CORRER, Paolo
Patrizio veneziano, nato nel 1380 da Filippo di Nicolò, del ramo a Castello, e da Chiara Venier di Francesco. La famiglia, che pure contava su prestigiose parentele nell'ambito ecclesiastico (una sorella paterna, Caterina, fu madre del cardinale Angelo Barbarigo, un'altra - Bariola - del papa Eugenio IV Condulmer, e il loro fratello Angelo, vescovo di Castello nel 1386, quattro anni dopo diveniva patriarca di Costantinopoli e referendario del papa Bonifacio IX), non era particolarmente ricca o, perlomeno, non lo era in misura bastante a soddisfare le ambizioni del C. e dei suoi numerosi fratelli.
L'occasione per sfuggire ad una vita che sembrava ormai segnata dalla normale carriera politica riservata ai nobili di modeste risorse giunse nel novembre del 1406, allorché il vecchio zio fu eletto al pontificato col nome di Gregorio XII. Correvano, per la Chiesa, gli anni difficili dello scisma, che sembrava eternarsi con la puntuale successione, da una parte e dall'altra, di esponenti italiani e francesi. Tuttavia la volontà di superare una divisione, dolorosamente avvertita da ogni coscienza sinceramente religiosa, aveva condizionato l'elevazione al soglio del Correr all'impegno di non creare nuovi cardinali e di dimettersi, qualora Benedetto XIII avesse fatto altrettanto. Senonché, il Collegio romano non aveva tenuto conto dell'influenza - puntualmente sottolineata da quasi tutte le fonti - che sul prelato avrebbero esercitato il fratello ed i nipoti. Filippo, che sino a quel momento non aveva ricoperto incarichi di rilievo nel mondo politico veneziano (nel 1394 era stato castellano a Modone; quattro anni dopo podestà a Chioggia), il 28 marzo 1407 diventava, d'un tratto, procuratore di S. Marco; suo figlio Antonio vescovo di Bologna, in quello stesso 1407, e cardinale l'anno seguente.
Colui, però, che più d'ogni altro seppe approfittare della situazione fu certamente il C.: trasferitosi a Roma, indusse lo zio a rivolgersi alla Repubblica veneta per chiedere la revoca di una legge che proibiva ai patrizi di accettare doni e impieghi da principi o pontefici; dopo di che ottenne l'investitura, in qualità di vicario, di un ampio patrimonio nelle Marche, al confine con la Romagna, tra Sant'Agata e Penna di Bigli. Ancora, il 28 giugno 1407 sostituiva Paolo Orsini nell'incarico di capitano generale della Chiesa e, di lì a qualche mese, riusciva a farsi consegnare 26.000 ducati versati dal re di Napoli, Ladislao, alla Camera apostolica. Toccava a lui, infatti, di preparare il viaggio del papa a Savona, dove si sarebbe incontrato con Benedetto: ottenute pertanto da Siena e Firenze le indispensabili garanzie per il passaggio delle truppe pontificie, nella primavera del 1408 accompagnò a Lucca lo zio, alla testa di trecento cavalieri. Proprio qui, tuttavia, la situazione doveva precipitare: Gregorio non aveva alcuna intenzione di proseguire per Savona e, di fronte a questo atteggiamento, i suoi stessi cardinali l'abbandonarono, per recarsi a Pisa. Il discredito del vecchio pontefice era ormai inarrestabile, e ad aggravarlo contribuiva la spregiudicata condotta del nipote che, non pago delle numerose confische di beni attuate nei confronti di veri o presunti nemici della S. Sede, giunse addirittura a consegnare a Ladislao il vicariato di Roma, per 15.000 fiorini. Il tracollo delle sue fortune era però imminente, e quando il Concilio pisano costrinse Gregorio all'esilio al C. non rimase che ritornare in patria.
A Venezia, tuttavia, non arrivava un vinto, ma un giovane colto, ricco e ambizioso, rapidamente maturatosi a contatto con la diplomazia internazionale. Nonostante l'inimicizia col doge Michele Steno, egli seppe inserirsi autorevolmente nel mondo politico della Repubblica: nel 1412 sposò Daria Emo di Filippo, che gli portò in dote 1.300 ducati, e due anni dopo, in qualità di consigliere, sostituì pro tempore il nuovo doge Tommaso Mocenigo, che al momento dell'elezione si trovava a Cremona; il rettorato a Zara, di cui venne nominato capitano nel 1418, sancì definitivamente il suo prestigio. Erano gli anni in cui la Repubblica contendeva con successo la Dalmazia all'Ungheria, ed al C. fu affidata la responsabilità di gran parte del dispositivo militare della regione; rafforzata nel 1420 la sicurezza di Traù, l'anno seguente, in collaborazione con i rettori di Sebenico e Spalato, riuscì ad avere ragione della riottosa nobiltà locale, che faceva capo al conte di Cetinje. La posizione di Venezia ne risultò talmente consolidata, che già nel settembre 1421 il Senato era in grado di ordinare l'esecuzione del nuovo catastico, riguardante i territori di Zara, Nona, Vrana e Novegradi. Rientrato nella dominante, prese parte nel 1423 all'elezione del doge Foscari, del quale condivideva il programma di espansione in Terraferma, e subito dopo assunse un altro rettorato, quello di podestà a Padova. Fu un incarico tranquillo, a differenza del precedente: le uniche preoccupazioni gli derivarono, infatti, dal disordine in cui versava l'università, al quale cercò di porre rimedio richiamando gli insegnanti ad una più assidua presenza alle lezioni.
La politica di intervento nella Val Padana, vigorosamente propugnata dal nuovo doge, produceva frattanto i suoi effetti, e già si profilava un duro scontro tra la Repubblica ed il ducato visconteo. Il C. visse in prima persona quegli avvenimenti: ambasciatore a Filippo Maria nel maggio 1425, l'anno successivo fu tra i quindici savi ai quali spettavano gli affari concernenti la guerra in Lombardia e, nel novembre, incaricato di trattar la pace con l'inviato di Martino V, il cardinale di Santa Croce. Fu l'inizio di un periodo di intensa attività politica: eletto savio del Consiglio per il 1427, fece parte anche del Consiglio dei dieci, e in questa veste rifiutò, in gennaio ed in aprile, di recarsi ambasciatore a Firenze e provveditore a Brescia. Accettò invece, il 27 ottobre, di rappresentare la Repubblica a Ferrara, assieme con Santo Venier, per stipulare la pace col Visconti. Nonostante i negoziati fossero ben avviati sin dal dicembre, la conclusione non si ebbe che il 19 apr. 1428, e questo ritardo risultò tutto a danno dei Milanesi, poiché la redazione definitiva del trattato previde, oltre alla consegna di Brescia, anche quella dì Bergamo e, per di più, la restituzione dei beni al Carmagnola e la libera navigazione sul Po. Il successo valse al C. l'elezione a savio del Consiglio, e poi (ottobre 1428) a consigliere, quindi ancora a savio del Consiglio: prestigiose cariche, nelle quali si distinse per una condotta ispirata sempre a ostilità e intransigenza, sia nei confronti di Filippo Maria Visconti, sia dell'imperatore. Nelle pieghe della permanenza in patria, trovò modo di badare anche agli interessi privati: tra il marzo '28 ed il dicembre dell'anno successivo, il C. acquistò infatti numerosi immobili, nella contrada dì S. Trovaso, che avrebbe poi lasciato - sotto il vincolo del fidecommesso - all'unico figlio Filippo. Nuovamente podestà di Padova tra il 1429 e la fine del '30. e poi ancora savio del Consiglio, alla ripresa delle ostilità col Visconti, dopo la sconfitta subita dai Veneziani a Soncino, venne nominato provveditore in campo, il 21 maggio 1431. Alla Signoria, che lo esortava a varcare l'Adda "ad damnum et excidium ducis Mediolani et status sui", il C. spavaldamente rispondeva di "esser aparechiado de andar questa note etiam a pé, sel bexognasse": ottenne in tal modo quindici cavalli, con i quali si recò a Brescia, dove consegnò al Carmagnola lo stendardo di guerra. È noto che le mosse del condottiero non furono proprio quelle che i Veneziani si auguravano, e così, mentre la flotta del Po andava incontro ad una serie di rovesci il C., viste inutili le sue pressioni, inviava al Senato attacchi sempre più pesanti contro il comportamento del Carmagnola. Sul finire dell'estate tornò a Venezia, accusando ragioni di salute; nuovamente savio del Consiglio, nel marzo 1432 era a Ferrara, insieme con Fantin Michiel - "persone solemnes et magne reputationis" -, per i negoziati di pace, che però si rivelarono di difficile e lunga soluzione. Fu richiamato pertanto in patria, dove, in qualità di avogadore di Comun, divenne uno dei principali responsabili della condanna a morte del Carmagnola.
Negli anni che seguirono lo troviamo costantemente presente nelle massime cariche dello Stato, ed il 16 nov. 1438 veniva eletto procuratore di S. Marco de ultra; da Venezia si assentò ancora una volta, nell'ottobre del 1441, allorché rappresentò la Repubblica alla pace di Cavriana, stipulata alla presenza di Francesco Sforza. Morì due anni dopo, e fu sepolto nell'arca di famiglia, a S. Pietro di Castello, lasciando come precisa disposizione, nel testamento, di essere condotto alla tomba "né da mia inuier né da mio fiol ... E questo comando a Philipo mio benedetto fioi che debia fare observare soto pena de la mia maleditione".
Fonti e Bibl.: Notizie sulla sua vita in Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii..., III, pp. 134, 141; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Correr 1465: Compendio di storia di ciascun individuo della fam. Corraro, cc. 78v-80r; Ibid., Mss. Correr 1489: Mem. e documenti della fam. Correr nei secc. XIV e XV, sub voce. Per la carriera politica negli anni compresi tra il 1427 ed il 1432 un'abbondante document. in Arch. di Stato di Venezia, Senato, Delib. secreta, regg. 10-12 passim (in particolare, per le commissioni date al C. in occasione della sua partenza come provveditore in campo presso il Carmagnola, e per il periodo trascorso in tale incarico, nell'estate del 1431, reg. 11, cc. 195r, 199v, 202v, 203v-204r; reg. 12, cc. 1r, 4rv, 6r, 7r). Per il testamento, Ibid., Sezione notarile. Testamenti, b. 1238/93. Sivedano inoltre: C. da Soldo, Cronica, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXI, 3, a cura di G.Brizzolara, p. 57; Commissioni di Rinaldo degli Albizzi per il Comune di Firenze dal MCCCXCIX al MCCCCXXXIII, a cura di C. Guasti, I, Firenze 1867, pp. 154, 168 s., 178, 186; II, ibid. 1869, p. 325; III, ibid. 1873, p. 36; I libri commem. d. Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, IV, Venezia 1896, pp. 75, 125; G. Zonta-G. Brotto, Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450, Patavii 1922, pp. 166 ss., 171, 173-180; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, IV, Podestaria e capitanato di Padova, Milano 1975, P. IL; G. F. Tomasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, pp. 380, 494; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Venez., II, Venezia 1827, pp. 28, 44; C. Cipolla, Storia delle signorie ital. dal 1313 al 1530, Milano 1881, pp. 343, 348; N. Valois, La France et le grand Schisme d'occident, III, III, Paris 1901, pp. 560, 565, 579, 587, 590; IV, ibid. 1902, p. 56; A. De Benvenuti, Storia di Zara dal 1409 al 1797, Milano 1944, p. 36; P. Litta, Le famiglie celebri ital., sub voce Correr, tav. III.