AMBROGI (Ambrosi), Paolo Ambrogio (Antonio)
Originario di Serrasanquirico (si ignorano la data della sua nascita e della sua morte), era figlio di un Averardo, membro del Consiglio dei Duecento, e di una Silvia Landini, patrizia fiorentina. Entrato nell'Ordine dei minori conventuali, fu inquisitore a Belluno, Siena, Padova ed infine a Firenze, dove fu inviato verso il 1727.
In questo periodo, durante il governo di Giangastone, egli cercò di ridare al tribunale dell'Inquisizione l'autorità che godeva ai tempi di Cosimo III, ma trovò sempre un ostacolo nell'indifferenza del granduca. Uno degli obbiettivi più colpiti dalla sua zelante attività furono le riunioni della loggia massonica dei "Liberi Muratori",che, sorta ad opera di inglesi residenti a Firenze, aveva cominciato a raccogliere numerose adesioni, specialmente fra gentiluomini e letterati. L'A. non solo diede su di essa minuziosissime informazioni alla Congregazione del Santo Uffizio di Roma - informazioni ottenute principalmente in confessione - ma tentò di ottenere da Giangastone il braccio secolare per procedere contro di essa; richiesta cui però il granduca oppose un fermo rifiuto.
Mentre l'ambiente fiorentino, riscaldato dai gesuiti, cui l'A. fu sempre molto legato, si infiammava sempre più, egli venne chiamato nel 1737 da Clemente XII a Roma, dove, con i cardinali Ottoboni, Spinola e Zondadari, preparò la bolla con la quale, nel 1738, vennero condannati i Liberi Muratori.
Anche dopo il passaggio del granducato alla nuova dinastia dei Lorena, l'A. continuò ad indagare sull'attività dei frammassoni, i quali, pur avendo cessato di tenere regolari adunanze, gli davano sempre sospetto di novità politiche e religiose. Ma il suo zelo - egli giunse fino ad ordinare il sequestro di libri proibiti o da lui giudicati sospetti - incontrò l'ostinata opposizione dei ministri del granduca, Emanuele de Richecourt e Giulio Rucellai, e non ebbe altro effetto che quello di rendere ancora più tesi i rapporti fra l'autorità laica e quella ecclesiastica. In tale ambiente ed in tale momento politico venne dall'A. ordinato l'arresto di Tommaso Crudeli, in base a denunce, in parte false, da lui estorte agli unici testimoni a carico, il Pupiliani ed il Minerbetti. L'arresto del Crudeli, cui non fu estraneo il rancore nutrito nei riguardi del poeta dall'A. e dal nunzio Stoppani, venne considerato come l'occasione più propizia perché l'autorità del tribunale dell'Inquisizione potesse di nuovo avere in Toscana quel potere, che le tendenze politiche del governo lorenese avevano sminuito. E, grazie ad una lettera del cardinale Neri Corsini, nipote di Clemente XII, ed all'intervento dei gesuiti nella persona del p. Ignazio Giacomini, l'A. riuscì ad ottenere dal riluttante granduca, nel maggio 1739, non solo l'ordine di arresto del Crudeli, ma anche quello (poi revocato) di espulsione di uno dei frammassoni più in vista, il barone di Stosch, provocando in tal modo, per i legami che questi aveva con l'Inghilterra, il burrascoso intervento dell'ambasciatore inglese.
Molto severo è il giudizio che, tranne il Rodolico, quasi tutti gli studiosi di tale periodo danno sul comportamento dell'A., il quale non solo cercò in tutti i modi di raccogliere prove contro l'inquisito, ma lo fece languire a lungo in prigione, in gravissime condizioni di salute, per continuare un processo male impostato, e non volle riconoscerne l'innocenza, neanche dopo la sua ritrattazione.
Comportamento, il suo, la cui gravità non può essere certo scusata o attenuata con la considerazione che l'A., accecato dal fanatismo, credette vere le accuse di eresia e di oscenità: prova ne sia il fatto che il memoriale in propria difesa, presentato dal Crudeli, fu dall'A. trasmesso a Roma con il testo molto modificato e senza i documenti che l'accompagnavano, tanto che la stessa Congregazione del Sant'Uffizio, per evitare il grave pregiudizio che ne sarebbe derivato, restituì all'A. l'incartamento del processo con l'incarico di raccogliere nuove prove, cosa che l'A. dichiarò di non poter fare; le "eresie" di cui veniva accusato il Crudeli non erano altro - e l'A. ben lo sapeva - che frasi sarcastiche e pungenti contro il clero e le superstizioni.
Questo intransigente atteggiamento dell'inquisitore ebbe come conseguenza l'inizio di più aspre controversie fra il Santo Uffizio e la reggenza lorenese e non fece altro che aumentare il discredito del tribunale, affrettando in tal modo l'attuazione delle riforme vagheggiate dal governo e già progettate dal Richecourt, il quale - mentre l'A. continuava a tenere il Crudeli in carcere - esortava vivamente il granduca a chiedere al papa l'introduzione in Toscana della stessa procedura tenuta in Venezia. Ma solo dopo la morte di Clemente XII (febbraio 1740), di cui l'A. era stato intimo amico e compagno di studio, e con l'avvento di Benedetto XIV, l'ambiente della Curia romana cominciò a mostrarsi favorevole a tale riforma: lo stesso nunzio a Firenze, Archinto, successore dello Stoppani, non celava la sua disapprovazione per il comportamento dell'Ambrogi. Il pontefice, ai primi del 1741, inviò a Firenze il p. Maccabei, con l'incarico di informarsi sulle controversie e di esaminare gli atti del processo Crudeli. Ed è evidente che - in seguito a tale missione - Benedetto XIV si rese conto come la durezza dell'A. fosse un serio e quasi insormontabile ostacolo all'attuazione di quelle riforme cui egli, date le contingenze politiche del momento, si mostrava nettamente favorevole: in quello stesso anno, infatti, rompendo ogni indugio, il pontefice richiamò l'A. da Firenze, ponendo al suo posto l'inquisitore di Padova, ed acconsentì anche all'introduzione di assistenti laici nel tribunale del Sant'Uffizio. Da quest'epoca non si hanno altre notizie sull'Ambrogi.
Bibl.: Repertorio delle famiglie patrizie e nobili fiorentine, a cura di C. Sebregondi, fasc. IV, Firenze 1951; [M. Rastrelli], Fatti attinenti all'Inquisizione, Firenze 1782, pp. 163, 173-259; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1847, I, Firenze 1850, pp. 77, 197-205; D. Gaspari, Memorie storiche di Serrasanquirico, Roma 1883, PI,. 304-305; F. Sbigoli, Tommaso Crudeli e i primi frammassoni in Firenze, Milano 1884, pp. 49, 54-55,137, 142, 159-161, 166, 169-170, 173, 185, 187 ss., 251 ss.; M. Morici, Di un Inquisitore marchigiano in Firenze nel sec. XVIII, in Atti e Mem. d. Deput. di storia patria per le prov. delle Marche, n. s., I (1905), pp. 243-245; N. Rodolico, Stato e Chiesa in Toscana durante la Reggenza lorenese (1737-1765),Firenze 1910, pp. 193-194, 197-200, 203-206, 209-210, 219-220; E. Baldi, L'Alba. La prima loggia massonica a Firenze - L'Inquisizione - Il processo Crudeli, Firenze 1959, passim.