PANTHEON (dal gr. Πάνϑειον sottinteso ἱερόν "tempio consacrato a tutti gli Dei")
È il monumento antico che più di ogni altro si mantiene nella sua integrità e può dirsi forse il più importante e significativo dell'architettura romana per la vastità della mole, per il carattere dello schema planimetrico, che unisce un edificio rotondo (forse derivato dalla forma della tholos e analogo a una sala termale) col pronao di tipo greco, per la sapienza costruttiva con cui è stata elevata la cupola, che è la maggiore delle cupole romane.
L'iscrizione del frontone - sull'antica traccia sono state incastrate lettere di bronzo moderne - dice:
M • AGRIPPA • L • F • COS • TERTIVM FECIT
Essa si riferisce al tempio primitivo, innalzato dal genero di Augusto, durante o dopo il suo terzo consolato (27 o 25 a. C.), in seguito alle importanti opere di risanamento compiute nel Campo Marzio, e forse fu incisa sull'architrave del nuovo tempio in ricordo di chi per primo lo dedicò.
I passi più importanti degli antichi scrittori che si riferiscono al Pantheon sono quelli di Dione Cassio (LIII, 27) e di Plinio (Nat. Hist., XXXIV, 13 e XXXVI, 38); il monumento è altresì ricordato da Sparziano nella vita di Adriano (cap. 19), dai regionarî costantiniani e da altri autori più tardi.
Dione Cassio scrive che nel 25 a. C. Agrippa completò la costruzione della Basilica di Nettuno, del "laconico" delle Terme e del Pantheon; il quale ebbe tal nome forse perché ricevette fra le altre statue quelle di molte divinità, fra cui Marte e Venere, o forse anche, aggiunge lo scrittore, perché la sua cupola assomiglia a quella del cielo.
Da Plinio rileviamo che l'edificio fu decorato da Diogene Ateniese, del quale si ammiravano le cariatidi in columnis e le sculture del frontone, e che i capitelli delle colonne erano in bronzo.
Sappiamo da altre fonti che il tempio andò distrutto nell'incendio scoppiato sotto Tito (80 d. C.) e che fu restaurato da Domiziano; colpito di nuovo dal fulmine e bruciato nel 110, al tempo di Traiano, fu rifatto da Adriano insieme con le altre costruzioni agrippiane del Campo Marzio.
I passi di Dione Cassio e di Plinio, che tante e disparate discussioni hanno fatto sorgere sulla rotonda, sulla contemporaneità o meno dell'avancorpo e sulla posizione delle cariatidi di Diogene ateniese nella decorazione interna, si debbono riferire certamente non alla costruzione attuale, che per maturità grandiosa e tecnica perfetta appartiene al sec. II d. C., ma alla costruzione preesistente.
Di fronte all'incertezza delle notizie storiche, la data di fondazione del Pantheon si può dedurre dai numerosi bolli doliarî trovati nelle murature (cfr. Corpus Inscr. Latin., XV, p.1), secondo i quali la costruzione deve essere assegnata ad Adriano, come del resto è confermato da Sparziano nella Historia Augusta (Vita Hadr., 19, 10).
Durante i lavori di consolidamento e di sistemazione, eseguiti dal 1929 al 1934, si è potuto osservare che tutto il complesso del Pantheon fu costruito sopra un banco di argilla di colore bluastro.
La fondazione della rotonda è costituita da un anello di calcestruzzo, alto m. 4,50 largo 7,30 circa, formato di strati orizzontali di scaglie di travertino annegate in una malta tenacissima di calce e pozzolana, rivestito solo all'esterno in laterizio con paramento di semilateres.
L'avancorpo e il porticato sono fondati in parte su strutture più antiche che possono essere quelle di Agrippa e, pure essendo costruiti dopo la rotonda in ordine di tempo, appartengono con questa a un preciso e unico programma edilizio sapientemente preordinato e che non ha mai subito alcuna variazione d'orientamento.
Le murature della rotonda, dal pavimento alla prima cornice, per un'altezza di m. 12,50, sono formate da un nucleo composto di strati alternati di scaglie di travertino e di tufo allettate con malta fina, rivestito da laterizio minuto con paramento di semilateres dello spessore di m. 0,60 e sono divise in senso orizzontale da regolari ricorsi di bipedali alla distanza di m. 1,20: dalla prima cornice all'imposta della vòlta, per un'altezza di m. 9,50, il nucleo è composto di strati alternati di tufo minuto e di frammenti di laterizio, disposti regolarmente in letto di malta, rivestito come sopra e con gli stessi ricorsi.
La cupola, impostata sull'ultimo cornicione interno, è stata costruita su una centinatura semisferica, di eccezionale solidità, che portava le forme dei lacunari. Anche nella vòlta la muratura è tessuta a corsi orizxontali ed è così costituita: dall'imposta, per un'altezza di m. 11,75, da laterizio minuto con i soliti ricorsi di bipedali; per un'ulteriore altezza di m. 2,25 da tufo e laterizio a corsi alternati, con due spianamenti di bipedali ravvicinati; per la parte rimanente da tufo e scoria vulcanica leggerissima, sempre a ricorsi alternati.
L'occhio è formato da un grande anello (diametro m. 9) di bipedali legati, disposti a piattabande.
La cupola è coperta prima di semilateres disposti a squame, poi da uno strato di opus signinum che costituisce la parte impermeabile della vòlta, attualmente rivestita anche di piombo. Il peso della cupola è ripartito sugli otto grandi piloni, vuoti all'interno, mediante robuste vòlte di scarico in bipedali: fatto caratteristico del Pantheon è appunto la costruzione degli archi e delle vòlte unicamente in bipedali.
Il diametro interno della cupola, che è uguale alla sua altezza dal pavimento, misura m. 43,30
Il portico ha 16 colonne monolitiche di granito rosa e grigio, con basi e capitelli di marmo; le tre colonne a sinistra furono rialzate una da Urbano VIII, le altre da Alessandro VII.
L'infanzia del Pantheon, se così si può dire, deve essere stata molto accidentata, se la si giudica dalle forti lesioni e dai fenomeni di schiacciamento, avvenuti dopo il disarmo delle poderose armature che avevano servito per la costruzione della vòlta, e dai numerosissimi lavori di rinforzo. Le lesioni, dovute a movimenti di assestamento, sono state seguite dalla base della rotonda fino quasi alla sommità. Le opere di consolidamento, consistenti in rinfianchi alle fondazioni e alla cupola, in rifasciamenti e speronature al corpo anulare, sono maggiori verso il Tevere, in corrispondenza dell'ingresso e della nicchia principale.
Le due iscrizioni che si leggono nel frontone del portico, sotto quella di Agrippa, ricordano restauri eseguiti da Settimio Severo e da Caracalla.
Nell'anno 609, dopo oltre quattro secoli dalla sua costruzione, il Pantheon divenuto chiesa cristiana, S. Maria ad Martyres, dovette subire varie mutilazioni per l'adattamento al nuovo culto: tuttavia lo scavo di corridoi e cappelle nei piloni, e cioè nei punti più inopportuni; la creazione di altre nicchie e la trasformazione di quelle esistenti; più tardi la sistemazione di sepolture, come quella di Raffaello e di varî altri artisti; le asportazioni delle decorazioni in bronzo, soprattutto ad opera di Urbano VIII, che diede motivo alla nota pasquinata "quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini"; la distruzione dei marmi policromi dell'attico compiuta dall'arch. Posi nel 1747; l'abusivo addossamento esterno di case; l'installazione di forni i cui camini portavano la fuliggine nel tempo attraverso le crepe della cupola; i tagli enormi di murature per la costruzione dei campanili del Bernini (le famose "orecchie d'asino" che Guido Baccelli fece demolire nel 1883); l'asportazione d'opere di rinforzo non credute tali; e soprattutto l'azione edace del tempo, non sono riusciti né a menomare la stabilità né a turbare l'armoniosa grandiosità del tempio, reso ora ancor più sacro dai sepolcri dei re d'Italia.
Per il Pantheon è stato sempre vivissimo l'interessamento degli artisti e degli studiosi. Tra i primi sono da menzionare quei maestri del Rinascimento, come Raffaello, il Sangallo, il Dosio, il Palladio, che ce ne hanno lasciato interessanti rilievi. Le ricerche e le discussioni dei moderni archeologi si sono volte specialmente ai problemi della sua data, della sua destinazione, delle varie fasi della sua costruzione, dei suoi rapporti con le prossime terme d'Agrippa; molti dei quali ancora non possono dirsi definitivamente risolti. (V. tavv. LIII-LVI).
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