PANUCCIO del Bagno
PANUCCIO del Bagno. – Appartenne alla consorteria pisana dei de Balneo o Balneatores o del Bagno, residente nel quartiere Kinzica, dove aveva il patronato sulla chiesa di S. Lorenzo.
Cristiani (1995, p. 10) avanzò il dubbio di una derivazione della famiglia Del Bagno dai Bagni di San Giuliano, come sembrerebbero testimoniare diversi possedimenti terrieri in località limitrofe; Melani (1996, pp. 196 s.), convinto dell’«ascendenza cittadina» della famiglia, sulla scorta dell’albero genealogico pubblicato da Ronzani (1986, p. 168), individua la famiglia di Panuccio in quella originariamente «chiamata “De Bono”, dal nome del capostipite, che successivamente prese il nome di “de Balneo” in quanto agli inizi del sec. XIII essi possedevano in Kinzica […] un edificio termale, uno stabilimento balneare pubblico».
Nella scarsità di notizie che lo riguardano, appare del tutto incerta la stessa identificazione di Panuccio, recentemente messa in discussione da Melani (pp. 198 ss.), il quale, di contro alla tradizione che lo identificava con Panuccio Frangipane di Bartolomeo (quest’ultimo già morto nel 1254) – il primo Panuccio annoverato nell’albero genealogico della famiglia del Bagno (Ronzani, 1986, p. 168) –, ipotizzò l’identificazione del poeta con il secondo Panuccio, figlio di Pancuccio e nipote del primo. Quest’ultimo Panuccio risulta già morto nel 1307, mentre suo figlio Ranieri, detto Neruccio, prese parte alle dispute familiari per il patronato della chiesa di S. Lorenzo intorno al 1321.
Il primo Panuccio (Frangipane) rappresentava la sua famiglia tra i livellari dell’arcivescovato, del quale risulta anche fidelis, nel 1254, quando «avrà avuto almeno tra i venti e i trenta anni» (Zaccagnini, 1917, p. 11), ciò che induce a ipotizzare la sua nascita tra il 1224 e il 1234; nel 1256 egli era tra i consiliarii del Comune. Il terminus ad quem della sua morte si deduce dalla «promessa di nozze fatta da Simone di Giovanni del fu Pancolo del Bagno, a cui è testimone Pancuccio del fu Panuccio del Bagno» del 13 maggio 1276 (Cristiani, 1955, pp. 18-20).
Strettamente correlato all’identificazione del Panuccio rimatore è il problema dell’interpretazione del suo unico testo politico, La doloroza noia, i cui riferimenti storici restano per lo più oscuri proprio a causa delle innumerevoli incertezze e carenze documentarie sulla biografia dell’autore.
Nell'opera Panuccio lamenta la degenerazione della vita pubblica a Pisa in seguito all'avvento di un nuovo regime, reo di avere sovvertito il buon governo della città e di aver sottomesso il bene comune a quello della sua parte. L’accusa al nuovo governo cittadino di esser causa della rovina militare di Pisa fece dapprima propendere Zaccagnini (1915, p. 253) a inquadrare la canzone nel contesto della signoria di Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti.
L’identificazione dell’autore con il primo Panuccio costrinse in seguito lo stesso Zaccagnini (1917, pp. 10-13) a escludere qualsiasi riferimento alla signoria ugoliniana, in ciò seguito dalla tradizione critica successiva. Brambilla Ageno (nell'edizione delle Rime di Panuccio, 1977, pp. 72 s.) ritenne che il componimento fosse «uno degli ultimi» di Panuccio Frangipane, facendolo «risalire all’inverno 1275-6»: gli eventi che fanno da sfondo sarebbero così collegati alle discordie cittadine che portarono all’esilio prima di Giovanni Visconti, poi dello stesso Ugolino, con la formazione della parte guelfa in esilio. Tangheroni (1992) ricondusse la canzone al «vero cambiamento istituzionale di regime avvenuto a partire dall’estate 1254: l’avvento del Comune di Popolo» (p. 17); in questo contesto Panuccio si farebbe portavoce del «punto di vista della nobiltà» contro «il nuovo regime di parte» (p. 23).
Tuttavia Melani (1996, pp. 199-201), supponendo che il rimatore potesse essere riconosciuto nel Panuccio figlio di Pancuccio, tornò alla originaria ipotesi di riferire il contesto polemico della canzone alle vicende della signoria di Ugolino della Gherardesca e Nino Visconti. In questo caso, l’allusione dantesca alle accuse mosse a Ugolino «d’aver tradita te [Pisa] nelle castella» (Inferno, XXXIII, v. 86) tornerebbe ad assumere i connotati, già intuiti da Gaspary (1887, p. 75), di «un preciso e probabilissimo riferimento letterario» (Melani, 1996, p. 199) rispetto all’analoga rimostranza di Panuccio al nuovo regime pisano d’aver «perdute castella e piano in guerra» (v. 40).
A puntellare tale ipotesi interverrebbero i rapporti della famiglia del Bagno, seguace della «tradizionale tendenza politica ghibellina di Pisa» (Melano, 1996, p. 200), con i conti di Donoratico: lo zio paterno di Panuccio Frangipane, Giovanni, era per l’appunto fidelis di Bonifazio e Ranieri, figli di Gherardo il Vecchio (Cristiani, 1955, p. 15), che rappresentarono una fiera opposizione alla signoria ugoliniana (Melani, 1996, pp. 200 s.).
Sulla scorta di questa lettura di La doloroza noia, Leonardi tende a collocare negli «anni seguenti alla battaglia della Meloria (1284) e alla massiccia deportazione di prigionieri pisani a Genova» anche la corrispondenza di Panuccio con Lotto di ser Dato, che gli «indirizza un “lamento” da fuori città» (2001, p. 201), in una condizione che sembrerebbe «di esilio o di confino», se non di «prigionia» (Rime, 1977, p. 85).
Panuccio, seppur talvolta latore di «qualche novità metrica, ad esempio nei congedi» (Contini, 1960, p. 299), appare rimatore «di stretta osservanza guittoniana […], generalmente alieno da iniziative che lo distolgano dal suo esercizio preferito, la ripetizione a oltranza dei ritrovati del maestro» (Tartaro, 1974, p. 72).
Il suo corpus poetico, trasmesso quasi per intero dal Laurenziano Rediano 9 della Biblioteca Mediceo Laurenziana di Firenze e, per quanto riguarda i primi quattro testi, dal Vaticano latino 3793, consta di 22 componimenti (6 sonetti, 12 canzoni, 4 stanze di canzone), dai quali appare chiara «l’intenzione […] di costruire un piccolo canzoniere organico» (Contini, 1960, p. 299), come è avvertibile nei numerosi richiami intertestuali, sovente di tipo capfinido, pratica che ben si inquadra nel suo esercizio di marca guittoniana. In questo senso, le rime di Panuccio sembrano talvolta assumere finanche una strutturazione diegetica, come, a esempio, nella serie disforica VII-X, culminante nella professata liberazione da Amore. Oltre ai testi incentrati sui motivi topici della servitù d’amore, dell’esaltazione della donna amata e del lamento per la sua durezza (I-X, XII, XIV-XV, XXI), la musa di Panuccio si esplica in testi di carattere moraleggiante (XVI-XX, XXII), mentre solo in un caso si dedica alla polemica politica, la già discussa canzone La doloroza noia (XI), sorta di «costruzione a intarsio condotta sull’intera fascia della maggiore produzione etico-politica di Guittone» (Tartaro, 1974, p. 66), con particolare aderenza al modello di Gente noiosa e villana. Relativamente pochi i versi di corrispondenza: oltre al citato scambio con Lotto, Panuccio invita a 'giostrare' un ignoto (XIX a-b), al quale egli sembra rimproverare «di avere perduto ben tre anni in un amore non corrisposto» (Rime, 1977, p. 105), mentre col sonetto XVIII consola un «amico» per una sua sventura. A questi si aggiunge il sonetto Similemente, gente criatura di Pucciandone Martelli, secondo Carrai (1985) «risposta non richiesta» (p. 285) a Lasso sovente sente di Panuccio.
Sulla morte di Panuccio non si hanno notizie.
L'edizione critica di riferimento è Le rime di P. del B., a cura di F. Brambilla Ageno, Firenze 1977; principali altre edizioni: Rimatori siculo-toscani del Dugento, I, Rimatori pistoiesi lucchesi pisani a cura di G. Zaccagnini - A. Parducci, Bari 1915, pp. 143-180; Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Milano-Napoli 1960, pp. 299-313; M. Musa, The Poetry of P. del B., Bloomington, IN,1965; E. Rossi, P. del B. (Panuccio di Panculo di Pericciolo). Rime, in TLIon Tradizione della letteratura italiana online, 2012 (http://www.tlion.it/index.php?type=opera&op=fetch&id=140&lang=it).
Fonti e Bibl.: A. Gaspary, Storia della letteratura italiana, Torino 1887, p. 75; L. Biadene, Morfologia del sonetto nei secoli XIII e XIV, in Studi di filologia romanza, IV (1888), pp. 1-234 passim; G. Zaccagnini, Notizie intorno ai rimatori pisani del sec. XIII, in Giornale storico della letteratura italiana, LXIX (1917), pp. 8-13; E. Cristiani, I dati biografici ed i riferimenti politici dei rimatori pisani del Dugento, in Studi mediolatini e volgari, III (1955), pp. 7-26; M. Musa, Movement and meaning in a poem by P. del B., in Modern Language Notes, LXXVII (1962), pp. 37-48; C.A. Dorigo, Rimatori pisani del Duecento. Saggio filologico-critico, Malta 1966, pp. 19-23, 161-67, 196-203, 206-12, 224-28, 243 s.; A. Tartaro, Un problema di cronologia, in Il manifesto di Guittone e altri studi fra Due e Quattrocento, Roma 1974, pp. 63-75; P. Cherchi, Interpretazione d’un sonetto di P. del B., in Studi e problemi di critica testuale, X (1975), pp. 5-10; E. Savona, Sul testo delle “Rime” di P. del B., in Filologia e critica, III (1978), pp. 107-58; F.F. Minetti, L’ordo artificialis in P. e Bacciarone, Messina 1983; M . Ronzani, Un aspetto della “Chiesa di Città” a Pisa nel Due e Trecento: ecclesiastici e laici nella scelta del clero parrocchiale, in Spazio, società, potere nell’Italia dei Comuni, a cura di G. Rossetti, Napoli 1986, pp. 143-94; M. Tangheroni, Nobiltà e popolo nella Pisa del Duecento: per una rilettura della canzone politica di P. del B., in Rivista di letteratura Italiana, X (1992), pp. 9-24; S. Carrai, Una ignorata corrispondenza poetica nella Pisa del Duecento: P. del B. e Pucciandone Martelli, ibid., pp. 281-87; S. Melani, Nota sulla biografia del rimatore P. del B., in Bollettino storico pisano, LXV (1996), pp. 195-201; L. Leonardi, Il canzoniere Laurenziano: struttura, contenuti e fonti di una raccolta d’autore, in I canzonieri della lirica italiana delle Origini, a cura di L. Leonardi, IV, Saggi critici, Firenze 2001, pp. 155-214.