PANISLAMISMO
. Vocabolo coniato per la prima volta, a quanto pare, nel 1881 dal pubblicista francese Gabriel Charmes, sul modello di pangermanismo e panslavismo, per designare un insieme di movimenti e di tendenze di popoli musulmani verso una stretta unione politica e spirituale fra loro, avente come meta suprema, anche se non dichiarata, la liberazione dei musulmani dal dominio europeo e la loro costituzione in unità politica attorno a uno stato indipendente, forte abbastanza per tener testa all'Europa, e che sembrava a molti poter essere l'Impero Ottomano, retto da ‛Abd ul-Ḥamīd II (1876-1909).
In realtà l'idea dell'unità politica musulmana è l'essenza stessa del diritto pubblico islamico e la logica conseguenza dell'opera di Maometto nell'ultimo decennio della sua vita; durante qualche secolo il califfato fu appunto l'attuazione perfetta di ciò che s'intende con il nome di panislamismo (v. califfo; islamismo n. 18). Ma il giornalismo e la diplomazia europea ne considerarono solo l'aspetto moderno di reazione e ribellione all'Europa, sia che si manifestasse sotto forma di moti insurrezionali isolati (a cominciare dalla rivolta dei sepoys nell'India, 1857-1858), sia che risultasse dagl'incitamenti alla solidarietà pratica musulmana inculcata con la parola e con gli scritti dal famoso Giamāl ad-Din-al-Afghāni (v.; morto nel 1897) sin dal 1870 e dal suo discepolo egiziano Muḥammad Abduh (morto nel 1905), sia che apparisse in via d'attuazione nell'abile politica di ‛Abd ul-Hamīd II, che per i suoi scopi di egemonia morale su molti popoli musulmani, fuori del suo impero, sapeva sfruttare l'opera delle confraternite, la confusione d'idee in Europa riguardo all'islamismo e al califfato, e le stesse rivalità delle potenze occidentali. Quindi avviene ancor oggi di trovare qualificati come panislamici fatti che sono semplicemente piccole reazioni locali ad autorità europee, o movimenti politico-religiosi, che tendono essenzialmente al ravvivamento e alla purificazione dell'islamismo moderno in determinate regioni (Wahhābiti, Senussi, Mahdisti).
Nel sec. XX forse nessun musulmano s'illude più che sia possibile la ricostituzione del califfato, ossia del vero panislamismo teorico e prarico completo; il fallimento del congresso per il califfato, tenuto al Cairo nel maggio 1926, è dovuto appunto alla constatazione dell'impossibilità di far rivivere ai nostri giorni, dopo secolare interruzione, un istituto che, fra l'altro, presupporrebbe la fine del dominio europeo su molti paesi d'Asia e d'Africa. Ma anche all'infuori di questa difficoltà, l'idea d'un panislamismo politico, ossia d'una riunione dei paesi musulmani in unica monarchia o anche in una federazione, trova ostacolo gravissimo nelle stesse idee di nazionalismo e di vita parlamentare, che l'Europa ha inoculate nell'oriente islamico nell'ultimo trentennio del secolo passato e ha fatte attuare quasi ovunque dopo la guerra mondiale. Lo stesso concetto di stato avente come base la comunanza di fede religiosa ha perduto terreno; e se si aggiungano le differenze di razza, di lingua, di condizioni culturali e di necessità economiche, risulta evidente agli stessi musulmani il carattere per ora utopistico d'un vero panislamismo politico. Quel che rimane vivo, e anzi ha acquistato grandissimo vigore dopo la guerra mondiale, favorito dalla diffusione della stampa e dei metodi parlamentari e dal comune sentimento antieuropeo, è il panislamismo nel senso di una solidarietà morale contro veri o presunti soprusi europei, di solidarietà materiale sotto forma di pubbliche sottoscrizioni per profughi o per istituzioni islamiche (p. es., per i restauri alla moschea al-Aqṣà a Gerusalemme e per l'università musulmana da fondare in quest'ultima città), o anche sotto forma d'intervento presso stati contendenti, allo scopo di far evitare o cessare conflitti, com'è stato il caso nella guerra fra il regno arabo sa‛ūdiano e lo Yemen nel primo semestre del 1934. Un organo permanente di solidarietà islamica è il Congresso generale musulmano convocato a Gerusalemme nel dicembre 1931 e subito trasformatosi in istituzione stabile, avente gli scopi seguenti: diffondere tra i musulmani, senza distinzione di patrie e di riti, lo spirito di fratellanza e cooperazione e la cultura musulmana; proteggere gl'interessi islamici e i luoghi santi contro ogni tentativo d'ingerenza cristiana; opporsi all'attività missionaria cristiana fra i seguaci dell'islamismo; fondare università e istituti superiori d'istruzione a carattere schiettamente musulmano, e occuparsi di qualsiasi faccenda che interessi il mondo islamico. Altri organi di panislamismo morale e culturale sono le associazioni dei giovani musulmani, sorte in Palestina e in Egitto nel 1927-1928 e presto diffuse anche in Tunisia, nella Mesopotamia, a Giava, ecc., con tendenza crescente a stringersi fra loro in intimi rapporti; e così pure giornali e periodici, fra i quali ultimi particolarmente notevoli le due riviste arabe cairine al-Fatḥ (settimanale) e al-Manār (mensile). Da questo movimento si tiene lontana la Turchia dopo la laicizzazione del suo governo nel 1924.