PAOLO da Chioggia
PAOLO da Chioggia (Giovanni Barbieri). – Nacque tra il 1479 e il 1480 a Chioggia, figlio del barbiere cerusico Dante (dalla cui professione pare derivare l’appellativo de Barberiis o Barbieri diventato cognome) e di Pellegrina Sambo.
I genitori lo battezzarono col nome di Giovanni, avviandolo al sacerdozio e agli studi giuridici.
La biografia di Paolo da Chioggia, personalità di rilievo per la storia delle origini dei Cappuccini, è stata raccontata in maniera diversa dai due cronisti che ne hanno tramandato la memoria, rispettivamente Mario Fabiani da Mercato Saraceno, nella sua prima relazione sulle origini dell’Ordine (databile al 1565) e il noto musicista clodiense don Giuseppe Zarlino, nella Informatione intorno la origine della congregatione de i reverendi frati capuccini, pubblicata a Venezia nel 1579. Secondo la critica moderna, il primo, cui si uniformò la storiografia ufficiale cappuccina, appare più attendibile per gli ultimi anni di Paolo da Chioggia, mentre il secondo (che scriveva per attribuire proprio al religioso suo concittadino il primato di autore della riforma cappuccina togliendolo a Matteo da Bascio) è utile per le notizie sul periodo di permanenza nella città natale.
Nel giugno 1504 iniziò la professione notarile e nel 1505 ricevette l’ordinazione sacerdotale, seguita, nel 1508, dalla nomina a cancelliere della Curia episcopale di Chioggia da parte del vescovo Bernardino Venier. Alla fine del 1512, però, assumendo il nome di Paolo, lasciò la Curia per unirsi (insieme con un compagno, Bartolomeo Zarlino, zio del musicista Giuseppe) ai francescani osservanti del convento cittadino di S. Francesco, attirato dall’aspirazione a una vita religiosa conforme al dettato evangelico. Dopo pochi anni, presumibilmente nel 1518, abbandonò anche questo Ordine, trovandolo lontano dai propri ideali, per condurre a Chioggia, restando sacerdote, una vita di preghiera, ritiro e povertà, scalzo e coperto da un semplice e rozzo saio che Zarlino descrisse come il primo abito cappuccino della storia. Da uno zio mastro remaio, Matteo, apprese l’arte di lavorare il legno che perfezionò imparando a scolpire soggetti sacri.
Una tradizione tendente all’agiografia attribuisce il suo abbandono del convento alla necessità di assistere la sua famiglia, che si sarebbe ridotta in condizioni di bisogno dopo la morte del padre. Non appare credibile, però, che un uomo votato alla povertà potesse mantenere la madre, un fratello e tre sorelle. La sua tormentata vocazione, che gli valse qualche giudizio di esagerazione e fanatismo senza però essere mai ostacolata dalle autorità, riflette l’aspirazione a un francescanesimo radicale propria dei primi cappuccini, ma anche il clima di forte tensione religiosa che si visse a Chioggia durante tutto il lungo episcopato di Venier (1487-1535), rafforzato dalla narrazione di un’apparizione mariana a Sottomarina (24 giugno 1508) e dalle sofferenze causate dalla dura guerra mossa contro Venezia dalla Lega di Cambrai.
Considerandosi sempre un consacrato francescano, verso la metà del 1526, forse dopo un controverso incontro con il frate osservante Angelico dalla Fratta di Perugia (Umbertide), compì un pellegrinaggio ad Assisi e, attraversando le Marche, conobbe fra’ Matteo Serafini da Bascio, uno degli osservanti che avevano ottenuto il permesso di praticare la vita eremitica fuori dal convento (tra i quali i fratelli Ludovico e Raffaele Tenaglia da Fossombrone) e che stavano per dare inizio alla riforma cappuccina, e si unì a lui nel luogo dove fra’ Matteo si era stabilito, un tugurio presso la chiesetta di S. Martino di Cerreto d’Esi. Paolo da Chioggia condivise la vita poverissima di Matteo da Bascio aiutandolo nella predicazione, nella celebrazione della messa a Cerreto, nei paesi vicini e, tra il 1527 e il 1528, nell’assistenza agli appestati di Fabriano. In quel periodo, per la chiesa collegiata di Cerreto d’Esi, S. Maria della Piazza, scolpì un grande crocifisso ligneo di pregevole fattura naturalistica, tuttora esistente e unica sua scultura conosciuta.
È ipotizzabile, ma non provato, che abbia aiutato Ludovico da Fossombrone a scrivere il documento presentato a Clemente VII che portò alla bolla Religionis zelus, del 3 luglio 1528, con cui si autorizzava l’avvio di una nuova riforma francescana, alla quale aderì subito con gli altri. Nell’aprile 1529, dopo che il primo capitolo cappuccino, svoltosi nell’eremo di S. Maria dell’Acquarella presso Albacina, lo elesse quarto definitore, Paolo da Chioggia contribuì, grazie alla sua preparazione canonica, alla redazione in volgare della prima legislazione cappuccina, le cosiddette Costituzioni di Albacina, che quasi certamente tradusse poi in latino.
Nella primavera del 1528 tornò per un breve periodo a Chioggia. L’epoca del viaggio, così prossima alla pubblicazione della Religionis zelus, potrebbe far supporre che abbia tentato, troppo presto, di introdurre nella sua città la nuova forma di vita religiosa, ancora non regolamentata e sempre ostacolata dagli Osservanti. Di fatto poté solo riorganizzarvi la Confraternita del Ss. Crocifisso, detta dei Battuti o Scuola della Disciplina. Poi rientrò nelle Marche per il Capitolo, lasciando a Chioggia un compagno, fra’ Pacifico, che vi restò per poco tempo
In seguito si spostò in altre località marchigiane per predicare. Durante una di queste missioni, a Pennabilli, si ammalò gravemente e morì, confortato da Matteo da Bascio accorso al suo capezzale, il 3 aprile 1530 o 1531. Le sue spoglie furono sepolte nella chiesa degli agostiniani.
Fonti e Bibl.: I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C. Cargnoni, I-III, V, Perugia 1988-1993, ad ind.; Lexicon Capuccinum, Romæ 1951, pp. 1298 s.; S. Tramontin, I primi cappuccini veneti, in Le origini dei cappuccini veneti. Studi per il 450° di fondazione (1535-1985), Venezia-Mestre 1988, pp. 29-33, 36, 39, 40 s.; C. Urbanelli, P. da C. primo cappuccino veneto e la riforma cappuccina, ibid., pp. 67-77; A. Antonelli - G. Castagnari, Abbazie e castelli della Comunità montana Alta Valle dell’Esino, Recanati 1990, p. 272; G. Donnini - E. Parisi Presicce, Tesori d’arte tra Fabriano e Cupramontana, Fabriano 1994, p. 106; Lorenzo da Fara, I Cappuccini veneti. La storia e lo spirito, Limena 1994, pp. 44-47.