CAOTORTA, Paolo
Secondogenito del patrizio Girolamo di Marco e di Elisabetta di Paolo Zorzi, nacque a Venezia il 19 luglio 1586. Amante degli studi, ebbe una particolare predilezione per la numismatica riuscendo a costituire una cospicua raccolta di medaglie, come appare dall'inventario spedito a Roma nel 1648 a Francesco Angeloni.
Forse nutrì ambizioni letterarie che tuttavia non assecondò limitandosi a lasciarle trapelare dalle molte lettere che, nello svolgimento delle sue varie funzioni, scrisse al Senato. Frequenti, in queste, le immagini liricheggianti, le metafore compiaciute, le massime tornite; evidenti, nel non inabile ricorso agli espedienti retorici del tempo, le pretese stilistiche di tanti passi. Pare sia stato legato da vincoli d'amicizia con Nicolò Crasso iuniore; il quale gli avrebbe dedicato la prima parte Dell'amoroso trofeo, raccolta di madrigali, ora introvabile, pubblicata a Parma nel 1612 con lo pseudonimo di Publio Licinio. Gli incarichi politici assorbirono comunque il grosso della sua esistenza; ed egli non manca di rilevare, con fastidiosa insistenza e apparente umiltà, il suo "voto di servire e tacere sempre", la sua "applicatione incessante", l'"immensa fatica" affrontata "senza alcuna indulgenza" alle sue condizioni di salute, a detrimento dello stesso patrimonio familiare, e "senza bramare maggior premio" che l'assolvimento - "debole sì, ma infervoratissimo" - dei propri compiti riuscisse gradito alla "publica benignissima gratia" e di qualche utilità alla Repubblica, unico baluardo della "antica et vera libertà d'Italia".
Eletto avvocato per le corti nel 1613 e nel 1616, avvocato dei prigionieri nel 1620 e 1621, avogador di Comun nel 1622, il C. - che si sposò, il 28 apr. 1622, con Daria di Pietro Civran - risiedette, tra il luglio del 1624 e il settembre del 1626, a Corfù in qualità di capitano e provveditore.
Visitò l'isola "in ogni angulo" e "ripostiglio" per organizzare un efficace sistema difensivo contro le ricorrenti incursioni piratesche; e lo affidò totalmente ai contadini, a ciò addestrati con severità perché di per sé "godardi, vilissimi, innobedienti". Eccessivo, a tal proposito, il numero "de papi e preti", i quali avevano presa "la veste et il capello" al solo scopo di sottrarsi agli oneri dell'autodifesa. Il C. non esitò inoltre, pur di indurre gli abitanti a fornire uomini alla flotta - dovevano ogni anno bastare per "armare" una galea - a ricorrere alla "sferza" della più spietata severità; anche se non ignorava quanto fosse pesante l'obbligo per "quei miserabili", sì da suggerire di attenuarlo, altrimenti, "seguitando ad armar ogn'anno, toccarebbe ogni tre anni quasi ai medesmi ritornar in galea". Tesi i suoi rapporti con l'arcivescovo Benedetto Bragadin, perché ostile all'"unione", utilissima alla Repubblica, dei riti greco e latino; energica la sua lotta per stroncare l'esportazione clandestina "de azzali e lame" nel "paese turchesco"; attenta la sua cura per le milizie sì che il successore, Lorenzo Morosini, avviserà il Senato di averle trovate "molto ben all'ordine" e "disciplinate". Unico neo, non imputabile comunque al C., il "mal stato" dei cavalli delle compagnie di cavalleria.
Tornato a Venezia, il C. risulta, nell'estate-autunno del 1628, provveditore "sopra i formenti" nel Vicentino e nel Veronese: oltre alla "universal descrittione di grani", doveva soprattutto "indagare et impedire" il trasporto "di biade in terre aliene", quanto mai esiziale "nell'angustie" d'un anno "tristo e penuriosissimo". Nominato, il 6 ag. 1630, provveditore a Bergamo, il C. cercò di schivare l'incarico denunciando agli avogadori di Comun un'irregolarità nella votazione; e la sua richiesta di "intromissione et taglio della elettione" venne accolta. Fu però rieletto il 9 e dovette così partire, in gran fretta, per la sede destinatagli. Giunto, dopo un viaggio avventuroso, il 22 agosto nella città "conquassata" dalla peste, vi rimase sino all'inizio del 1631 occupandosi delle "cose spettanti le militie per sicurtà" di Bergamo e del "territorio".
Da rilevare, nelle comunicazioni del C. al Pregadi, quella del 18 sett. 1630, ove non trattiene uno scatto d'insofferenza per la condotta troppo cauta impostagli: gli Spagnoli - egli scrive - hanno lasciato del tutto sguarnito il confine ed egli potrebbe, in un paio di settimane, impadronirsi "di tutto lo stato di Milano e forse della città stessa". È veramente amaro - osserva - vedere il nemico spostare impunemente le sue truppe "dove più gli aggrada fino all'ultimo suo fante", certo che "noi dovemo tener impegnato sempre il nostro maggior nervo alla sola difesa e consumarci inguardando". Magra consolazione, nell'inerzia forzata - aggravata per di più dal continuo stillicidio di diserzioni pel mancato arrivo delle paghe -, la scoperta d'una "meza congiura ordita in questa militta" e la punizione della pena capitale inflitta, "co' essemplar spettacolo", ai tre principali indiziati.
Podestà di Padova dall'aprile del 1636 al giugno 1637, il principale intento del C. è quello di "conservar questi sudditi nell'antica loro divotione e col dirito della justitia tener ancho soavemente consolato qualunque ordine di persone". Di fatto indagò sulla proditoria bastonatura subita dal dott. Francesco Formica attribuibile ad uomini del marchese Pio Obizzi, giungendo alla poco consolante conclusione che erano temuti "maggiormente soggetti così primarii... della stessa giustitia"; si sforzò di indurre "gentilhuomini potenti" al regolare pagamento di "legati, mansionarie et crediti" a lungo e invano reclamato da monasteri ed "altri pii et poveri luochi"; soppose all'"incetta" e alla "speculazione sul grano"; denunciò gli abusi amministrativi della "ricca entrata" dell'"arca" di S. Antonio, stornata dai fini costitutivi - cioè "dalla fabrica di essa e della chiesa" - e "convertita nel commodo e nelle sodisfattioni ed appetiti" dei frati più influenti.
Il 1º dic. 1640 il C. risulta eletto savio alle Acque. Nel 1644 propose, senza fortuna, l'obbligo pei nobili originari di Candia di lasciare Venezia per l'isola ed ivi rimanere "co' loro posteri in perpetuo", assolvendo gli obblighi feudali anticamente assunti. Eletto, il 13 marzo 1646, provveditore straordinario in Dalmazia e Albania, nell'agosto conquistò Dvare (l'odierna Zadvarje) e procedette sino a Macarsca dove i maggiorenti locali, a nome della cittadina e del territorio, fecero di fronte a lui atto di solenne dedizione alla Repubblica esigendo in cambio protezione contro i Turchi.
Ma di lì a due mesi questi iniziarono, con ingenti mezzi, l'attacco al territorio perduto. Invano il C. chiese rinforzi; il provveditore generale in Dalmazia e Albania, Leonardo Foscolo, e il generale della cavalleria, barone d'Enghenfelt, furono dell'avviso che non valesse la pena di resistere. Il C., "senza un quatrino" per pagare l'esigue truppe e privato, per deliberata volontà del Foscolo, dell'"augumento di pur un fante", fu costretto a cedere all'impeto soverchiante delle numerose milizie del pascià di Bosnia "arrabbiato e tutto intento e caciato col timor della testa" al recupero della zona passata a Venezia.
Nel dicembre il C. è a Spalato, umiliato dalla sconfitta e stremato, attestano i medici, da una "febre continua" e da una "distillatione catharrale"; e qui avrebbe macchinato un attacco di sorpresa a Salona e Clissa, invano ché gli agenti cristiani di cui si serviva sarebbero stati scoperti. Nel frattempo, ancora il 20 nov. 1646, il Senato l'aveva nominato provveditore generale nelle tre isole del Levante; carica rifiutata dal C., punito perciò col bando revocato poi il 9 sett. 1647. Da un'accorata supplica del C. al doge e al Maggior Consiglio per essere riaccolto nella nobiltà appare che la riammissione restava subordinata al versamento d'una grossa somma, insostenibile per le sue "essaurite fortune".
Morì a Venezia il 16 maggio 1649.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Avogaria diComun, 55 (Libro d'oro nascite, V), c. 47v; 91 (Libro d'oro matrimoni, IV), c. 69; Provveditori alla Sanità, 875 (Necrologi, 81), alla data 16 maggio 1649; Segretario alle voci,Elezioni Senato, regg. 14, c. 82v; 15, cc. 120r, 125v; Consiglio dei Dieci. Diario 1646-47, alla lettera P.; lettere del C. da Corfù in Senato,Lettere rettori Corfù, filze 13 e 14, e Capi del Consiglio dei X,Lettere di rettori e di altrecariche, busta 293, nn. 56, 57, e la relazione presentata al ritorno dall'isola in Senato,Relazioni, busta 85; Ibid., una lettera del C., del 14 ag. 1628, come provveditore "sopra i formenti", in Senato,Lettere di provveditori da terra e da mar, filza 225; lettera del C. provveditore a Bergamo in Senato,Lettere rettori Bergamo e Bergamasca, filza 25; lettere del C. da Padova in Senato,Lettere rettori Padova e Padovan, filze 32, 34, e Capi del Consiglio dei X,Lettere di rettori e di altre cariche, busta 90, nn. 149-168, 173, 212; lettere del C. provveditore straordinario in Dalmazia in Senato,Lettere di provveditori da terra e da mar, filza 692, mentre nelle filze 462 e 463 il C. è spesso nominato e talvolta firma assieme al Foscolo e ad Andrea Morosini; disposizioni al C. nelle sue funzioni in Senato,Terra, regg. 99, cc. 157, 236v-237v; 100, cc. 280v-281v, 324; 103, cc. 262v-264r, 274r, 278; 106, c. 480r; 114, passim da c. 75r; 115, passim; 116, passim sino a c. 158v e filza 316 alle date 5, 13, 21 ag. 1630, e Senato,Mar, reg. 104, cc. 54v, 272v; lett. del C. del 5 luglio e 3 sett. 1646 e dispos. al C. del 28 marzo e 30 apr. 1646 in Consiglio dei X,Parti segrete, filza 43; Savi ed esecutori alle acque, filze 126 (passim) e 269, c. 48r; Avogaria di Comun. Miscell. Civil, busta 167/5; cenni sul C., Ibid., Senato,Lett. rettori Dalmazia, filza 51; Venezia, Civ. Museo Correr, Rellatione de Macarscaacquistata dall'ecc.moCaotorta del 16 ag. 1646, copia della supplica del C. per la riammissione alla nobiltà, e Discorso e considerationi circa ilmandar la colonia in Candiadatto l'anno 1644salvo error a quondamZuanne Grimani non so da chiper reprimerl'opinion de quondam P. C. chepretendeva,o per compiacer alla piazzao perchélo credesse publico servitio,rimandar in Candiatutt'i nobili patritiiin alcun tempo di là venuta, rispettivamente in codice Cicogna 1126/I e cod. Cicogna 2534/7 e Archivio Morosini Grimani, 380, cc. 196r-204r; G. F. Tomasini, Elogia virorum... illustrium..., Patavii 1644, p. 384; A. Vernino, Historia delle guerre diDalmatia...., Venetia 1648, p. 185 s.; Sertonaco Anticano [Antonio Santacroce], Frammenti istorici della guerra inDalmazia, Venetia 1649, p. 13, 36 s., 47, 49, 63-70; G. Brusoni, Historia dell'ultima guerra tra' Veneziani e Turchi…, I, Bologna 1674, pp. 57, 91, 99 s.; Acta nationis Germaniae artistarum(1616-1636), a cura di L. Rossetti, Padova 1967, p. 399; D. Farlati, Illyrici sacri..., IV, Venetiis 1769, p. 196; G. Kreglianovich Albinoni, Memorie per la storia della Dalmazia, II, Zara 1809, p. 243; B. Zendrini, Memorie storiche... delle lagune di Venezia..., II, Padova 1811, p. 105; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, IV, Venezia 1834, p. 166; G. Cattalinich, Storia della Dalmazia, III, Zara 1835, p. 135; G. P. Zabeo, Delle famiglie... Caotorta e Albrizzi..., Venezia 1855, p. 12; A. Lulich, Compendio storico-cronologico di Macarsca..., Spalato 1860, pp. 40-49; A. Gloria, Il territorio padovano…, I, Padova 1862, p. 291; A. Favaro, Saggio di bibliografia dello Studio diPadova..., I, Venezia 1922, p. 39 n. 199; A. de Benvenuti, Fortezze e castelli di Dalmazia. La fortezza di Clissa, in Larivista dalmatica, XVII (1936), I, p. 17; Id., Storia di Zara dal 1409 al 1797, Milan0 1944, p. 144; F. Sassi, Le campagne di Dalmazia durante la guerra di Candia, in Archivio veneto, s. 5, XX (1937), pp. 244 s., 248 s.; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, IV, Bergamo 1959, pp. 134 s., 486; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, LXVII, p. 72 n. 204.