Pandora and the Flying Dutchman
(GB/USA 1951, Pandora, colore, 122m); regia: Albert Lewin; produzione: Albert Lewin, Joseph Kaufman per Dorkay Productions; sceneggiatura: Albert Lewin; fotografia: Jack Cardiff; scenografia: John Bryan; costumi: Beatrice Dawson; musica: Alan Rawsthorne.
Anni Trenta. Nella piccola città spagnola di Esperanza, sulla Costa Brava, la bellissima Pandora Reynolds, già cantante di nightclub a New York, è la stella della locale comunità angloamericana. Molti uomini la amano, e c'è chi si uccide per lei; ma Pandora, pur promettendosi in sposa a un dandy automobilista, vive nell'attesa inquieta di un amore ancora sconosciuto. Geoffrey, anziano amico, le parla d'un manoscritto olandese che ha appena ritrovato: non sa tradurlo, ma capisce che racconta la storia dell'olandese volante, l'uomo destinato a vagare in eterna solitudine sui mari per espiare la colpa d'aver ucciso, folle d'ingiusta gelosia, la moglie innocente. Presa da improvviso turbamento, Pandora si tuffa in mare e raggiunge a nuoto il veliero che da giorni è attraccato di fronte alla spiaggia di Esperanza. A bordo non c'è traccia d'equipaggio, solo un uomo in giacca da camera che dipinge un quadro: la donna che vi è ritratta ha il viso di Pandora. Ci sarà pure una spiegazione razionale a tanta somiglianza, commenta lei, ma del tutto irrazionale è l'attrazione che la spinge verso quest'uomo, e l'uomo verso di lei. Lui si chiama Hendrick van der Zee e che sia davvero l'olandese volante lo scopriamo quando, chiamato da Geoffrey a tradurre il manoscritto, recita con disperata intensità le parole d'una storia che appartiene solo a lui. Per rompere la sua eterna vita dannata, ha bisogno d'una donna che lo ami al punto di sacrificare la vita e morire con lui: non sarà Pandora, perché ormai è chiaro che la bella americana è la reincarnazione dell'amata moglie uccisa, e van der Zee non vuole ucciderla ancora. Ma è la stessa Pandora ad andare incontro in piena consapevolezza al proprio destino: una tempesta "come mai si vide né prima né dopo" distrugge il veliero dell'olandese volante e la risacca porta a terra, il mattino dopo, i corpi allacciati degli amanti.
Per Albert Lewin, braccio destro di Irving Thalberg alla MGM negli anni Trenta e quindi efficiente produttore in proprio alla Paramount, questo fu il quarto di sei film firmati in qualità di regista, di tutti il più personale e irregolare. Pandora and the Flying Dutchman partecipa in vari modi a quella ricerca del meraviglioso, figurativo e cromatico, che interessò la Hollywood dei primi anni Cinquanta, ma nessun altro film dell'epoca scelse di raffreddare il proprio onirismo in una cifra così luttuosa. Messinscena d'una cupa predestinazione amorosa (la vita di entrambi gli amanti è costellata di morte) e d'un turbamento soprannaturale, il film produce disorientamento già confondendo tempi e indici iconografici; siamo negli anni Trenta, ma le ampie gonne fruscianti, gli stretti bustier di raso giallo o turchese, la sciarpa verde sulle spalle nude di Pandora sono una squisita galleria del gusto anni Cinquanta; siamo negli anni Trenta e le notti sono tenere, ma la luna fitzgeraldiana illumina spiagge punteggiate di statue classiche e di colonne spezzate. Vaghe atmosfere dell'età del jazz (sulla sabbia si balla alle note di You're Driving Me Crazy) si perdono senza eco in un set surrealista che Lewin allestisce con scrupolo e sufficiente rigore, tra citazioni di De Chirico e Dalí oneste e persino eleganti. Al clima visivo contribuisce poi in modo decisivo il talento di Jack Cardiff, che chiuso lo storico sodalizio con Powell e Pressburger portava a Hollywood il suo uso saturo e sensuale del Technicolor; qui fa brillare d'inchiostro gli sfondi d'un film soprattutto notturno e l'onda dei capelli di Ava Gardner.
Film d'un produttore di professione, Pandora and the Flying Dutchman esibisce una regia tutt'altro che povera di stile: suo tratto ricorrente, fino a produrre un effetto lievemente ossessivo, è una breve carrellata quasi impercettibile che, in avvicinamento, scontorna i volti dal loro sfondo e li trasfigura in un alone irreale, e quando arretra svela sempre qualcosa di inatteso, di fuori scala: uno spettacolare terrazzo sul mare, il braccio mozzo d'una statua. Quel che di più straordinario la macchina da presa scopre, in un magnifico movimento iniziale, è però il profilo immobile di Ava Gardner: perché Pandora and the Flying Dutchman, film d'un regista che era stato produttore, è anche la calcolata celebrazione divistica dell'autentica Venere hollywoodiana di quel giro d'anni. Possiamo preferirla nella fragrante giovinezza di The Killers, o nel camp fiammeggiante di The Barefoot Contessa (La contessa scalza, Joseph L. Mankiewicz 1954, che peraltro, anch'esso fotografato da Cardiff, deve moltissimo al film di Lewin). Ma è vero che lo splendore di Ava Gardner è il nutrimento di questo film, splendore carico di tracce d'epoca: il disegno delle labbra rosse, la perfezione levigata dell'incarnato, per una storia d'amour fou immersa nei colori di Elizabeth Arden. L'olandese volante di James Mason pare un poco passivo davanti a tanta bellezza carnale e spirituale, ma i suoi dodici minuti di monologo in voce over, mentre il flashback illustra l'antico uxoricidio e i soffitti s'abbassano con evidente debito wellesiano, restano un pezzo pregevole dell'antica arte del recitare. Pandora and the Flying Dutchman si perse tra i tanti colori, i tanti formati, le tante pulsazioni melodrammatiche degli anni Cinquanta, e la critica fu severa ("cospicua insensatezza", "decadentismo di terz'ordine"). Piacque invece ad Ado Kyrou, che gli dedicò parole entusiaste ("da esteta, Lewin proclama la sua fede selvaggia nell'amore"). E certo resta, come scrisse Pauline Kael, "one in a kind", film unico, sincretista ed eccentrico, a suo modo irripetibile.
Interpreti e personaggi: James Mason (Hendrick van der Zee), Ava Gardner (Pandora Reynolds), Nigel Patrick (Stephen Cameron), Harold Warrender (Geoffrey Fielding), Sheila Sims (Janet), Marius Goring (Reggie Demarest), John Laurie (Angus), Mario Cabré (Juan Montalvo), Pamela Kellino (Jenny), Patricia Raine (Peggy).
J.-P. Vivet, Pandora ou la clef de songes, in "Cahiers du cinéma", n. 6, octobre- novembre 1951.
Ado Kyrou, Amour, erotisme et cinéma, Paris 1966.
J. Nacache, Pandora, in "Cinéma 82", n. 277, janvier 1982.
V. Amiel, Et Lewin, par curiosité, souleva le couvercle…, in "Positif", n. 251, février 1982.
S. Socci, Il viso di Pandora, in "Filmcritica", n. 368, ottobre 1986.
Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 245, 1 avril 1980.