PERSICO, Panfilo
PERSICO, Panfilo. – Nacque a Belluno nel 1571, primogenito dei sette figli di Priamo, nobile bellunese, e di Emilia Filermo, gentildonna friulana.
Discendente dalla ricca famiglia cittadina dei Persicini, il suo antenato, il cavaliere Andrea, figlio del capostipite Francesco, nel 1497 cambiò il cognome in Persico, dando origine al casato, che si distinse a Belluno fino al XVIII secolo. La residenza della famiglia, situata in pieno centro cittadino, fu l’elegante palazzo quattrocentesco ricavato da una torre trecentesca, denominato anche Reviviscar, fino al 1596, quando fu venduto allo storico Giorgio Piloni, nell’anno in cui Persico raggiunse la maggiore età. L’anno di nascita si ricava dall’atto di compravendita, essendosi persi i registri battesimali.
A quindici anni (1586) Persico divenne segretario del vescovo di Padova, Federico Cornaro, per trasferirsi subito dopo a Roma, presso l’arcivescovo di Monreale Lorenzo de Torres II. Fu ordinato sacerdote nel 1594. Nel 1598 fece parte della delegazione che accompagnò Clemente VIII alla presa di possesso del Ducato di Ferrara, tornato sotto la giurisdizione della Sede apostolica dopo la morte di Alfonso II d’Este. Lì ebbe modo di conoscere Maffeo Barberini, allora prelato e già governatore di Fano. L’anno seguente ottenne il canonicato di Ceneda e, per intercessione del vescovo Marcantonio Mocenigo, fu nominato membro della delegazione pontificia. De Torres, divenuto cardinale, nominò Persico suo segretario nel 1605.
Dopo la morte di De Torres, la carriera di segretario ecclesiastico di Persico si affermò ulteriormente con l’avvicinamento al duca di Bracciano Alessandro Orsini, nominato da Paolo V cardinale nel 1615. Persico si distinse per le sue abili capacità diplomatiche, adoperandosi per la S. Sede con Enrico IV di Francia, il quale lo raccomandò tramite il suo ambasciatore a Roma al nipote del pontefice, il cardinale Scipione Borghese, qualificandolo come «uno dei migliori segretari del suo tempo» (Bertozzi, 1952, p. 100). Persico continuò a seguire Orsini, nelle sue missioni di legato pontificio, divenendone segretario personale e ottenendo incarichi prestigiosi presso il viceré di Napoli, il granduca di Toscana e il cardinale Carlo de’ Medici.
Compose molto probabilmente a Belluno il trattato Della filosofia morale e politica d’Aristotele, che pubblicò a Venezia nel 1617, con dedica al duca d’Urbino, Federico Ubaldo Della Rovere, il quale gli concesse il prestigioso titolo di primo segretario di Stato. Sempre a Venezia diede alle stampe nel 1620 il suo trattato più noto, Del segretario, concreta testimonianza delle sue esperienze professionali, con dedica al cardinale Alessandro Orsini. Nello stesso anno pubblicò presso l’editore Giovan Battista Ciotti di Venezia il trattato inedito del suo concittadino Giovan Pietro Dalle Fosse (Pierio Valeriano) Dialogo della volgar lingua, con dedica al cardinale Carlo de’ Medici. Avrebbe composto anche «un lungo Dialogo tra la Fortuna e l’autore, rimasto inedito, e giacente tra le carte personali di Tommaso Antonio Catullo», naturalista e geologo bellunese (1782-1869; cfr. Mugna, 1858, p. 19).
Consolidato il suo status, Persico venne a contatto con i vertici della gerarchia ecclesiastica romana. Con l’elezione pontificia nel 1623 di Maffeo Barberini, divenuto Urbano VIII, Persico fu nominato abate di S. Stefano a Spalato e segretario del giovane nipote del pontefice, Francesco Barberini, creato cardinale nell’ottobre dello stesso anno. In una nuova e più rilevante missione diplomatica a Parigi, Persico fu al seguito del munifico cardinale, che dovette affrontare la sua prima importante prova politica nella capitale francese. Barberini trattò la questione della Valtellina, dopo avere ottenuto dal pontefice il delicato incarico di proporre un armistizio tra Francia e Spagna, di assicurarsi che non venissero fatte concessioni ai Grigioni e, in particolare, che il territorio della Valtellina rimanesse sotto il controllo della Chiesa. Persico partecipò alla delegazione, partita il 18 marzo 1625 e arrivata a Parigi il 21 maggio, che risultò fallimentare sia per l’inesperienza del giovane cardinale italiano sia per la spregiudicata politica di Richelieu e della corte francese, pronta anche a iniziare trattative con gli ugonotti, nonostante le proteste di Barberini. Persico mise comunque in luce le sue capacità e si meritò la nomina papale a vescovo di Belluno.
Partito dalla Francia nel novembre e diretto al porto di Civitavecchia per raggiungere Roma e di lì proseguire per la nuova sede vescovile, durante il viaggio Persico fu colto improvvisamente «da febbre continua con dolori ippocondriaci» (Persico, 1841, p. 39), e fu costretto a sbarcare a Savona. Le sue condizioni apparvero subito senza speranza, e morì a Savona il 17 dicembre 1625, dunque senza mai svolgere le funzioni di vescovo della sua città.
Persico fu in contatto con le famiglie più potenti e munifiche di Roma, come gli Orsini e i Barberini, e anche se la sua opera precede di alcuni anni il sodalizio dei barberiniani, essa ne preannuncia sapientemente alcuni caratteri e atteggiamenti, nella ricerca di quel prudente e complesso compromesso ideologico che avrebbe contrassegnato in maniera considerevole gli ambienti culturali romani della prima metà del secolo.
Il trattato Della filosofia politica e morale d’Aristotele (Venezia, G.B. Ciotti, 1617), è diviso in due parti: la prima (dieci libri) è dedicata alla morale, la seconda (otto libri) è dedicata alla politica. Presenta toni moderati e vicini alla visione postridentina, permeati di umori antimachiavelliani: «Et è falso presupposto che ’l Principe sia necessitato a far male, perché basta la giustizia a castigare i tristi, e gli huomini si contengono in ufficio col premio e con la pena, e sono per lo più quali sono i Principi e i Magistrati che gli governano» (Introduzione, p. 7). La nutrita simpatia che in più modi viene manifestata nei confronti delle istituzioni repubblicane è, se non smentita, abilmente mitigata nelle rivelazioni delle qualità indiscutibili che la vita cortigiana può offrire. Tuttavia, sia nelle corti sia nelle repubbliche si possono raggiungere ottimi risultati, come è avvenuto in Grecia e a Roma: tutto dipende da chi governa e compito del buon cittadino (come sarà per il buon segretario) è sapersi conformare a quel tipo di governo. Se Aristotele insegna che la politica deve servire alla religione, come la medicina alla sanità, la cristiana prudenza, «habito prattico di conoscere», è il vero fine della politica. Ma tale idea di prudenza si allontana non poco da quella emergente di ‘prudenza del mondo’, tipica della trattatistica barocca, e dalla quale Persico, nel Segretario, ostenta una fiera presa di distanza, accusandola di essere, con il pretesto della religione e della pietà cristiana, motivo di inganno, «doppiezza» e «perversità».
Proprio su tale linea – tesa a coniugare la lezione aristotelica con la tradizione umanistica, maestra della dottrina etica e civile dell’uomo, e al disprezzo nei confronti di modelli neoplatonici – Persico intese recuperare e nobilitare atteggiamenti e compiti della professione del segretario, che sembrava essersi inesorabilmente allontanata dalla sua originaria funzione. Il trattato Del Segretario libri quattro, ne’ quali si tratta dell’arte, e facoltà del segretario, della istituzione, e vita di lui nelle repubbliche, e nelle corti, della lingua, e dell’artificio dello scrivere, del soggetto, stile, et ordine della lettera, de i titoli, e delle cifre. Di generi universali delle lettere, e delle specie loro, delle istruttioni, e dei memoriali… (Venezia, D. Zenaro, 1620), ebbe una discreta fortuna editoriale, con cinque ristampe nel corso del secolo (Venezia 1629, 1643, 1656, 1674; Roma, 1655).
Nel I libro, dedicato alla Figura fine definizione ufficio del Segretario presso nelle Corti o le Repubbliche, si palesa da subito la polemica nei confronti della nuova figura di ‘segretario neoplatonico’, cosi com’era stata rappresentata dai recenti trattati di Bartolomeo Zucchi, L’idea del segretario (Venezia 1600), e di Benedetto Pucci, Nuova idea di lettere usate nella segreteria (Roma 1616). Confortato dagli ultimi due libri della Metafisica aristotelica, dove il mondo delle idee platoniche diviene oggetto di serrate critiche, Persico insiste nel riproporre il segretario come «huom civile perito nello scriver lettere», capace professionalmente di basarsi sui canoni umanistici di un sapere che coniughi sapienza e prudenza, sempre correlate alla scienza morale e civile. Sebbene ci siano riferimenti cari alla trattatistica coeva nel paragonare tale figura professionale al dio della mutevolezza, Vortumno, o al camaleonte, e all’elogio della dissimulazione intesa come «doppio saper», altrettanto autentica è la volontà di Persico di reintrodurre la nobile funzione di una professione degradatasi nell’ambito della mutata gestione dei poteri. Il codice comportamentale da tenere con il principe è oscillante tra modelli classici e affatto moderni. Negli ultimi tre libri, rivolti alla esemplificazione della variegata arte di scrivere lettere, Persico raccomanda l’uso della lingua toscana, secondo il modello di Giovanni Della Casa e scevra di concettismi e di «vizi dello scriver moderno».
Fonti e Bibl.: G. Persico, Lettere inedite di Giuseppe Persico intorno a P. P., Belluno 1841; F. Mari, Dizionario storico-artistico-letterario, Belluno 1843, pp. 117 s.; P. Mugna, Delle scuole e degli uomini celebri in Belluno, Venezia 1858, pp. 18 s.; F. Brevini, Un segretario inedito del Seicento, in Rivista d’Italia, XII (1909), pp. 85-102; A. da Borso, Una lettera inedita di P. P., in Archivio storico di Belluno Feltre e Cadore, II (1930), 9, pp. 113-115; L. Alpago Novello, Quattro lettere inedite di P. P., ibid., VI (1934), 35, pp. 561-563; A. Bertozzi, P. P., ibid., XXIII (1952), 121, pp. 99-104; N. Tiezza, La Chiesa di Belluno e di Feltre nelle principali vicende storiche di due millenni, in Diocesi di Belluno e Feltre, a cura di N. Tiezza, Venezia 1996, p. 250; D. Giorgio, Osservazioni sul trattato Del segretario di P. P., in Critica letteraria, XXXI (2003), pp. 759-774; S. Scandellari, El silencio y la palabra: secretarios, letrados y consejeros entre Humanismo y Renacimiento, in Res publica, XIX (2008), pp. 278-294, passim; B. Buono, La trattatistica su ‘segretario’ e la codificazione linguistica fra Cinque e Seicento, in Verba, XXXVII (2010), pp. 310-312.