COTTRAU, Paolo
Di famiglia di antiche origini francesi, nacque a Napoli il 28 ott. 1837 da Guglielmo e da Giovanna Cirillo. Nipote di Napoleone Scrugli di Tropea, capitano di vascello nella marina borbonica e poi viceammiraglio e senatore del Regno d'Italia, il C. intraprese la carriera militare nella marina napoletana, raggiungendo nel 1853 il grado di guardiamarina e nel 1859 quello di sottotenente di vascello.
Nel maggio del 1860 la marina borbonica effettuò un tentativo piuttosto blando di intercettare Garibaldi; ma dopo le prime vittorie di questo e l'arrivo in Sicilia di alcuni legni piemontesi, abbandonò del tutto ogni velleità di combattimento: la maggior parte degli ufficiali non aveva alcun desiderio di impegnarsi, ed era anzi attirata dalle promesse di promozioni e di ricompense fatte dalla marina sarda. In questa atmosfera di incertezza e di segrete intese il C. presentò le proprie dimissioni e si recò in Sicilia ad offrire i propri servigi a Garibaldi. Ben poco, tuttavia, poté fare perché la marina siciliana, ricca di buon personale, difettava alquanto di naviglio. Passato nella marina sarda egli partecipò nel febbraio del 1861 al blocco e all'assedio di Gaeta, imbarcato sul vascello "Re galantuomo". La nave si distinse attaccando con le artiglierie la piazzaforte e il C. ebbe modo di meritare, per il proprio comportamento, la medaglia d'argento.
Occupato successivamente presso il ministero della Marina, fu promosso capitano di fregata l'8 dic. 1867 e cominciò a segnalarsi come studioso di problemi di artiglieria. Nel '70 venne chiamato a reggere una nuova sezione della direzione generale del materiale; da questa nel 1874 ebbe origine la direzione generale di artiglieria e torpedini tenuta da A. Albini e divisa nelle due sezioni, torpedini ed artiglieria, la seconda delle quali restò affidata al Cottrau. Partecipò durante questo periodo a diversi esperimenti effettuati al balipedio di Viareggio su problemi del caricamento dei cannoni, dell'impiego della canna rigata, della composizione della carica, della costruzione di granate e del tiro con proiettili perforanti; due relazioni vennero dal C. pubblicate sulla Rivista marittima (Esperimenti fatti al poligono di Viareggio con due cannoni da 20 cm ARC, VI [1873], 6, pp. 422-444; Il cannone Palliser da 165 mm della Regia Marina, VII [1874], 5, pp. 220-242; 6, pp. 392-420).Stimato profondamente dall'Albini, egli fu promosso contrammiraglio il 20 sett. 1887, e assunse l'anno successivo la direzione generale di artiglieria e armamenti con il compito, tra gli altri, di studiare l'applicazione e lo sviluppo delle nuove armi di offesa subacquea. In questa carica, e dopo aver ricevuto la promozione a viceammiraglio, lo colse la morte a Roma il 23 febbr. 1896.
Il C. fu soprattutto uno studioso, esperto in particolare di balistica, e produsse diversi lavori di carattere tecnico. Il ministro della Marina C. Morin disse, alla morte di lui, che alla sua scuola si era formata tutta una serie di studiosi e che il suo esempio e i suoi incoraggiamenti erano serviti a diffondere, in un'epoca in cui lo studio tecnico non era spesso adeguatamente apprezzato, il gusto della cultura e l'amore per la ricerca tra le diverse classi degli ufficiali. Ma il C. si occupò anche dei problemi più generali della politica navale italiana e dello sviluppo della flotta, e su questa sua attività il giudizio deve essere più articolato. Il suo pensiero di base era che per l'Italia fosse assolutamente necessario ottenere il controllo del mare, intendendosi con questo la supremazia su un'ampia fascia tutt'attorno alla penisola e alle isole italiane. Questa sua asserzione era in relazione con la politica estera del tempo, che aveva portato alla Triplice e quindi all'alleanza con l'Austria. Fugato quindi, almeno in teoria, il pericolo di un attacco terrestre dal Veneto, si doveva considerare come probabile avversario la Francia. Questa ultima difficilmente avrebbe potuto ottenere un successo decisivo sul fronte alpino, ma, sfruttando la propria superiorità marittima, avrebbe potuto sbarcare un corpo di spedizione ed attaccare alle spalle lo schieramento dell'esercito italiano. Dimostrata l'inutilità delle vecchie forme di difesa ed in particolare delle fortificazioni costiere, si rendevano necessari una flotta numerosa e ben armata ed un servizio di esplorazione e di scoperta perfettamente ordinato e dotato di navi veloci. Anzi, ribadiva il C., non si doveva curare prioritariamente l'esercito e a questo dedicare le principali risorse; era più opportuno sviluppare le forze navali: l'armata di terra ben poco avrebbe potuto fare se presa alle spalle. Tali argomentazioni, anche se unilaterali, erano allora ampiamente diffuse nella marina, ed in particolare eccessiva era la sicurezza che l'esercito non sarebbe stato impegnato ad oriente. Suscitatrice invece di ampie polemiche fu la posizione assunta dal C. quando passò a trattare con quali mezzi si doveva raggiungere il controllo del mare. Nel 1880 era stata completata la corazzata "Duilio": il criterio che ne aveva ispirato la costruzione era stato quello di realizzare un'unità che fosse più potente, per artiglierie e per protezione, di tutte le navi dell'epoca. In effetti la "Duilio" rappresentò allora, per le sue caratteristiche, qualche cosa di veramente nuovo: di grandissime dimensioni, con elevata velocità, priva di alberatura e dotata di quattro grossi calibri montati su torri girevoli. Nel 1882 l'aveva seguita, con le stesse caratteristiche, la "Dandolo", mentre già erano state impostate altre due unità di dimensioni ancora maggiori: "Italia" e "Lepanto". Il C. contestò questa linea; si trattava a suo avviso non già di costruire poche grandi corazzate, ma di mettere in cantiere, e subito, un notevole numero di unità di medie dimensioni in grado di competere con i tipi esistenti presso le diverse potenze europee. Infatti dopo la battaglia di Lissa la marina si era assai poco sviluppata, e aveva in servizio vecchie navi che avrebbero potuto essere colate a picco in pochi minuti. Appariva urgente quindi rinnovare tutto il materiale mettendo in linea almeno sedici navi di dimensioni limitate ma in grado di sviluppare una notevole capacità offensiva. Completato il nucleo di navi da battaglia, si doveva puntare sull'allestimento di un certo numero di arieti dotati di artiglieria e torpedini, navi per il servizio di crociera, ed infine torpediniere velocissime di notevoli dimensioni capaci di seguire la squadra da battaglia ed attaccare le corazzate avversarie. Questa concezione urtava profondamente con la linea ufficialmente adottata dai ministri S. di Saint Bon e B. Brin, principali ispiratori delle grandi corazzate, i quali, già precedentemente attaccati, ritennero opportuno intervenire con la pubblicazione di due opuscoli in difesa del loro operato (rispettivamente: La nostra Marina militare, Roma 1881, dove il C. è indicato, a pag. 151, solo col titolo del suo lavoro Abbiamo urgente bisogno di navi, Roma 1880; e La questione delle navi, Torino 1881, dove il C. è indicato alle pp. 23, 42, 44, 60). La posizione del C., ad ogni modo, sembrò prevalere quando il Brin venne sostituito al ministero da F. Acton, che impresse un indirizzo favorevole alla costruzione di piccole navi rifacendosi, tra l'altro, alle idee diffuse in Francia dall'ammiraglio H.L.T. Aube (la cosidetta "jeune école"). Ma dopo pochi anni questa linea venne abbandonata. Certo si poteva esprimere preoccupazione per la costruzione, se non della "Duilio", certo dell'"Italia", unità d'avanguardia ma con una autonomia eccessiva per una marina che avrebbe dovuto avere interessi mediterranei e sostanzialmente difensivi; ma il proporre la costruzione di tante unità di limitate dimensioni, come faceva il C., non avrebbe certo giovato al bilancio; senza dubbio si sarebbe speso di più che per la costruzione di poche unità grandissime. Inoltre le prime, per le loro stesse caratteristiche, in un breve volgere di anni sarebbero divenute mediocri e poi in breve superate tanto da costringere alla loro sostituzione. Giusto era rilevare l'importanza del naviglio leggero per la difesa, ed esatto infine era il ruolo assegnato alle nuove armi ed in specie al siluro. Ma appare strano che proprio uno studioso di artiglieria avesse ancora fiducia in un'arma come l'ariete, che stava ormai passando rapidamente in disuso, e non prendesse in sufficiente considerazione il rapido progresso delle artiglierie che avrebbe reso sempre più frequenti, ed anche risolutivi, i combattimenti a notevole distanza.
Del C. ricordiamo inoltre Maris imperium obtinendum, in Rivista marittima, XV (1882), 7-8, pp. 33-54.
Fonti e Bibl.: Ministero della Difesa, Archivio dell'Ufficio storico della Marina, Fascicolo personale;necrol., in Il Secolo, 23-24 febbr. 1896, e in Riv. marittima, XXIX(1896), 3, pp. 631 s.; C. Peillon di Persano, Campagna navale degli anni 1860 e1861. Diario privato-politico-militare, Torino 1880, p. 94; A. V. Vecchi, Mem. di un luogotenente di vascello, Roma 1896, pp. 86, 126, 333, 340; G. Sticca, Gli scrittori militari ital., Torino 1912, p. 357; Jack La Bolina [A.V. Vecchi], Cronachette del Risorgimento italiano, Firenze 1920, p. 327; M. Gabriele, Da Marsala allo stretto. Aspetti navali della campagna di Sicilia, Milano 1961, p. 150; G. Galuppini, Il ministero della Marina 1863-1966, Roma 1970, pp. 5, 10, 13, 16, 18, 22; Enc. milit., III, ad vocem; Diz. del Risorg. ital., II, p. 772.