DE MARCHI, Pantaleone
Figlio (Majocchi, II, 1949, p.7, nr. 1611) di un maestro Comino (Giacomo), questo intarsiatore e scultore cremonese è stato talora confuso con un figlio (Schottmüller, p. 179) o fratello (Romano, 1969, p. 17) di Agostino De Marchi, che per altro appartiene ad altra famiglia. Non si hanno notizie sulla sua data di nascita, da situare forse all'inizio del quinto decennio del secolo XV, né sulla sua formazione, anche se è possibile che il padre esercitasse la medesima professione.
La prima parte della sua attività si svolse nella città natale: in un documento del 30 apr. 1467, smarrito nell'originale, ma noto tramite una trascrizione ottocentesca con il nome storpiato in De Mazzolis (Grasselli, 1827, p. 37, vedi Caffi, 1880, p. 116), il D. veniva menzionato come autore, insieme con Bonifacio Bembo, di una preziosa ancona, oggi dispersa, per l'altare maggiore del duomo di Cremona. A verosimile che il D. sia stato responsabile solo della parte lignea dell'opera; il 27 febbr. 1469 i due artisti andarono in causa per la spartizione del compenso (Bandera Bistoletti, 1987, p. 162).
Nel 1480 il D. e il bolognese Lorenzo di Antonio si accordarono per fare, nella stessa chiesa, il nuovo organo (De Vecchi, p. 63), completato (e non privo di difetti) entro il 2 giugno 1482 (Puerari, 1971, p. 172) ma sostituito nel secolo successivo.
È proprio la consuetudine di lavoro con la cattedrale cremonese a giustificare in parte il subdolo tentativo del D. (condotto in compagnia di Tommaso del Sacca) di sottrarre l'allogazione del coro di Cremona a G. M. Sacchi, detto Platina: il 4 ed il 12 febbr. 1483 i due intarsiatori, approfittando di una temporanea assenza dei canonici della cattedrale, proposero ai massari di eseguire le tarsie in minore tempo e con minore compenso di quanto fosse stato concordato con il più giovane rivale, presentando a tale scopo anche uno stallo campione (Id., 1967, pp. 139 s.). Ottenuto in tal modo un mutamento del contratto, non riuscirono però a convincere i canonici, così fermi sulla loro scelta iniziale da obbligare gli artisti, il 10 nov. 1485, a desistere dall'impresa (id., pp. 141 s.).
I documenti del 1483 sono anche gli unici a fornire altre notizie biografiche sul D.: viene citata la sua residenza a San Vito di Cremona, e nominati due suoi nipoti, Antonio e Marco, figli del fratello Andrea (già morto all'epoca), dimoranti a Mercatello presso Cremona. Non risulta da alcun atto che l'artista abbia avuto una propria famiglia.
Dopo il fallito colpo di mano a Cremona, l'attività del D. si ridusse per qualche tempo a dimensioni più modeste, se è proprio lui quel "magister ad organis" interpellato - peraltro senza esiti - dal Gran Consiglio di Crema nel 1489 per il nuovo organo della cattedrale, allora chiesa maggiore (Terni de Gregory, 1958).
In seguito l'artista si trasferì a Pavia, dove il 5 marzo 1492 (Magenta, pp. 384 s.) veniva incaricato di stimare - in luogo dell'assente frá Giovanni da Verona ed insieme con Giacomo de' Crocifissi e Cristoforo Rocchi - i lavori eseguiti per il coro dei monaci della certosa da Bartolomeo de Polli; il successivo 4 ottobre riceveva la commissione di dodici spalliere, con gli apostoli o altre figure, da consegnare entro un anno (Id., p. 353, ma vedi anche Majocchi, II, 1949, p.7, nr. 1611).
Nel contratto, in cui, in una frase poi cancellata, si accennava genericamente a lavori già prodotti dal D. per la chiesa pavese, non era specificato se gli intarsi fossero destinati al coro dei monaci (come comunemente viene inteso dagli studiosi) oppure a quello dei conversi, mentre veniva espressamente ordinato all'artista di attenersi ai modelli che gli sarebbero stati forniti: non è chiaro in proposito, accettando l'ipotesi della presenza del D. nel coro principale, se responsabile dei cartoni sia stato, tra i diversi pittori attivi per la certosa a questa data, Bernardino da Fossano (Pesenti, 1968, p. 91) o Bernardo Zenale (Ferretti, 1982, p. 51).
Benché i documenti sui cori di Pavia non siano sempre di facile lettura, pare molto probabile che il D. abbia esteso il suo intervento rispetto al contratto iniziale; si spiegherebbe in questo modo la sua presenza alla certosa fino al 1495 (Majocchi, II, 1949, pp. 41 s., 46, nn. 1766, 1776, 1797), anno a partire dal quale cessano le notizie su di lui.
Il lavoro del De Polli, il cui primo coro risultò sgradito a Ludovico il Moro, che nel giugno 1491 lo fece "ruinare, designandolo come haveva ad stare" (A. Luzio-R. Renier, Delle relazioni di Isabella d'Este Gonzaga con Ludovico e Beatrice Sforza, in Archivio storico lombardo, XVII [1890], p. 114), doveva essersi limitato ai soli intarsi non figurati (Ferretti, 1982, p.513), mentre negli anni 1495-97 il ruolo del D. venne ricoperto, stando ad una fonte del Seicento (Valerio, 1879, p. 139) da Pietro da Velate (ma vedi, per un contrario parere, Ferretti, 1982, p. 513). Non sembra possibile, allo stato degli studi, affrontare con sicurezza una divisione più dettagliata dei singoli interventi sul coro pavese - senza dubbio opera di più artistì - né risulta completamente fondato l'unico tentativo sinora condotto (Pesenti, 1968, p. 91).
Tuttora esistente nella cappella maggiore della certosa, il coro è formato da quarantadue stalli, ad un solo ordine: gli specchi, inclusi quelli degli inginocchiatoi, sono decorati ma privi di figure, con l'eccezione delle spalliere in cui compaiono la Vergine, gli Apostoli, personaggi, biblici e santi. Il complesso godette subito di una discreta fama, tanto da essere esplicitamente citato come modello nella commissione del coro del duomo di Savona, nel 1500, ad Anselmo de Fornari ed Elia Rocchi (G. Fusconi, Ilcoro dell'antica cattedrale di Savona come replica del coro della Certosa, in Studi di storia dell'arte, I[1977], p. 92).
La brusca interruzione documentaria sul D. al 1495 lascia non risolto il problema dell'originaria collocazione dell'unica opera firmata dall'artista, cinque grandi frammenti di un coro ligneo (per un totale di trenta stalli), oggi divisi tra il BodeMuseum di Berlino Est e il Musée Jacquemart-André di Parigi (Schottmüller).
Gli stalli presentano tre ordini di tarsie con uno schema simile a quello pavese, ma a differenza di quest'ultimo accanto agli apostoli e ai santi appaiono nature morte e paesaggi. La tesi corrente (Torriti) che identifica in tali frammenti i resti del coro dei conversi della certosa di Pavia, smembrato verso la fine del XVIII secolo, è suffragata dalla testimonianza dell'Albuzzi, che lesse nel coro ancora in loco una firma molto simile a quella tuttora riscontrabile su una tarsia berlinese, ma non è attestata dai documenti: da un minuzioso contratto del 14 giugno 1502 (Majocchi, II, 1949, p. 160, nr. 2207) infatti si ricava che le tarsie figurate del perduto complesso, formato da quarantasei stalli e collocato nel braccio sinistro del transetto, vennero eseguite da Bartolomeo De Polli e da Giacomo Del Maino. L'evidente affinità rintracciabile tra gli esemplari parigini e le tarsie di Savona (Torriti, 1952, p. 188), forse spiegabile con la presenza nel coro ligure del pavese Elia Rocchi, non risolve la questione della collocazione originaria dei frammenti di Parigi e di Berlino. A questi ultimi è stato accostato (Ferretti, 1982, pp. 514 s.) un cassone nuziale segnalato da P. Schubring in una collezione privata di Monaco (Cassoni, II, Leipzig 1923, nr. 900).
È stato giustamente espunto dal catalogo del D. (S. Maspero, in Pavia, Pinacoteca Malaspina, Pavia 1981, p. 132) un rilievo con un Presepio ora in deposito alla Pinacoteca Malaspina di Pavia.
Fonti e Bibl.: A. F. Albuzzi, Memorie per servire alla storia de' pittori scultori e architetti milanesi [1776], a cura di G. Nicodemi, in L'Arte, LII (1951-52), Supplem., p. 31; G. Grasselli, Abecedario biografico dei pittori, scultori ed architetti cremonesi, Milano 1827, p. 37;G. L. Calvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano, II, Milano 1865, p. 268;F. Sacchi, Notizie pittoriche cremonesi, Cremona 1872, p. 177;M. Valerio, Memorie inedite sulla certosa di Pavia, in Archivio storico lombardo, VI (1879), pp. 139, 144, M. Caffi, Le tarsie pittoriche di fra Giovanni da Verona, ibid., VII (1880), p. 114; C. Magenta, La certosa di Pavia, Milano 1897, pp. 353 s., 384 s., 419;L. Beltrami, La certosa di Pavia, Milano 1907, p. 93;G. De Vecchi, Brevi cenni storici sulle chiese di Cremona, Cremona 1907, p. 63;F. Schottmüller, Das Chorgestühl des P. D. s im Kaiser-Friedrich Museum in Berlin, in Jahrbuch der K. Preussischen Kunstsammlungen, XXVI (1915), pp. 175-188;R. Majocchi, Codice diplomatico artistico di Pavia, I, Pavia 1937; II, ibid. 1949 (cfr. R. Cipriani, Indice..., Milano 1968, s.v. Marchi, Pantaleone de); P. Torriti, Tarsie del coro del duomo di Savona, in Commentari, III (1952), p. 189, G. Terni de Gregory, La musica a Crema, in Archivio storico lombardo, LXXXV (1958), p. 302;A. Puerari, Le tarsie del Platina, Cremona 1967, pp. 44, 139-142;F. R. Pesenti, La pittura, in La certosa di Pavia, Milano 1968, pp. 90 s.; G. Romano, Il coro di S. Lorenzo, s. l. 1969, p. 17;A. Puerari, Il duomo di Cremona, Milano 1971, p. 172;M. Ferretti, I maestri della prospettiva, in Storia dell'arte italiana, Einaudi, XI, Torino 1982, pp. 512-515; S. Bandera Bistoletti, Documenti per i Bembo ... una città ducale del Quattrocento e gli Sforza, in Arte lombarda, 1987, 80/81/82, pp. 162 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 67s. (sub voce Marchi, Pantaleone de, con ult. bibl.).