CORTESE, Paolo
Di famiglia originaria della Basilicata, nacque a Napoli il 15 dic. 1827 da Luca e Rosa Papa. Avviato agli studi giuridici, unì nei suoi anni giovanili la passione per queste discipline ad una sincera fede liberale. Lo troviamo così nel gennaio 1848 capitanare, insieme con l'amico Filippo Agresti, una rivolta nella provincia di Potenza e, nei mesi successivi, partecipare con notevole entusiasmo a quella breve stagione liberale che si aprì nel Regno delle Due Sicilie con la concessione della carta costituzionale da parte di Ferdinando II. Questo intenso impegno politico non gli impedì comunque, nel corso di quel medesimo anno (giugno), di conseguire la laurea in legge e intraprendere la professione di avvocato.
Negli anni successivi il C. continuò a impegnarsi attivamente contro il regime borbonico, ed ebbe per questo non poche noie da parte delle autorità governative, anche se nel 1854 la Camera del Consiglio di Napoli giudicò che non vi fosse luogo a procedere penalmente nei suoi confronti. Sempre più vicino alle posizioni moderate filo-piemontesi, lo troviamo nel '60 a Napoli tra gli aderenti al "Comitato dell'Ordine" che invano tentò di promuovere, sotto gli auspici del Cavour, l'insurrezione della città prima della venuta di Garibaldi.
"Unitario sinceramente monarchico costituzionale", come amava definirsi, venne eletto, dopo l'Unità, deputato del popolare collegio di Napoli, nelle elezioni supplettive che si tennero il 21 dic. 1862 : Alla Camera egli fu tra gli esponenti più in vista della Destra liberale, sforzandosi sempre di mantenere un'autonomia di giudizio ed una onestà intellettuale che, in alcune circostanze, lo portò a trovarsi in disaccordo dalla maggioranza parlamentare e governativa cui egli apparteneva. La sua indubbia abilità e preparazione in campo giuridico e finanziario lo portarono ben presto a mettersi in luce nei numerosi uffici cui era stato chiamato a far parte. Fu autore, tra l'altro, nel '64 di un'apprezzata relazione sul progetto presentato dal Pisanelli, relativo alla soppressione delle corporazioni religiose e all'ordinamento dell'asse ecclesiastico, materia sulla quale doveva in seguito tornare più volte. Fu così che il Sella, nel giugno del '65, lo volle con se al dicastero delle Finanze in qualità di segretario generale e appena due mesi dopo, esattamente il 10 agosto, venne nominato dal Lamarmora, allora presidente del Consiglio, ministro di Grazia e Giustizia, in sostituzione del dimissionario senatore Vacca.
Sebbene ristretta ad un periodo di tempo piuttosto limitato (il governo di cui era stato chiamato a far parte cadde il 31 dicembre di quello stesso anno), la sua attività di ministro fu assai solerte. Egli si adoperò, tra molte altre cose, per far trasferire il dicastero da Torino a Firenze, come stabilito negli accordi della "convenzione di settembre"; firmò il codice di procedura penale e il regolamento sullo stato civile italiano; tentò infine di procedere ad un organico riordinamento della magistratura e delle circoscrizioni giudiziarie, al fine di rimuovere quei macroscopici intralci che tanto ostacolavano una efficace amministrazione della giustizia; ma interessi di natura politica ed elettoralistica bloccarono la sua iniziativa.
Ma la fama maggiore del C., quella per cui ancor oggi è soprattutto ricordato, è legata al progetto legge che, insieme con il Sella, presentò in Parlamento il 13 dic. 1865, riguardante la liquidazione dei beni dell'asse ecclesiastico e la soppressione delle corporazioni religiose. Ispirato a rigidi principi giusnaturalistici, il progetto, che veniva ad inserirsi in una ampia letteratura in proposito, disponeva che tutte le temporalità ecclesiastiche e tutti i beni destinati alle spese di culto fossero sottoposti al controllo del governo e regolati dalla legge civile. Riduceva, inoltre, il numero delle mense vescovili, regolava rigorosamente la situazione delle parrocchie, uniformava e laicizzava l'amministrazione delle chiese.
Stabiliva quindi il nulla osta del governo per le visite dei superiori ecclesiastici stranieri, l'assenso governativo per i concili nazionali metropolitani e diocesani; disponeva ancora che sarebbero stati riconosciuti solamente quei "parroci nominati secondo le disposizioni del Concilio di Trento, degli aventi diritto alla nomina", e che, presso ogni chiesa cattedrale o parrocchiale, si istituisse una sorta di consiglio, avente la rappresentanza di tutte le temporalità della chiesa. Al medesimo disegno di legge, infine, era annessa una dettagliata relazione storico-statistica che conteneva un abbozzo di storia di ciascuna sede vescovile ed arcivescovile.
Il progetto, sottoposto al parere di una commissione della Camera, di cui facevano parte il Lanza, il Pisanelli e il Raeli fu convertito in legge il 7 luglio 1866 con alcune aggiunte e modificazioni, solo però per la parte relativa alla soppressione delle corporazioni religiose (l'imminente conflitto con l'Austria non lasciava infatti spazio alla discussione dell'intera questione).
Dopo quell'esperienza il C. non ebbe più incarichi governativi, ma eletto nel '65 per il collegio di Potenza che due anni dopo gli riconfermò il mandato e successivamente, nel '71, in quello di Agnone, mantenne ugualmente un forte impegno nella vita politica e civile del paese. Tra gli incarichi che ricoprì in questi anni ricordiamo quello di commissario della Cassa depositi e prestiti, di membro delle commissioni Bilancio e Grazia e Giustizia. Ebbe, inoltre, parte attiva in discussioni su importanti disegni di legge come quello riguardante le incompatibilità parlamentari e l'ordinamento dell'amministrazione centrale e provinciale. Si interessò poi della questione intorno alla liquidazione dei beni dell'asse ecclesiastico e della soppressione delle corporazioni nella provincia di Roma. Nei suoi intendimenti, come ripeteva sulle colonne della napoletana Unità nazionale, quest'ultima doveva essere totale, integrale, "la stessa di quella già irrevocabilmente fatta per le altre provincie dello Stato".
Nel '74, avvertendo i segni di una grave malattia, si ritirò dalla vita politica e due anni dopo, il 21 dic. 1876, si, spense nella nativa Napoli all'età di soli quarantanove anni. Di lui ci rimangono alcune poesie ispirate a momenti e protagonisti particolarmente significativi del nostro Risorgimento.
Fonti e Bibl.: Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Discussioni, legislature VIII, IX, X, XI (anni 1962-1874), ad Indices; R. Brienza, Il martirologio della Lucania, Potenza 1882, p. 210; R. Conforti, La proprietà ecclesiastica. Riordinamento, conservaz. ed amministrazione, Napoli 1885, pp. 34 ss.; M. Falco, Il riordin. della proprietà ecclesiastica, Torino 1910, p. 26; S. Jacini, La politica eccles. da Villafranca a P. Pia, Bari 1933, passim;A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino 1952, pp. 249 s.; S. Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplom. d'Italia, Napoli 1939-52, I, p. 463; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, Salerno 1957, II, pp. 128-130; T. Pedio, La Basilicata nel Risorg. politico italiano, Potenza 1962, pp. 189, 190, 237, 289; F. Margiotta Broglio, Italia e S. Sede dalla grande guerra alla Conciliazione. Aspetti polit. e giuridici, Bari 1966, pp. 214 s., 225 s.; M. D'Addio, Politica e magistratura (1848-1876), Milano 1966, ad Indicem; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, V, Milano 1968, p. 315; Storia del Parlamento italiano, a cura di N. Rodolico, Palermo 1969-75, VI-VIII, ad Indices; T.Sarti, Il Parlamento subalpino e naz., Roma 1896, p. 316; Diz. del Risorg. naz. II, p. 757; A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, I, p. 289.