MONTUORO, Paola
MONTUORO, Paola. – Nacque a Napoli il 27 febbraio 1901 da Raffaele, brillante avvocato convertitosi al giornalismo, e da Clotilde Arlotta, appartenente a una famiglia dell’alta borghesia mercantile partenopea.
Dopo la maturità classica, si iscrisse nel 1919 alla facoltà di lettere dell’Università di Napoli, dove, sotto la guida di Giulio Emanuele Rizzo, si laureò in archeologia classica (1923), discutendo una tesi su L’origine della decorazione frontonale nei templi greci (poi in Atti della R. Acc. nazionale dei Lincei, Memorie, cl. di scienze morali, s. 6, I [1925], 4, pp. 273 ss.). Dopo aver vinto entrambi i concorsi per le scuole di perfezionamento in archeologia di Roma e di Atene, soggiornò solo brevemente in Grecia (febbraio-luglio 1927), a causa della repentina scomparsa del giovane marito e collega Domenico Valentino Zancani, còlto da tifo nel corso del suo secondo anno di alunnato presso la Scuola archeologica italiana.
Elaborato a fatica il lutto, come prova il vuoto nella sua produzione scientifica sino al 1931, ritrovò interesse per gli studi archeologici – votandovisi interamente con una consapevole rinuncia al proprio privato – grazie alla collaborazione con la Società Magna Grecia, dinamico sodalizio fondato nel 1920 dal filantropo Umberto Zanotti Bianco, che si prefiggeva di riscattare dall’oblio gli antichi monumenti e le memorie storiche facenti capo alle regioni più neglette del Mezzogiorno. In un contesto tanto favorevole dal punto di vista umano e spirituale, Paola Zancani Montuoro (così ebbe a firmarsi tutta la vita), poté avviare e portare a compimento una sua inedita ricerca sulla reale provenienza di una grandiosa scultura arcaicizzante in marmo pario, trafugata dall’Italia e acceduta, nel pieno della Grande Guerra, al Museo statale di Berlino senza «dati anagrafici» (La «Persephone» di Taranto. Miti, leggende e storia, Roma 1933 [già in Atti e memorie delle Soc. Magna Grecia, 1931]).
Come questo studio, anche la prima sua impresa di scavo nacque dalla revisione critica di opinioni cristallizzate. Fin dal 1926, infatti, in totale autonomia di giudizio rispetto all’indirizzo prevalente, aveva maturato una sua idea precisa circa l’ubicazione del famoso santuario posidoniate dedicato a Hera Argiva, che le fonti antiche posizionavano sulla sinistra o sulla destra idrografica del fiume Sele, nei pressi della foce. Solo nella primavera del 1934, però, poté iniziare, con la diretta partecipazione di Zanotti Bianco, l’esplorazione topografica della paludosa e malarica piana alluvionale di Paestum. Malgrado difficoltà fisiche e ambientali – complicate dal sospetto con il quale si guardava a un’impresa estranea alla sincrona propaganda romanocentrica di Mussolini – l’incondizionata fiducia nel potere informativo delle fonti, nonché la tenacia di ricerca di Montuoro condussero ai risultati sperati e l’Heraion del Silaris fu identificato da alcuni resti emergenti in località Gromola, proprio a 50 stadi di distanza da Posidonia, in conformità alle indicazioni straboniane.
Diverse campagne di scavo (1934-40, e poi oltre sino al 1963), consentirono la rimessa in luce del nucleo essenziale del santuario e il recupero di un’ingente mole di materiale archeologico, tra cui la doppia serie di metope arcaiche scolpite nell’arenaria locale, subito riconosciute come la prima completa documentazione plastica della scultura templare su suolo di Magna Grecia.
Salutata da Amedeo Maiuri come una delle maggiori e più importanti scoperte – in campo storico, religioso e artistico – effettuate in Italia a partire dagli inizi del Novecento, la ricerca in progress sul complesso silarense fu dapprima illustrata con una ben documentata relazione preliminare edita nelle Notizie degli Scavi del 1937 (s. 6, XIII, pp. 206 s.), e poi accuratamente esposta nella monumentale opera in due volumi, per complessivi quattro tomi, Heraion alla foce del Sele (Roma, 1951 e 1954). Frutto della collaborazione Montuoro-Zanotti, l’opera costituisce a tutt’oggi un modello di riferimento per la modernità di concezione e realizzazione e per l’interpretazione e la sistemazione dei dati emersi dai lavori di scavo. Se questi ultimi erano stati eseguiti con innovativo metodo stratigrafico, i quattro tomi si distinguono per la novità delle osservazioni metodologiche dichiarate, lo scrupolo filologico, la profonda conoscenza delle fonti storiche e, non ultimo, la dettagliata descrizione dei materiali. Non sorprende, dunque, che tale summa di storia, archeologia, cronaca di scavo e scienza tecnica, sia stata dedicata a Paolo Orsi e a Rizzo, al quale ultimo soprattutto, si debbono gli interessi di Montuoro per lo studio della scultura classica e della decorazione plastica templare.
A far crescere la dedizione della studiosa per la grecità d’Occidente non fu soltanto l’impegno nelle indagini archeologiche all’Heraion e l’esame critico dei manufatti ivi affiorati. Già nel 1933, infatti, il vecchio Orsi le aveva affidato il compito di elaborare la tipologia e predisporre l’edizione integrale dei pínakes locresi, ovvero di quei bassorilievi in terracotta policroma emersi a più riprese dagli scarichi votivi del più considerevole santuario di Lokroi Epizephyrioi, quello dedicato alla grande Persephone alla Mannella.
Si trattava di riannodare i fili di una ricerca complessa, nell’ambito della quale si erano già cimentati, con scarso successo, altri studiosi. Tale fragilissimo materiale indigeno di età severa, espressione concreta di una ‘muta’ religiosità popolare, era ridotto in migliaia di frammenti, solo in alcuni casi giustapponibili ed era, per giunta, dislocato in diverse sedi museali, circostanza che ostacolava il necessario lavoro di ricognizione, cernita, ricostruzione, schedatura e interpretazione. Per decenni la studiosa, pur assorbita da altre incombenze, si dedicò a queste certosine operazioni, da cui trassero origine non solo una diacronica classificazione di massima di questi peculiari ex-voto, ma anche una serie di articoli, editi tra il 1935 e il 1968, sulle caratteristiche generali della classe coroplastica, sui soggetti rappresentati e su singoli esemplari ritenuti più significativi. Tutti lavori che se da un lato favorirono il primo compiuto allestimento espositivo dei pínakes nel Museo di Reggio Calabria (1958), dall’altro hanno, più di recente, costituito un imprescindibile supporto strutturale alla pubblicazione del catalogo generale di questi monumenti.
Nei primi anni Sessanta iniziò, parallelamente, a prendere corpo un altro filone di interessi che polarizzerà l’attenzione di Montuoro fin quasi alla morte, quello legato al comprensorio della Sibaritide. Rimonta ad allora, infatti, la ripresa del dibattito – pubblico e scientifico – sull’individuazione del sito dell’antica Sybaris, la leggendaria (e allora irreperibile) pòlis achea distrutta dai Crotoniati nel 510 a.C.: dibattito alimentato dalla divulgazione dei sondaggi effettuati nel 1932 da Zanotti Bianco nella piana bagnata dal fiume Crati (loc. Parco del Cavallo), che sembravano aver messo la parola fine al discusso problema topografico.
Montuoro con una serie di ponderati scritti preparò il campo agli scavi estensivi (1969-76) che la soprintendenza alle Antichità della Calabria, in risposta a un tentativo di lottizzazione industriale, realizzò nella regione sibarita con il sostegno finanziario della Cassa per il Mezzogiorno e l’assistenza scientifica di una commissione consultiva nominata ad hoc dal ministero della Pubblica Istruzione (che pure la annoverava tra i membri). Senza mai rinunciare a trattare aspetti particolari o problemi definiti, palesati dalle continue scoperte, la studiosa seguì con cura tutte le fasi di edizione dei rapporti preliminari degli scavi, che assicurò all’Accademia nazionale dei Lincei, in qualità di capo-redattore (dal 1963) delle pubblicazioni.
Pressoché nello stesso periodo, fu ancora una volta tra i primi a segnalare l’urgenza di ricerche archeologiche nei pressi del centro cosentino di Francavilla Marittima, dove appassionati cultori di memorie locali e scavi clandestini additavano la presenza di siti inesplorati. Nuovamente la singolare intuizione della studiosa colse nel segno e gli scavi da lei avviati (1963), per incarico della soprintendenza calabrese, sull’acropoli di Timpone della Motta (sede di un santuario dedicato alla dea Athena), nella vasta necropoli di Macchiabate e sui pianori circostanti, contribuirono a far luce su importanti aspetti dell’incontro e della pacifica convivenza di Elleni, Levantini ed Enotri in una vasta area dell’Italia meridionale. Coadiuvata da archeologhe olandesi, proseguì le ricerche fino agli anni Settanta inoltrati, dando alle stampe ordinate relazioni di scavo e riservandosi soltanto l’edizione di qualche reperto che poneva difficili problemi interpretativi.
Molte altre questioni di storia e di archeologia della Magna Grecia furono oggetto delle sue ricerche, non sempre originate dai manufatti inediti, bensì talvolta derivate da dati già noti messi maggiormente a frutto per illuminanti ricostruzioni. Tali possono essere ritenuti i saggi sull’ubicazione dell’antico centro minerario di Temesa, sull’identificazione della città enotria di Kòssa-Cosa, sul Poseidonion di Poseidonia, sulla leggenda di Epeo, sul toponimo sorrentino Alimuri e sull’epigrafe rupestre osca di Punta della Campanella.
Morì il 14 agosto 1987 nella sua dimora del Pizzo, a S. Agnello di Sorrento (Napoli).
Fu socia dell’Accademia nazionale dei Lincei (dal 1947), dell’Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli (presidente nel 1969), della Pontificia Accademia romana di archeologia, dell’Istituto archeologico germanico e della British Academy (che le conferì, nel 1966, la «Arthur Serena medal»); è stata, inoltre, membro delle Deputazioni di storia patria per la Calabria e per la Lucania e uno dei 40 honorary members della Hellenic Society di Londra. Pur non avendo mai tenuto un insegnamento stabile in alcun ateneo italiano, svolse diverse conferenze e cicli di lezioni in Istituti superiori di cultura europei e americani. Della fama di cui godeva a livello internazionale rende testimonianza il suo coinvolgimento (1971), come principale rappresentante italiano, nel comitato redazionale che ha dato origine al Lexicon iconographicum mythologiae classicae.
Fonti e Bibl.: Un esame della figura umana e professionale di Montuoro non può prescindere dalla commemorazione di Giovanni Pugliese Carratelli, il 22 giugno 1988 (ed. in Atti dell’Acc. nazionale dei Lincei, Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 8, XLIII, [1988 ma 1990], 5-6, pp. 151 ss., con elenco sistematico degli scritti), nonché dalla consultazione degli Atti del convegno di Napoli (2-5 dicembre 1989): Omaggio a Paola Zancani Montuoro, a cura di M. Cristofani - F. Zevi, Roma 1992 (con interventi di M. Cifarelli, F. Barbagallo, E. Paribeni, G. Buchner, G. Bermond Montanari, M. Taddei ed E. Lepore). Si vedano inoltre: Biografie e bibliografie degli accademici lincei, Roma 1976, pp. 1317 s.; C. Belli, Donna Paola, in Magna Graecia, XXII (1987), 3/4, pp. 16 s.; P.G. Guzzo, L’attività in Sibaritide di Paola Zancani M., ibid., XXXI (1996), 7/12, pp. 22-27; L. Vlad Borrelli, I «pínakes» votivi di Locri e Paola Zancani M., in La Terra delle Sirene, 21 (dic. 2002), pp. 15-21; G. Tocco Sciarelli, Umberto Zanotti Bianco e Paola Zancani M. all’«Heraion» di Foce Sele, in Magna Graecia, archeologia di un sapere, a cura di S. Settis - M.C. Parra, Milano 2005, pp. 329 ss.; M. Russo, Gli ultimi anni di Paola Zancani M.. Ricordi di incontri e studi al ‘Pizzo’, in Paola Zancani M. (1901-1987), a cura di M. Russo, Sorrento 2007, pp. 33-56; L. Vlad Borrelli, Paola Zancani M., in Le donne e l’archeologia. Pioniere fra Ottocento e Novecento, a cura di A. Ceresa Mori, Milano 2008, pp. 84-94; F. Vistoli, I «pínakes» di Locri Epizefiri. Musei di Reggio Calabria e Locri, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, LXXV (2008-09), pp. 199-213; G. Greco, Storia delle ricerche, in Il santuario di Hera alla foce del Sele. Indagini e studi 1987-2006, a cura di J. de La Genière - G. Greco, Roma 2010, pp. 3-34; R. Pace, Paola Zancani M. archeologa outsider, in VIII Giornata archeologica francavillese, a cura dell’Ass. per la Scuola internaz. d’archeologia «Lagaria» onlus, Castrovillari 2010, pp. 29-33; L. Vlad Borrelli, L’eredità di Paola Zancani M., in Sorrento e la Penisola Sorrentina tra Italici, Etruschi e Greci nel contesto della Campania antica, a cura di F. Senatore - M. Russo, Roma 2010, pp. 133-146.