SASSO, Panfilo.
– Nacque a Modena, presumibilmente nel 1455: nell’atto di nascita è registrato come Sasso de’ Sassi, Panfilo Sasso fu il suo nome letterario. Non sono noti i nomi dei genitori.
La data è ricavabile, per congettura, da una lettera dello stesso Sasso a Cassandra Fedele del 19 marzo 1493, in cui, parlando di sé, affermava: «Pamphilus Saxus Mutinensis octavum et trigesimum circiter agens annum» (Fedele, 1636, p. 184). La stessa data sembra all’incirca confermata da Tommasino Lancillotti, che al giorno 25 marzo 1523 della sua Cronaca Modenese lo diceva «de età de anni settanta o circa» (Cavazzuti, 1903, App., p. 10). L’unico dato contrastante proviene da Girolamo Casio (1528) che, nell’epitaffio di Sasso, lo dice morto (nel 1527) all’età di ottant’anni (c. 70r).
Non si hanno notizie della sua giovinezza, né dell’apprendistato culturale e letterario. La sua prima opera databile con sufficiente certezza è il sonetto Quando nascesti, Amor? - Quando la terra, quasi sicuramente composto entro il 1477, che ebbe in seguito grande fortuna e diffusione, manoscritta e a stampa, fino a Cinquecento inoltrato.
Dalla citata lettera a Cassandra Fedele risulta che, appunto, nel 1493, già risiedesse in una terra del Veronese detta Rafa («cum in praesentia hujus Veronensis agri vicum nomine Rapha incolat Pamphilus Saxus»), e che dunque avesse già lasciato Modena, forse per sopravvenute difficoltà economiche. Nell’anno successivo, Matteo Bosso, muovendo da Verona verso Ravenna, visitò Sasso a Erbeto (oggi Erbè: Bossus, 1498, ep. LXXXIII). Secondo Ludovico Castelvetro, nel 1495 Sasso era presente in Verona a un banchetto in onore del podestà Girolamo Donato, dove dette prova delle sue prodigiose qualità mnemoniche e improvvisative; Girolamo Tiraboschi (1781) tuttavia, sostiene che il fatto dovette avvenire in Brescia, «perciocché in questa sola città fu Podestà il Donato, e fuvvi appunto a questi tempi medesimi» (V, pp. 24 s.). È comunque probabile che in questi anni facesse la spola tra Brescia ed Erbeto (e quindi Verona), come potrebbe risultare da un’altra lettera di Bosso del 1497, in cui lo pregava, nel caso dovesse recarsi a Verona, di venirlo a trovare presso il suo monastero (Bossus, 1498, ep. CXC). Nel 1498 dovrebbe essersi stabilito a Brescia, dove probabilmente pubblicò il suo Brixia illustrata carmine, che è ricordato da Elia Capriolo (1744) nella sua Chronica de rebus Brixianorum (p. 218).
Il 1499 fu un anno decisamente cruciale per la fortuna editoriale di Sasso. Del 13 giugno è la prima edizione, presso lo stampatore Bernardino Misinta, della Disperata contro l’amore, che risulta essere anche la prima edizione a stampa sicuramente databile di una sua opera volgare. Il 6 luglio uscì, sempre per Misinta, la princeps delle sue opere latine: Epigrammatum libri quattuor. Distichorum libri duo. De bello gallico. De laudibus Veronae. Elegiarum liber unus. In seguito alla fuga da Milano di Ludovico il Moro (1° settembre 1499) Sasso lo attaccò violentemente in un opuscolo in versi, che ebbe due edizioni, una intitolata Carmen ad Onophrium advocatum patricium venetum, l’altra Capituli e Soneti [...] de la divisione et guerre de Italia et del Moro et del Re di Franza, quasi sicuramente pubblicate negli ultimi mesi dello stesso anno (Percopo, 1899, pp. 194-212; Malinverni, 2002, pp. 317-335).
A conferma dell’ormai stretto rapporto con la città, il 7 febbraio 1500 una provvisione del Comune di Brescia premiò Sasso per le sue spiegazioni di Dante e Petrarca (Storia di Brescia, 1963, p. 491 nota). Il 13 giugno Misinta chiese e ottenne il privilegio per la stampa delle opere volgari di Sasso, che uscirono, presumibilmente, dopo breve tempo.
L’edizione, Sonetti e capituli del clarissimo poeta miser Pamphilo sasso modenese, è la princeps, e la testimonianza più copiosa e rilevante, della sua produzione poetica volgare. Produzione che, nel suo complesso, parrebbe constare di 596 individui: di questi, ben 450 (ossia 406 sonetti, 39 capitoli e 5 egloghe) sono presenti nella princeps bresciana e nelle successive ristampe dei Sonetti e capituli; le rimanenti 145 rime (ovvero 48 sonetti, 8 capitoli, 2 egloghe polimetriche, un poemetto in ottava rima, 87 strambotti), convenzionalmente definibili extravaganti, sono tràdite o da edizioni parziali o da miscellanee, sia manoscritte sia a stampa. Nonostante il privilegio ottenuto, Misinta non ristampò più i Sonetti e capituli. L’iniziativa, invero tempestiva (la data di edizione è 30 dicembre 1500, dunque nello stesso anno d’uscita della princeps), della prima ristampa, intitolata Opera del praeclarissimo poeta miser Pamphilo sasso modenese, è di un altro Bernardino, questa volta Vercellese (alias de’ Viani), operante a Venezia, che sembrerebbe avere immediatamente ‘fiutato’ l’affare editoriale (non a caso, ben sei ristampe dell’Opera, tra 1500 e 1511, sono da assegnarsi al Vercellese, e questo su un totale generale di nove edizioni nel periodo 1500-1519).
I primi anni del nuovo secolo (almeno fino al 1506) fanno registrare un’attività editoriale, da parte di Sasso, ancora ricca e costante (segno evidente di un buon seguito di lettori). Nel 1501 si segnalano sia l’uscita (l’8 marzo a Roma per Johann Besicken e Martino da Amsterdam) della prima edizione datata degli Strambotti, sia, il 7 ottobre, la seconda ristampa dell’Opera per cura di Bernardino Vercellese. Ben tre le uscite del 1502: il 26 marzo è la volta della seconda edizione bresciana, sempre per Misinta, della Disperata contro l’amore; il 15 novembre la terza ristampa dell’Opera (questa volta a Milano, per cura di Giovann’Angelo Scinzenzeler); infine (in data imprecisata) la quarta ristampa veneziana, sempre dell’Opera, del Vercellese. Una sola uscita nel 1503, per la terza edizione della Desperata (a Milano, per Pietro Martire da Mantegazza).
Secondo Tiraboschi, nel 1504, Sasso dovette essere di nuovo stabilmente a Modena, sulla base (invero piuttosto labile) di una menzione di Cristoforo Melanteo in un capitolo presente nelle Collettanee grece latine e vulgari per diversi Auctori moderni nella morte de l’ardente Seraphino Aquilano (stampate appunto nel luglio di quell’anno): «Vidi Pamphilo Sasso, el qual dimora / nella città de Modena [...]» (Tiraboschi, 1781, p. 26: e nelle stesse Collettanee apparvero nove sonetti di Sasso scritti per la morte dell’Aquilano).
Il 28 novembre è la volta della quinta ristampa dell’Opera, sempre a Venezia per Bernardino Vercellese: che vide poi, con medesimo luogo ed editore, la sesta ristampa nel corso del 1505. A chiudere questo periodo di fervida presenza editoriale è infine, il 28 dicembre 1506, una nuova ristampa, milanese, degli Strambotti per cura di Ioanne Maria di Farre.
Nel 1508 Sasso, come attestato da Giuliano Fantaguzzi, si stabilì a Cesena («Miser Sasso Pamphilo mutinense poeta e in ogne facultà doctissimo e masime in teologia e in medicina miracoloso questo anno venne abitare a Cesena e sempre recitava cose degne e grande con una facundia inestimabile»: Piccioni, 1903, p. 209), dove risulta presente ancora nel 1511, quando, per le nozze della nipote Alda, «fece recetare certe tragedie e comedie e fece festa e uno pasto solemnissimo da re duca e signor grande» (pp. 209 s.). Intanto, nello stesso anno uscì (il 20 febbraio) la settima ristampa veneziana dell’Opera per cura di Bernardino Vercellese; mentre, in data imprecisata, Giovann’Angelo Scinzenzeler ripubblicò a Milano i suoi Strambotti.
Un passo della cronaca Beliardi lo attesta a Modena il 17 ottobre 1512: «Furon fatte magnificamente le Settime in S. Domenico a M. Hercole Tassone, et fece la Oratione M. Saxo dal pulpito» (Tiraboschi, 1781, p. 26). Nello stesso anno Giovanni Guasco sostiene («non so su qual fondamento», osserva Tiraboschi nello stesso luogo) «ch’ei fu Maestro di Belle Lettere in Reggio, e che ivi se ne conserva un’Orazion Manoscritta» (Guasco, 1711, p. 98), mentre ancora Fantaguzzi lo dice attivo come lettore a Cesena: «Messer Pamfilo Sasso da Modena de li primati [...] nel mondo legeva a Cesena agli scolari» (Piccioni, 1903, p. 212).
Un documento dell’Archivio notarile di Modena del 22 giugno 1513 riferisce di una lite civile in cui è coinvolto Sasso (Bertoni, 1906, p. 273); il 30 ottobre era invece ancora a Cesena, dove «fe’ una bella e elegante oratione nel Domo in lodatione de Cesena exortando li Citadini a la pace e a gaudersella» (Piccioni, 1903, p. 210).
Nell’edizione dell’Orlando Furioso del 1516, Ludovico Ariosto nomina Sasso nella rassegna finale di amici e letterati (XL, 11, 1-2): «I’ veggio al Sasso, al mio Hannibal far festa / di rivedermi [...]»; la menzione è mantenuta, con minimi ritocchi, nell’edizione del 1521 («al Sasso, al Molza, al mio cugin far festa / Hannibal vego [...]»: dove compare l’accostamento alla nuova gloria poetica modenese, Francesco Maria Molza) e, soprattutto, a morte del poeta già avvenuta, nell’edizione del 1532 (XLVI, 12, 4: «e ’l Sasso e ’l Molza e Florian Montino»).
Scarse le testimonianze sugli anni immediatamente successivi. Se si eccettua la pubblicazione, il 1° febbraio 1519 a Venezia per Guglielmo da Fontaneto, dell’ottava e ultima ristampa della sua Opera, la notizia immediatamente successiva la si deve di nuovo a Tiraboschi, che fa congetturalmente cadere al 1521 il riferimento di Ludovico Castelvetro all’attività di lettore, per lo più privato, di Sasso: «Udi’ ne’ primi anni in Modena Panfilo Sasso, il quale ognì dì continuamente in casa interpretava o il Petrarca, o il Dante, o alcun altro autore ad istanza delle persone che il corteggiavano» (Tiraboschi, 1781, p. 26). Risale, invece, al dicembre del 1522 l’ultima edizione a stampa databile (ma senza indicazione di luogo e stampatore) di opere volgari di Sasso, in questo caso gli Strambotti.
Prevedibilmente più ricco di testimonianze risulta l’anno successivo. Infatti, per iniziativa di fra Tommaso da Vicenza, vicario provinciale dell’Ordine dei Domenicani, il 23 marzo 1523 il S. Uffizio emise la sentenza del processo di eresia intentato contro Sasso.
Il poeta era stato denunciato da alcuni concittadini, ed era ora accusato per diversi motivi: «pluries negasti esse Paradisum Purgatorium et Infernum [...] Similiter humanam animam esse immortalem negasti [...] Fecisti similiter sonettum in quo aut certitudinem divinae scientiae aut libertatem humanae voluntatis negasti».
Sasso naturalmente fece completa abiura e fu perdonato, ma con l’obbligo di pronunciare per la successiva Pasqua un’orazione in S. Domenico riguardante la propria abiura, e di scrivere «capitulum unum vulgari sermone idem continens». Tuttavia Sasso si finse malato, e nel frattempo si provvide di un breve pontificio con il quale si commetteva al vescovo di Modena di permutare la punizione inflittagli dal S. Uffizio. Il 7 aprile il vescovo, Tommaso Forni, commutò la pena eliminando le obbligazioni più fastidiose, e nel contempo minacciò l’inquisitore, frate Tommaso, di scomunica ove non avesse ottemperato al suo ordine. Nonostante ulteriori interventi del vescovo contro l’atteggiamento rigidamente intransigente assunto dall’inquisitore, l’intento persecutorio di questo continuò a lungo, costringendo il poeta e lo stesso vescovo Forni a riparare in Bologna, e il 15 maggio Sasso ricorse direttamente al pontefice. Non si sa (per l’interrompersi della documentazione dopo il 7 luglio) quanto effettivamente si protrasse il contenzioso: ma è certo che infine venne riconosciuta a Sasso l’innocenza, sicuramente grazie al continuo appoggio della famiglia Rangoni. Fu infatti il conte Guido che gli fece ottenere il governatorato di Longiano, in Romagna (Renda, 1911, pp. 10-18).
Per qualche anno latitano precisi riscontri sulle attività; ma nell’epistola dedicatoria a Giacomo Guicciardini (datata 15 marzo 1527) della sua Consolatoria [...] a la magnifica e generosa madonna Camilla Scarampa ne la morte del marito, Sabba Castiglione racconta di essersi recato a trovare Sasso, che «fuggendo le tempestose fortune della turbata Italia» si era nel frattempo rifugiato a Faenza, «securo e tranquillo porto della provintia» (Scarpati, 1982, pp. 102 s.).
Poco dopo, il 27 settembre 1527, morì a Longiano.
Scrive Lancillotti sotto questa data : «Viene nuova, come il magnifico Poeta Messer Saxo Modenese è morto a Lonzani in Romagna, in la quale terra era Governatore et Podestà, et era vecchio dottissimo; il quale officio ghe lo aveva dato il Sig. Conte Guido Rangoni per esser suo desso luogo, et per l’amore che gli portava, et per le sue virtù, che era amato da tutto il mondo» (Cavazzuti, 1903, App., p. 10).
La produzione lirica volgare di Sasso (si veda, da ultimo, P. Sasso, Sonetti (1-250), a cura di M. Malinverni, Pavia 1996) si colloca (insieme con quella di Serafino Aquilano, Cariteo e Antonio Tebaldeo, per citare solo i più noti) in quella temperie tradizionalmente definita come ‘poesia cortigiana’, sviluppatasi, intorno alle principali corti settentrionali, nei due ultimi decenni del Quattrocento. Gli studi più recenti stanno contribuendo a superare le connotazioni immancabilmente negative (eredità delle pur benemerite attenzioni della scuola storica di fine Ottocento e delle incomprensioni crociane) che hanno a lungo mortificato un intero gruppo di rimatori riducendoli al denominatore comune di un genere bollato come facile, se non esclusivamente finalizzato all’intrattenimento galante o alla promozione sociale. Quando, di là dagli evidenti limiti di una stagione ben presto superata e ‘rimossa’ dai successivi sviluppi, segnatamente bembeschi, dell’esperienza lirica volgare, è spesso presente la ricerca di un linguaggio poetico originale e di notevole complessità. A partire dai caratteri più evidenti della polivalenza tematico-stilistica, che è stata troppo spesso confusa con un’onnivora e acritica disponibilità occasionale e improvvisatoria, quando, nella maggior parte dei casi, si tratta invece di una scelta cosciente e priva di sensi di colpa nella non osservanza di quel comandamento di ortodossia e monostilismo che assunse, di lì a breve, i connotati inevitabili dell’archetipo petrarchesco. E, in particolare, in Sasso è evidente la presenza di estese aree aperte a una libera e rischiosa inventività verbale e metaforica, che si sarebbe tentati di definire un portato residuo (ma spesso né vacuo né provinciale) della maggiore creatività dantesca: tale, probabilmente, da far ritenere la poesia di Sasso il frutto più originale della breve stagione lirica cortigiana.
Fonti e Bibl.: M. Bossus, Epistolae familiares et secundae, Mantova, Bertocco, 1498; G. Casio, Libro intitulato Cronica, ove si tratta di epitaphii di amore e di virtute..., s.l. né d. [ma 1528?]; C. Fedele, Epistulae, Padova 1636; G. Guasco, Storia litteraria del principio, e progresso dell’Accademia di belle lettere in Reggio, Reggio 1711; E. Capriolo, Chronica de rebus Brixianorum, Venezia 1744; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Modena 1781, V, pp. 22-34; A. D’Ancona, Del secentismo nella poesia cortigiana del sec. XV, in Id., Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Ancona 1884, pp. 151-237; F. Gabotto, Francesismo e antifrancesismo in due poeti del Quattrocento: P. S. e G. Alione, in Rassegna emiliana, I (1888), pp. 282-300; E. Percopo, Un “libretto” sconosciuto di P. S., in Studi di letteratura italiana, I (1899), pp. 194-212; G. Cavazzuti, Lodovico Castelvetro, Modena 1903, App., p. 10; L. Piccioni, Di Francesco Uberti umanista cesenate, Bologna 1903, pp. 209-212; G. Bertoni, Sasso Sassi alias P. S., in Giornale storico della letteratura italiana, XLVIII (1906), pp. 272-274; U. Renda, Il processo di P. S., Modena 1911; Storia di Brescia, Brescia 1963, passim; D. De Robertis, L’esperienza poetica del Quattrocento, in Storia della letteratura italiana, III, Milano 1966, pp. 489 s.; G. Contini, Letteratura italiana del Quattrocento, Firenze 1976, pp. 312 s.; A. Rossi, Serafino Aquilano e la poesia cortigiana, Brescia 1980, pp. 125-128; C. Scarpati, Ricerche su Sabba Castiglione, in Id., Studi sul Cinquecento italiano, Milano 1982, pp. 102 s.; M. Malinverni, Sulla tradizione del sonetto «Hor te fa terra, corpo» di P. S., in Studi di filologia italiana, XLIX (1991), pp. 123-165; M. Malinverni, Un libello politico di fine Quattrocento: il “Carmen ad Onophrium” di P. S., in Annali Queriniani, 2002, 3, pp. 317-335; Id., L’edizione e il commento dei “Sonetti e capituli” di P. S., in Petrarca in Barocco. Cantieri petrarchistici. Due seminari romani, a cura di A. Quondam, Roma 2004, pp. 361-389.