PANEUROPA
. È l'idea di un'unione degli stati europei, sorta, si può dire, già al momento del tramonto del concetto medievale di "cristianità".
Il primo che si sia posto il problema dell'Europa in termini moderni è Enea Silvio Piccolomini, il segretario imperiale che al concilio di Costanza si era formato una coscienza europea e, divenuto papa Pio II, dinnanzi alla gravissima minaccia turca si appellò all'unità europea, invitando le nazioni d'Occidente a uno sforzo politico comune. Sotto l'impressione dell'avanzata turca era anche il re utraquista di Boemia Giorgio di Podèbrady, che nel 1462 lanciò il progetto d'una federazione dei principi cristiani, che avrebbe dovuto condurre alla riconquista di Costantinopoli.
La Riforma protestante e specialmente le sette bandirono l'ideale evangelico della pace: tarda espressione di questo pacifismo è il Saggio sulla pace presente e futura d'Europa del quacchero William Penn (1693), che progettò un'organizzazione degli stati europei per l'instaurazione della "pace perpetua". Nel sec. XVII, con l'esaurirsi delle guerre di religione e col prevalere della ragion di stato, l'idea sorge come conseguenza del principio dell'"equilibrio europeo". Il duca di Sully nelle sue Memorie narra d'un piano di Enrico IV che avrebbe dovuto portare a una "repubblica cristiana" sotto la guida della Francia. Anche all'epoca del Richelieu tutti i documenti politici, i memoriali, i manifesti si richiamano all'idea di una pacifica collaborazione tra gli stati cristiani. L'idea trovò un campione nel Leibniz, che applicò la sua concezione ottimistica dell'universo alla realtà politica europea: sistema di libere individualità che dovevano dispiegarsi secondo la propria fisionomia. Affinché però tante rigogliose energie potessero convivere pacificamente, egli additava loro uno sfogo nell'espansione coloniale, che doveva dare alla comunità europea una missione universale.
La pace perpetua fu auspicata all'inizio del Settecento dal "pacifismo giuridico", che, sotto l'influenza del giusnaturalismo e dei trattati di Utrecht e di Nystad, stimava che essa potesse essere facilmente realizzata da un convegno di ben intenzionati diplomatici. L'abate di Saint-Pierre formulò allora (1712) la proposta di una federazione di tutti gli stati cristiani d'Europa con un senato che doveva aver sede a Utrecht. Si dovevano licenziare gli eserciti stanziali e la pace sarebbe stata garantita dall'universalità della ragione, dalla naturale bontà degli uomini e dai benefici che essa reca alle arti, alle scienze e ai commerci.
Dell'unione degli stati europei si fece campione anche Napoleone, che riuscì anche, a suo modo, a porla parzialmente in atto attraverso il "sistema di Tilsit" e il "sistema dell'Impero". Una forma di unione europea può essere altresì considerata la Santa Alleanza, che condannò ogni politica di aggressione in omaggio al principio della legittimità e della fraternità cristiana dei principi.
Victor Hugo lanciò per suo conto l'idea degli Stati Uniti d'Europa. Però anche tra gli scrittori italiani del Risorgimento e specialmente in Mazzini è sempre viva l'aspirazione a un'intesa tra le libere nazioni d'Europa. Bisogna però arrivare al dopoguerra per trovare dei partigiani di un'unione sistematica degli stati europei.
L'idea è sorta in conseguenza delle catastrofi della guerra, ma è anche una risposta alle tendenze panamericane e panasiatiche, una prima manifestazione del senso del pericolo che minaccia la civiltà europea e il suo primato nel mondo. Il più noto campione della nuova dottrina è l'austriaco conte Riccardo Niccolò Coudenhove Kalergi, che pubblicò nel 1923 un libro-manifesto Paneuropa. Egli propone la costituzione degli "Stati federati d'Europa" come unione politica e doganale. Tuttavia l'autonomia interna dei singoli stati andrebbe mantenuta. Nella federazione i varî membri avrebbero parità di diritti. Organi della federazione sarebbero: un consiglio federale, che dirigerebbe la politica paneuropea e nel quale ogni stato avrebbe un rappresentante (compreso il Vaticano, esclusi gli stati con meno di 100.000 abitanti); un'assemblea federale che resterebbe in carica quattro anni e dovrebbe eleggere il cancelliere federale, il vicecancelliere, il tesoriere e i giudici; una cancelleria federale. Ogni stato riscuoterebbe nei suoi porti una tassa di sbarco dei noneuropei, versando il ricavato al tesoro federale. In caso di bisogno si ricorrerebbe a contributi straordinarî. Il Coudenhove Kalergi esclude dalla comunità europea la Russia e la Turchia e nel 1926 ha fatto un'eccezione per l'Inghilterra, che ha ammesso a far parte dell'unione doganale, mantenendo però l'esclusione dell'Impero britannico.
Il movimento è organizzato in un' "Unione paneuropea", che ha la sua sede centrale a Vienna e un ufficio economico a Bruxelles. Del consiglio centrale è presidente lo stesso Coudenhove Kalergi. L'insegna è la croce rossa in campo d'oro. Organo del movimento la rivista Paneuropa, che si pubblica a Vienna dal 1924. L'idea paneuropea sembrò passare dalla sfera dell'utopia a quella delle pratiche iniziative, quando nel settembre del 1929 Aristide Briand, ministro degli Esteri francese, patrocinò alla Società delle nazioni un riavvicinamento economico degli stati europei. Invitato a presentare delle proposte, inviò il 17 maggio 1930 ai governi degli stati europei, membri della Società delle nazioni, un memoriale, in cui si progettava la creazione di una specie di legame federale soprattutto nel campo economico, che non avrebbe dovuto toccare la sovranità degli stati e che avrebbe dovuto essere soprattutto uno strumento di conciliazione e coordinazione. Il regime di unione federale europea avrebbe avuto un'organizzazione analoga a quella della Società delle nazioni con un'assemblea annuale, un consiglio dei maggiori stati e un segretariato.
Il 5 luglio il governo italiano rispose obiettando che era anzitutto necessario invitare anche la Russia e la Turchia; che d'altra parte la creazione di un blocco europeo poteva compromettere i rapporti con gli altri continenti e danneggiare l'unità organica della Società delle nazioni; che tutti gli stati, senza distinzione, avrebbero dovuto sedere nel consiglio; che l'Europa non rappresentava un'unità civile, che potesse essere isolata dalla civiltà moderna; che infine la premessa di ogni intesa europea era il disarmo. La Germania rispose l'11 luglio in termini analoghi e l'Inghilterra respinse il 17 luglio ogni piano di organizzazione particolare come pericoloso per la Società delle nazioni, ammettendo soltanto una sottocommissione nel seno della Società stessa.
Nel settembre 1930 Briand presentò il suo piano alla 60° sessione del consiglio della Società delle nazioni. Contemporaneamente il governo francese pubblicò un Libro bianco. Il Consiglio affidò il problema a una commissione che concluse i suoi lavori il 21 gennaio 1931 con un "Manifesto europeo", in cui gli stati d'Europa si dichiaravano più che mai decisi a servirsi degli organi della Società delle nazioni per escludere in avvenire qualsiasi ricorso alla forza. Veniva così sepolto il piano di Briand, che una parte dell'opinione pubblica europea aveva interpretato come una mossa della Francia per mantenere la sua egemonia e per risolvere il problema della sua sicurezza.
Il programma paneuropeo ha suscitato critiche molteplici. Oltre alle vȧrie difficoltà pratiche, tra le quali principalissima quella della definizione dei termini dell'unità europea e della posizione di fronte ad essa dell'Inghilterra e della Russia, entità per tanti rispetti extraeuropee, c'è il fatto che non si può parlare di una coscienza europea, atta a formare la base di un'organizzazione unitaria. Pur partendo dal giusto principio della necessità d'una mutua comprensione e collaborazione delle nazioni europee, il programma ha carattere astrattamente intellettualistico, che lo pone in contrasto con la struttura politica, morale ed economica d'Europa e forse anche con l'essenza stessa della sua storia.
Bibl.: W. Fritzmeyr, Christenheit u. Europa, Monaco 1931; Siégler-Pascal, Les projets de l'abbé de Saint-Pierre, Parigi 1900; K. Rheindorf, Der Gedanke Paneuropa als geschichtl. Phänomen 1648-1930, 1931; R. N. Coudenhove Kalergi, Paneuropa, Vienna 1923; id., Kampf um P., ivi 1925-28; id., Die europäische Seele, Zurigo 1929; P. Hazard, La crise de la conscience européenne (1680-1715), voll. 2, Parigi 1935.