SERAFINI, Panfilo
– Nacque a Sulmona il 23 agosto 1817 da Emidio, agricoltore, e da Maria Luisa Maiorano, filatrice.
Trascorse l’infanzia e l’adolescenza nella città natale, aiutando fra l’altro il padre nel lavoro dei campi e nella custodia del bestiame. L’umiltà delle origini non ne agevolò le opportunità educative, tuttavia il canonico capitolare Giuseppe Pace, del quale era divenuto amico, ne notò la vivace intelligenza e la precoce disposizione allo studio, e lo ammise a frequentare i corsi del locale seminario diocesano, dove apprese il latino e forse anche il greco. Desideroso di completare la sua formazione, nel 1838 Serafini si trasferì a Napoli, dove restò per otto anni.
Non è nota l’origine delle risorse che gli consentirono di soggiornare nella capitale del regno per un periodo così lungo. Si sa tuttavia che seguì (con scarso entusiasmo) le lezioni universitarie di logica e metafisica di Pasquale Galluppi, ma non risulta che fosse regolarmente iscritto all’università, né che conseguisse gradi accademici.
Frequentò assiduamente la Biblioteca Borbonica, stringendo amicizia con il filosofo e archeologo lucano Cataldo Jannelli, che a quell’epoca ne era custode. Si dedicò inoltre a scrivere saggi di argomento storico e filosofico, che furono pubblicati in prevalenza su Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti. Nel 1846, Serafini lasciò Napoli e si trasferì a Montecassino, dove si trattenne per un biennio, insegnando eloquenza in seminario e approfondendo gli studi etnografici, sulla scorta della lezione di Jannelli. Frutto di tale impegno fu il saggio storico-mitografico Degli abruzzesi primitivi (Montecassino 1847), ampia rassegna dei popoli che abitarono la regione nei tempi antichi e dei loro istituti civili e religiosi. Nell’ottobre del 1848 fece ritorno a Sulmona, dove continuò a dedicarsi all’insegnamento, impartendo dapprima lezioni private presso la propria abitazione, e poi, a partire dal maggio del 1849, come docente presso l’Istituto di scienze e lettere fondato qualche anno prima dal sacerdote Leopoldo Dorrucci, con il quale condivideva interessi culturali e propensioni politiche filoliberali.
Nel febbraio del 1849, proclamata la Repubblica Romana, cominciò a circolare clandestinamente in città e in provincia un opuscolo anonimo, e con l’apocrifa indicazione di Roma quale luogo di stampa, intitolato Sulla caduta della teocrazia romana, vibrante requisitoria contro il potere temporale dei papi e in favore dell’indipendenza italiana. Nell’aprile successivo, inoltre, comparvero in città dei manifesti con un sonetto intitolato A san Panfilo vescovo e protettore di Sulmona, che pure si concludeva con un appello all’unità e all’indipendenza della nazione. La voce pubblica indicò in Serafini l’autore di entrambi i testi, ma la polizia borbonica, nonostante serrate indagini, non riuscì a trovare prove per incriminarlo e dichiarò chiuso il caso nel 1850. Intorno a lui, tuttavia, seguitava ad aleggiare un clima di diffidenza da parte del governo, come dimostrava l’ordinanza di polizia che nel 1852 decretò la chiusura dell’istituto scolastico in cui egli insegnava, costringendolo a ripiegare insieme a Dorrucci sull’insegnamento presso il seminario diocesano. Nel maggio del 1853 vi fu una nuova provocazione antiborbonica: fu trovato affisso sotto casa del sindaco un manifesto recante una Protesta del popolo napoletano, già circolata all’Aquila qualche anno prima e reputata ingiuriosa nei confronti del re e del governo. Questa volta la macchina repressiva si mosse più efficacemente, disponendo un’accurata perquisizione della casa di Serafini e dell’unica azienda tipografica presente in città, quella di Ubaldo e Antonino Angeletti. Dalle indagini risultò che tanto l’opuscolo Sulla caduta della teocrazia romana che il sonetto A san Panfilo del 1849 erano stati stampati presso la tipografia sulmonese. Serafini, che aveva pubblicato alcuni saggi eruditi con gli Angeletti, risultò dal canto suo fortemente indiziato come autore di entrambi i testi. Mentre però gli Angeletti furono immediatamente arrestati, Serafini riuscì a fuggire nel vicino comune di Introdacqua (L’Aquila), dove trovò rifugio presso un amico. Presto si diresse verso lo Stato pontificio, ma appena superato il confine, ad Arsoli, fu identificato e arrestato dalla polizia. Ristretto nel carcere della cittadina laziale, riuscì avventurosamente a fuggire, ferendosi un braccio durante l’evasione, e a raggiungere Roma, dove si nascose assumendo false generalità. Riconosciuto, nonostante tutto, dalla polizia pontificia, fu catturato e consegnato alle autorità borboniche.
Il processo a carico di Serafini e dei due Angeletti fu celebrato nel 1854 all’Aquila dinanzi alla Gran Corte speciale dell’Abruzzo Ulteriore II. Gli imputati furono riconosciuti colpevoli di aver, rispettivamente, scritto e stampato opuscoli e fogli contrari alla religione e al governo. Con sentenza del 21 marzo 1854, gli Angeletti furono condannati a dieci anni di relegazione su un’isola e Serafini a venti anni di carcere duro. Iniziò in tal modo per l’intellettuale abruzzese una serie di peregrinazioni in alcuni degli istituti di pena più malsani del regno: dapprima Montefusco, poi Montesarchio (entrambe in Principato Ulteriore), e infine Procida. Fu in tali prigioni, fra l’altro, che Serafini contrasse la tubercolosi che in pochi anni lo avrebbe condotto alla morte. Nell’agosto del 1859, probabilmente anche a causa delle sue precarie condizioni di salute, la pena gli fu commutata in confino in una provincia diversa da quella di origine: scelse pertanto di stabilirsi a Chieti, dove, ripresi gli amati studi, collaborò con un periodico locale. Intanto, con l’estate del 1860, le nuove condizioni politiche del Mezzogiorno gli consentirono di tornare nella città natale.
In tale frangente, secondo Benedetto Croce, gli fu assegnato «un posto di custode, ossia d’inserviente, in non so quale museo o biblioteca, che egli rifiutò» (Croce, 1920, pp. 146 s.). Le raccolte normative ufficiali tuttavia smentiscono tale affermazione, dato che con decreto luogotenenziale del 7 dicembre 1860, Serafini fu nominato «conservatore di prima classe» (Atti officiali..., 1860, vol. 26, p. 297) del Museo nazionale e degli scavi di antichità: incarico subordinato solo a quello del direttore generale. Il rifiuto di Serafini fu dovuto pertanto non a un gesto di orgoglio, ma, verosimilmente, agli ormai delicati problemi di salute.
Rimasto nella città natale, ebbe tempo di fondare una società operaia, di cui fu primo presidente, e di ricoprire, nel 1862, la carica di assessore comunale. Fu ospitato negli ultimi tempi da un amico medico, Giuseppe Di Rocco, in casa del quale morì l’11 novembre 1864.
Fonti e Bibl.: Atti officiali estratti dal Giornale officiale di Napoli, 1860, n. 26, p. 297; Sentenza politica della Gran Corte Speciale di Aquila pronunziata nel dì 21 marzo 1854 contro P. S. di Sulmona, a cura di N. Serafini, Sulmona 1891; S. Castromediano, Carceri e galere politiche: memorie del duca S. Castromediano, I, Lecce 1895, pp. 342 s.; B. Costantini, Azione e reazione. Notizie storico-politiche degli Abruzzi, specialmente di quello chietino, dal 1848 al 1870, Chieti 1902, pp. 37-41; B. Croce, Pagine sparse raccolte da G. Castellano. Serie terza. Memorie, schizzi biografici e appunti storici, Napoli 1920, pp. 139-149; F. Zerella, Lo storicismo spiritualistico di P. S., in Logos, XX (1937), 4, pp. 609-633; F. Sardi de Letto, P. S. nel Risorgimento. Rievocazione nel ciclo delle celebrazioni, del primo centenario dell’unità d’Italia, Sulmona 16 settembre 1961, Sulmona 1962; O. Poillucci, P. S. letterato, filosofo e patriota nella Sulmona del sec. XIX, Sulmona 1966; N. Roncalli, Cronaca di Roma 1844-1870, a cura di D.M. Bruni, III, Roma 2006; M. Di Giangregorio, S. P., in Gente d’Abruzzo. Dizionario biografico, a cura di E. Di Carlo, IX, Castelli 2007, pp. 253-256; E. Mattiocco, P. S. figlio d’Italia, L’Aquila 2011; Miscellanea di prose edite ed inedite per P. S., a cura di E. Mattiocco, Sulmona 2012; Fermenti culturali e rivoluzionari nel Mezzogiorno, in Abruzzo e nell’opera di P. S., Atti del Convegno... 2013, Torre dei Nolfi 2014.