BARBO, Paolo
Nacque a Venezia da Andrea e da Maria di Giovanni Barbo nel 1423, e fu "provato", informa il Litta, il 9 maggio 1440. Sia per capacità personali, sia per nobiltà di casato, ebbe cariche importanti lungo tutto l'arco del Rinascimento politico veneziano: dai tempi dell'ambizioso espansionismo del Foscari al tragico isolamento di Cambrai. Notizie sicure sulla sua carriera si hanno solo dopo la scomparsa del suo omonimo, quel Paolo Barbo, fratello di Pietro, divenuto pontefice con il nome di Paolo II Nel 1464 il B. fu avogadore e sindaco in Terraferma, distinguendosi per una serie di provvedimenti in favore del territorio padovano. In seguito fu podestà a Chioggia, finché, il 24 ott. 1481, gli successe Pietro Contarini. Subito dopo venne eletto tra i tre savi che soprintendevano agli affari di Cipro, mentre nel 1485 era di nuovo podestà, ma a Brescia. Nel 1487 fu nommato provveditore in campo a Viceriza, ma, non si sa per quali ragioni, declinò l'incarico e, per non pagare la penalità di 500 ducati, scelse di andare al confino a Zara per la durata di un anno. Nel 1491 fu inviato luogotenente a Udine, mentre l'anno successivo fece parte della delegazione che la Repubblica inviò a Roma per ossequiare il nuovo papa Alessandro VI. La serie degli incarichi non si esaurisce qui. Nel 1494 sarebbe stato capitano a Verona; nel 1496, insieme con Stefano Badoer e con Marco Sanuto, fu delegato al controllo delle spese fatte da Ferdinando di Napoli, allo scopo di definire il credito della Signoria nei confronti del re. Successivamente, l'attività del B. e anche la sua personalità risaltano con maggiore evidenza. I Diarii del Sanuto lo "controllano", talora non senza prevenzioni, anno per anno fino alla morte. Nel 1496 fu l'unico ad opporsi in Senato all'orientamento generale secondo cui, per prevenire una nuova calata di Carlo VIII, Massimiliano avrebbe dovuto capeggiare la lega. Nel biennio 1497-98 fu podestà a Padova, e la sua amministrazione è molto lodata dal Sanuto. Nel 1498, quando, per il complicarsi delle vicende pohtiche, a Venezia "bisognava molto consultar per il mal volere dil ducha de Milan", il B. fu uno dei più accesi protagonisti degli animati dibattiti attraverso i quali maturò il capovolgimento della politica veneziana in appoggio a Luigi XII (patto di Blois del 9 febbr. 1499). Fra i primi e più stimati consiglieri della Repubblica al punto da sostituire talora, quantunque non fosse il più anziano, lo stesso doge, egli fu tuttavia un tiepido assertore della guerra contro Milano per non creare alla sua patria una nuova fonte di spese e di disagí, mentre incombeva in Oriente, sempre più grave, il pericolo turco. Essendo la Repubblica "suta de danari", si fece fautore di una politica fiscale in cui si dimostrò "terribele" con tutti, tranne che con qualche amico e parente (favorì, ad esempio, Leonardo Vendramin e non ottenne - o non volle ottenere? -un prestito di 30.000 ducati da parte del cardinale Zen). Il 13 sett. del 1500 fu eletto podestà di Cremona: nel carteggio che scambia con il governo si rivela l'animo del prudente ma anche ombroso amministratore che non si accorge del crollo di prestigio della Repubblica presso le città soggette. Il suo incarico si concluse con brusche dimissioni, dopo meno di un anno. Ritornato a Venezia, continuò a lavorare nei consigli della Repubblica, sempre intransigente nella difesa dei suoi punti di vista e aspro nel giudicare la condotta degli altri. Il 31 dic. 1501 era rieletto savio del Consiglio e il 20 genn. 1502 procuratore della chiesa di S. Marco. Il 18 marzo 1503 lasciò per malattia la carica di savio del Consiglio e il 20 dello stesso mese chiese di dimettersi da un altro incarico "dicendo che aveva 79 anni". Ma poi rimase al suo posto. La sua rigidezza si accentuava: quando "si discute sui danari che mancano: sier Paolo Barbo sempre fu di opinion porre angarie, ed altri contro". Nel 1504-05 il suo nome appare coinvolto in questioni marginali, come quelle relative alla chiesa di S. Marco, ma nel 1506 ritorna ad occuparsi attivamente di politica. Il 4 dic. 1507 fu anzi rieletto savio del Consiglio, in vista dei gravissimi problemi che stavano sul tappeto, ma rinunciò alla carica pochi giorni dopo: Per Venezia ormai accerchiata dagli alleati del secondo patto di Blois, incautamente rigida nei confronti di Massimiliano e incline ad allargarsi verso la Romagna, stava per giungere un'ora drammatica. E ciò a causa di una politica sempre rapace per gli interessi propri e sempre attendista per gli interessi altrui, di cui fu responsabile anche il Barbo. Spesse volte egli interveniva nei consigli per far differire la soluzione di importanti problemi. E a Venezia si trovò sola a doversi difendere contro l'ostilità coalizzata d'Italia e d'Europa. Il segno di ottusità o, forse, di invincibile provincialismo, proprio nel momento in cui l'orizzonte della politica si faceva europeo e - con le scoperte geografiche - mondiale, e per Venezia tutto crollava, il fatto che il B., il 7 sett. 1508, andasse in collegio con il problema di rifare la cima del campanile di S. Marco distrutta da un fulmine. Il 15 maggio 1509, alle ore 22, giunse a Venezia la notizia della tremenda disfatta di Agnadello. "P. Barbo cominciò a piangere e disse alla moglie: Dame la vesta che voio andar in Pregadi e dir quattro parole, e poi morir" Ci andò, propose vari provvedimenti. E poco tempo dopo morì. Sotto il giorno 27 luglio 1509 annota il Sanuto: "Da poi disnar, a hora di vesporo, morite sier Pollo Barbo, procurator di la chiesia di S. Marco, di anni 86, homo sapientissimo ma ostinato. El qual è morto per meninconia di le occorentie presente, perché da poi la rota ha parlato do volte in Pregadi, et poi disse: Non parlarò mai più. Lassoe il suo ai fioli di sier Alvise Barbo suo nipote". In questo giudizio, il Sanuto, per quanto testimone non imparziale dei suoi tempi, condensa l'ammirazione, ma anche una critica per il vecchio e fiero uomo di stato.
Fonti e Bibl.: Venezia, Museo Correr, G. Priuli, Pretiosi frutti, ms. Cicogna 3781, 1, ff. 7172; M. Sanuto, Diarii, I-VIII, Venezia 18791882, vedi Indice dei nomi ai singoli voll.; F. Malipiero, Annali Veneti dal 1457 al 1500, a cura di F. Longo, in Arch. stor. ital., VII, 1 (1843), pp. 168 s., 305; J. Burckard, , Liber Notarum,in Rer. Italic. Script., 2 ediz., XXXII, 1, vol. I, a cura di E. Carusi, pp. 374, n. 3, 381; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1752, p. 344; Serie dei podestà di Chioggia, Venezia 1767, ad annum 1480; P. Litta, Famiglie celebri italiane, X, tav. III; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, VI, Venezia 1853, pp. 92-100 (Sui problemi genealogici del complesso casato Barbo), 586; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, V, Venezia 1856, p. 212; A. Gloria, Dei podestà e capitani di Padova dal 1405 al 1509, Padova 1860, pp. 34 s.; R. Cessi, Rinascimento politico in Italia, Padova 1953, pp. 279-297; F. Chabod, Venezia nella politica italiana ed europea del Cinquecento, in La civiltà veneziana del Rinascimento, Firenze 1958, pp. 29-40; A. Da Mosto, I Dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, p. 218.