nella corte sforzesca (1464), ove fu assai benvoluto. Carissimo ... Carlo VI re di Francia, detto il Folle Figlio (Parigi 1368 - ivi 1422) di Carlo V e di Giovanna di Borbone, successe nel 1380 al padre, sotto la tutela, fino al 1388, degli zii duchi di Borgogna, di Berry e d'Angiò; nel 1385 sposò Isabella di Baviera. Nel 1386 tentò, senza successo, una spedizione contro gli Inglesi. Impazzito verso il 1392, ...
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Vocabolario
poetae novi
poetae novi 〈poète nòvi〉 locuz. lat. (propr. «poeti nuovi»), usata in ital. come s. m. pl. – Espressione latina con cui Cicerone definì il gruppo di poeti che egli stesso chiama anche, con termine greco pressoché equivalente, neòteroi (v.)....
pàolo
paolo pàolo s. m. [dal nome del pontefice Paolo III]. – Nome dato al grosso papale (detto anche giulio) a cominciare dal pontificato di Paolo III (1534-1549), che lo volle aumentato di peso e migliorato di titolo; il nome fu poi esteso...
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