COMPARINI, Paolo
Figlio di Giovanni, nacque a Prato, forse nella famiglia di berrettai e lanaioli, la cui azienda risulta attiva tra il 1531 e il 1612 (G. Pampaloni, Inventario sommario dell'Archivio di Stato di Prato, Firenze-Empoli 1958, p. 57). Probabilmente egli era zio di un Bartolomeo Comparini, pure pratese, che sullo scorcio del sec. XV esemplò il manoscritto di opuscoli greci di Plutarco, Isocrate e Demostene, ora Laurenziano, Plut. LVII, 29 (A. M. Bandini, Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Laurentianae, II, Florentiae 1768, coll. 381 s.; cfr. Verde, III, 1, pp. 134, 455). Fu cappellano, in seguito canonico di S. Lorenzo e maestro in quella scuola di chierici dal 31luglio 1484, quando successe a Paolo d'Antonio Ronciglioni (o da Ronciglione), con compenso annuo di 108 lire piccole, 28 staia di grano e un paio di capponi.
Cominciata la residenza il 9 agosto, esercitò la funzione di maestro fino al 25 (o 23) genn. 1487 ('88 stile comune), quando rinunciò all'incarico che passò al prete Girolamo di Benedetto (o di Zanobi), governatore di S. Michele Visdomini, che prese servizio il 10 febbraio. Il 20 genn. 1484 era stato accettato cappellano della cappella Aldobrandini, sotto il titolo della SS. Concezione, e il 5 genn. 1500 ottenne la nona prebenda canonicale, sotto il titolo di S. Sebastiano, per rinuncia di Giorgio di Silvestro Aldobrandini. Dal 1484 al 1487 fu anche cappellano di S. Bartolomeo. Il 10 giugno 1502, con bolla di Lodovico Adimari, vicario generale di Rinaldo Orsini dei duchi di Gravina arcivescovo di Firenze dal 1474 al 1508, il C. fu investito della chiesa parrocchiale di S. Maria a Morello, vacata per morte di Lorenzo di Clemente del Guidi. Nel maggio del 1505 venne nominato canonico della metropolitana fiorentina. "Essendo" il C. "suto opressato da molte tribulationi et affanni" a causa del sacco di Prato, il capitolo di S. Lorenzo "pensò di consolarlo" nominandolo (17 sett. 1512) vicario della chiesa di S. Maria a Sammontana, per un anno a partire dal 1° novembre e con diritto di usufrutto della colombaia di detta chiesa, di due barili d'olio, di cento libbre di carne e delle decime (Moreni, I, pp. 60 s.). Vennero aggiunte le distribuzioni del coro di S. Lorenzo, escluse quelle della sagrestia e della tavola. Per meglio attendere all'incombenza il C. richiese sotto di sé un cappellano che officiasse la chiesa di S. Giusto a Petrognano. Fu diverse volte camarlingo a partire almeno dal 1511.Il 6 marzo 1516 il capitolo deliberava di restituirgli cinquantanove staia di grano che gli spettavano dal tempo del suo camarlingato; rieletto poi il 27 maggio 1517, consegnò, ricoprendo tale carica, l'inventario della prioria di S. Cresci a Campi a ser Giovanni di Maso fabbro di Lastra a Signa (22 maggio 1518). L'8 luglio 1517 era stato anche nominato camarlingo dei chierici al posto di Giovambattista Figiovanni. Mentre era ancora camarlingo, ebbe l'incarico (26 maggio 1518) di tenere il libro dei punti per un anno a partire dal 1° giugno. Il 18 maggio 1519 fu nominato, con Paolo di Cristofano Ottonaio, curatore per quell'anno. Portato verisimilmente via dalla peste che desolava allora Firenze, risulta già morto il 2 luglio del 1524: quel giorno la "camera quondam Domini Pauli Comparini", resasi vacante, veniva accettata da Lorenzo Epifanio (Arch. capit. di S. Lorenzo, 1, c. 50v).
Il C. fu prete inquieto, bizzarro e di moralità non conformistica in modo che, per "certe sospette conversationi, et exercitii secolareschi" che con scandalo avvenivano nella sua camera, gli fu intimato dal capitolo (25 Iuglio 1494) di sgombrarla "d'ogni instrumento, et masseritia de exercitio di profummi, et cassette, et specchi, setole, et d'ogni altra cosa da exercitio secolaresco" e fu diffidato altresì dal tenervi scolari, insegnarvi e accogliervi persone sospette o forestiere (Moreni, I, p. 59). Per tali caratteristiche e come maestro di scuola vicino agli umanisti, si guadagnò l'amicizia del Poliziano, alla quale il suo ricordo specialmente si raccomanda. La consuetudine amichevole tra i due data per lo meno dal 1481: l'8 di giugno il C. scriveva a Prato a Lotterio Neroni informandolo del mancato recapito del corso su Quintiliano tenuto quell'anno dal comune amico: "Angelus noster adhuc neque responsum litteris tuis, neque cius scripta in Quintilianum dedit" (Firenze, Biblioteca Marucelliana, ms. B. III. 66, c. 78; vedi P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 109). Anni dopo, il 18 ottobre del 1487, il Poliziano raccomandava al gonfaloniere in carica Francesco di Giuliano de' Medici una pratica giudiziaria di Antonio di Giovanni Comparini, con tutta probabilità fratello del C. (che un fratello in affari o in angustie egli effettivamente avesse, risulta dalla lettera al Neroni ove ringrazia l'amico "pro... diligentia in re fratris mei"), in grazia di un chierico giovinetto, Giovanni, figlio di Antonio, che l'umanista ospitava con affetto paterno. Ma il documento più interessante della loro amicizia rimane il saporitissimo prologo in senari giambici che il Poliziano scrisse per la rappresentazione dei Menaechm i plautini allestita dai chierici laurenziani già scolari del C. e andata in scena il 12 maggio 1488 alla presenza di Lorenzo de' Medici, come si apprende dalla lettera inviata il giorno stesso al duca Ercole d'Este dal suo ambasciatore Aldovrandino Guidoni (A. Cappelli, Lettere di Lorenzo de' Medici detto il Magnifico conservate nell'Archivio Palatino di Modena con notizie tratte dai carteggi degli oratori estensi a Firenze, in Atti e mem. delle RR. Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, I [1863], p. 301).
Scritto dal Poliziano durante i preparativi del suo secondo viaggio a Roma, dove già si stava recando al momento della recita, il prologo, pervenutoci in doppia redazione, occupa un posto di rilievo nella storia del teatro umanistico sia come brillante saggio di emulazione plautina sia per la risentita e arguta polemica, che vi è condotta, verso la vecchia commedia umanistica in prosa, perciò non ancora adeguata ai canoni dell'antica, e contro le moralistiche censure dell'ipocrisia fratesca all'usanza di recitar commedie. Per quanto nella lettera d'accompagnamento (Epistol., VII, 15, s.d.) il Poliziano indichi nell'amico l'ispiratore dell'argomento del prologo, non è facile decidere quanto ciò possa essere vero. Molto probabile è tuttavia che almeno all'ultimo punto il C. tenesse in modo particolare. Far rappresentare a giovani chierici commedie e drammi latini era allora d'uso corrente e, ad esempio, si sa che i chierici di S. Maria del Fiore, scolari di Piero Domizio, amico del C. (suo procuratore almeno due volte, nel 1508 e nel 1510), avevano messo in scena, nell'estate del 1476, una Licinia alla quale aveva assistito il Magnifico. Tuttavia, che un prete azzimato e secolaresco come il C. avesse trasformato i suoi scolari in attori di una commedia pagana, pareva fatto apposta per provocare le critiche dei benpensanti e scatenare i fulmini dei predicatori.
Legata alla sua attività di maestro è pure la lettera, senza data, che un vecchio scolaro, Tommaso Ventura, gli scrisse lamentandosi della sua inadempienza epistolare (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, filza CXXXVII, n. 975; cfr. anche P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 70). Non priva di certa arguzia nella riprensione dell'amico e della sua clericale neghittosità, essa tuttavia è, nell'insieme, uno stucchevole esercizio scolastico nel genere dell'epistola di rimprovero. Concludendolo, il Ventura manda i suoi saluti per un certo Pierantonio, forse il canonico di quel nome che ha lasciato traccia di sé nei documenti dell'Archivio capitolare di S. Lorenzo (come nel Libro di partiti, 2366, cc. 19v-20r e in quello di Entrata e uscita, 2381, c. 140r).
Dalla conclusione della citata lettera al Neroni ("De temporum varietate ac mortalium calamitate, cum dabitur ocium, disserimus") sembra potersi desumere (se non si tratta della promessa di scrivere, appena possibile, più diffusamente all'amico) che il C. stesse meditando un'opera di un certo impegno, magari qualcosa sul genere del De calamitatibus temporum composto proprio in quegli anni da Battista Mantovano. Comunque sia di ciò, nessuno scritto originale del C. è arrivato fino a noi e vana risultò la ricerca di cose sue latine e toscane che, richiesto dal Ciughi, il Moreni compì alla Laurenziana (lettera del 26 aprile 1805, già in possesso del Guasti e ora alla Roncioniana di Prato, ms. Q. III. 27, n. 124).
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. capitolare di S. Lorenzo, 1: Filze di partiti e di ricordi (1516-1544), cc. 1r, 3v, 5v, 6r, 8v, 12v, 15r, 25v, 31v, 32v, 37r, 50v; 49: Alberi dei canonicati e delle cappellanie, tavv. 2, 9, 18; 2181: Partiti e ricordi (1501-1516), cc. 1r, 76r, 83v, 85r; 2200: A. M. Zini, Origine e progressi della nostra scuola di S. Lorenzo [1715], c. 84r; 2366: Libro di partiti (1482-1501), cc. 12r, 15r, 23v, 51v, 90v; 2381: Entrata e uscita della scuola dei chierici (1459-1489), cc. 144v, 147r, 148v, 149r, 150rv, 154v, 157r, 158r, 162r, 164, 165r, 168rv, 169r; 2866: Filza di quad. di ricordi (1389-1533), cc. 46r, 64v, 118v; Firenze, Bibl. naz., Poligrafo Gargani, 634; A. Poliziano, Prose volgari ined. e poesie latine e greche edite e inedite, a cura di L. Del Lungo, Firenze 1867, pp. 281 ss. (pubblica con illustrazioni la lettera e la seconda redaz. del prologo); P. N. Cianfogni, Memorie istor. dell'ambrosiana r. Basilica di S. Lorenzo di Firenze, Firenze 1804, p. 280; D. Moreni, Continuazione delle Mem. istor. dell'ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo di Firenze dalla erezione della chiesa presente a tutto il regno mediceo, I, Firenze 1816, pp. 59 ss.; II, ibid. 1817, p. 337; [C. Guasti], Bibliogr. pratese, compil. per un da Prato, Prato 1844, pp. 197 s.; A. v. Reurnont, Aneddoti storico-letter., III, I Menechmi a Firenze, in Arch. stor. ital., s. 3, XX (1874), pp. 190 s.; I. Del Lungo, La recitaz. dei Menaechmi in Firenze e il doppio prologo della Calandra, ibid., XXII (1875), pp. 341 ss.; Id., Di altre recitaz. di commedie latine in Firenze nel secolo XV, ibid., XXIII (1876), pp. 170 ss. (entrambi i lavori furono rist. in Florentia, uomini e cose del Quattrocento, Firenze 1897, pp. 357 ss., 379 ss.); F. Pintor, Le prime recitaz. di commedie latine in Firenze, in Nozze Ferrari-Toniolo, Perugia 1906, pp. 135 ss.; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, pp. 529 s., 559 n. 22; A. Campana, Per il carteggio del Poliziano, in La Rinascita, VI (1943), pp. 469 ss. (e v. I. Maier, Ange Politien. La formation d'un poète humaniste, Genève 1966, p. 428); I. Sanesi, La commedia, I, Milano 1954, pp. 184 s., 770; A. Perosa, Catalogo della Mostra del Poliziano nella Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze 1955, p. 112; Id., Teatro umanistico, Milano 1965, pp. 34, 211 ss. (con traduz. del prologo e ulteriore bibliogr.); A. Stauble, La commedia umanistica del Quattrocento, Firenze 1968, pp. 153, 200, 212; Il luogo teatrale a Firenze (catalogo della mostra), Milano 1975, p. 71; D. Delcomo Branca, Note sulla tradizione delle "Rime" del Poliziano, in Rinascimento, s. 2, XV (1975), pp. 73 s. (ora in Sulla tradizione delle rime del Poliziano, Firenze 1978, pp. 18 s.); A. F. Verde, LoStudio fiorentino, 1473-1503. Ricerche e documenti, III, 1, Pistoia 1977, pp. 454 s.