BIANCHETTI, Paola
Nacque a Castelfranco Veneto dal conte Giuseppe Valerio e da Luigia Anna Loro il 4 gennaio del 1876.
Nella sua evoluzione letteraria influirono certamente l'origine aristocratica e le idee repubblicane del padre, noto per la partecipazione alla lotta risorgimentale e per gli studi filosofici, sia pure superficiali.
Nato nel 1843 e morto nel 1888, il padre Giuseppe Valerio, garibaldino e repubblicano, aveva partecipato agli scontri di Vinzaglio, di San Martino, di Gaeta, di Bezzecca, dove meritò una medaglia, da lui rifiutata. Ebbe inoltre contatti con esponenti della cultura politica del tempo, da Q. Filopanti ad A. Mario a G. Carducci. Lettere di A. Mario e G. Carducci a lui furono pubblicate dalla figlia in Pegaso, III (1931), pp. 279-86. Il Bianchetti studiò il pensiero di Giordano Bruno e scrisse intorno a uno dei temi più dibattuti in quel periodo, libertà e religione, oltre a un saggio su Giorgione (Castelfranco Veneto 1878). Di chiara ispirazione carducciana è un suo tentativo poetico, carducciano anche nel titolo: Lucifero.
La B. crebbe quindi nel raffinato ambiente di quell'aristocrazia veneta che aveva saputo inserirsi nel movimento di unificazione nazionale. Dalla villa paterna passò a quella del marito, l'ingegnere Drigo, di Mussolente. Negli anni immediatamente antecedenti la prima guerra mondiale soggiornò a lungo a Roma, ne frequentò i salotti mondani e intellettuali, quando la capitale viveva l'ultima sua stagione umbertina. Ma la sua partecipazione alla vita della capitale fu mantenuta in una sorta di distacco, di distanza sottilmente ironica ed umoristica. Del resto, la prima guerra mondiale doveva ricondurla nel suo più consono ambiente veneto, dove visse le vicende del conflitto con l'intima solidarietà che unì le popolazioni asolane e carsiche alla causa nazionale.
Alla fine del conflitto, per la decadenza fisica del marito, che si spense lentamente, la B. dovette anche interessarsi dell'amministrazione della proprietà di Mussolente. Una certa delicatezza naturale e il logorio anche nervoso di tante contrastanti prove intaccarono l'equilibrio interiore della B., che cercò sollievo in ripetuti viaggi, in febbrili spostamenti. Finì per tornare a Mussolente. dove visse appartata, sempre un poco sofferente, ma fedele nella collaborazione a Pegaso (dal 1931)e alla Nuova Antologia, oltre che alla terza pagina del Corriere della Sera. Morì a Padova il 4 genn. 1938.
La narrativa realistica della B. - che firmava col nome di coniugata, Paola Drigo - non ripete la maniera fredda dell'ultimo naturalismo, e appare degna di attenzione per una sua indipendenza e autonomia rispetto al costume letterario contemporaneo. Il suo esordio ufficiale è riferibile al 1913, con il volume La fortuna (Milano), e fu patrocinato da E. Treves, che poi le aprì la collaborazione a L'Illustrazione Italiana e alla Nuova Antologia. Il romanzo narra di un'unione senza amore, forzata quasi, tra una giovane contadina e un aristocratico; l'attenzione dell'autrice finisce per concentrarsi sull'analisi psicologica del carattere della protagonista, della sua sofferenza morale che sfocia nella raggiunta consapevolezza del valore reale e concreto del suo mondo d'origine, quello contadino. Si potrebbe tentare di inserire la B., per la ricorrente rappresentazione di questo ambiente, del mondo degli umili e dei sofferenti, nel quadro di una letteratura di denuncia e di polemica sociale, ma motivi e istanze politiche furono sempre lontani dalla scrittrice: il suo era un verismo che muoveva da un dato ambiente per assurgere ad un intimismo prettamente morale, sentimentale. L'opera migliore della B. è forse il volume di racconti La signorina Anna (Vicenza 1932). Stilisticamente è l'opera più riuscita: il verismo è qui esemplare anche dal punto di vista formale, le reminiscenze deamicisiane sono superate da un rigore naturalistico. Fine d'anno (Milano 1936)costituisce, invece, quasi una vacanza dai precedenti toni più impegnati, in quanto vi predominano il gusto per l'autobiografia e l'abbandono alla confessione e al ricordo. Con il successivo romanzo,Maria Zef (Milano 1937; ebbe altre ristampe in Italia e traduzioni all'estero), sua ultima opera, tornano i temi dell'origine: la giovane costretta a soddisfare le volontà d'uno zio malvagio, l'intuizione che fatalmente tale sorte si estenderà alla sorella, e da qui la risoluzione di uccidere il parente.
Bibl.: R. Serra,Le lettere, Roma 1920, p. 117; P. Pancrazi,Scrittori italiani dal Carducci al D'Annunzio, Bari 1937, pp. 217-227; A. Bocelli,Scrittori d'oggi, in Nuova Antologia, 1ºgenn. 1933, pp. 144-46; ibid., 16 ott. 1937, pp. 466-468; ibid., 1ºfebbr. 1938, pp. 350-351; B. Brunelli,Ricordi d'arte e di vita di P. Drigo, in L'Illustrazione Italiana, 17 luglio 1938; L. Gillet, P. Drigo, in Revue des deux mondes, 15genn. 1938, pp. 443-57; Id.,Destino di P. Drigo, in La lettura, aprile 1939; M. Valgimigli,Uomini e scrittori, Firenze 1943, pp. 195-220; G. Raya,Il romanzo, Milano 1950, p. 483; T. Rovito,Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 149; M. E. Pontello Negherbon,Una scrittrice veneta: P. Drigo, in Aevum, XXXVII (1963), 5-6, pp. 502-526. Per Giuseppe Valerio B., v. la commemorazione di R. Fabris, Venezia 1889; Diz. del Risorg. naz., II, p. 281.