RESCHI, Pandolfo
– Figlio di un facoltoso mercante, Pandolfo nacque a Gdańsk (Danzica) nel 1640. Ancora in giovane età fu mandato in Germania per apprendere il mestiere paterno, ma, sopraggiunta la morte del padre, si arruolò nell’esercito di Leopoldo I d’Asburgo, fino a quando decise di recarsi in Italia, forse passando da Venezia. Intorno ai vent’anni si stabilì a Roma, dove, dal 1663, risiedette in vicolo del Carciofo, nel quartiere di S. Lorenzo in Lucina, nella stessa casa del paesaggista olandese Pieter Mulier. Intraprese quindi la professione di pittore e contestualmente si convertì alla religione cattolica. Alla fine degli anni Sessanta giunse a Firenze, dove visse, salvo viaggi occasionali, per tutta la vita.
È possibile ricostruire le sue vicende grazie ad alcune biografie sei e settecentesche, a partire da quella di Francesco Saverio Baldinucci (1725-1730, 1975), la più estesa e interessante per i riferimenti ai committenti, per la descrizione delle opere e per l’inquadramento di Reschi nella cultura artistica fiorentina degli ultimi decenni del secolo. A questa si debbono aggiungere le notizie annotate da Francesco Bonazini nel diario (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms. Magl. XXV, 442, II, 1672-1705) e quelle di Francesco Maria Niccolò Gabburri (ivi, ms. E.B.9.5., IV, 1730-1741 circa).
Reschi esordì come copista per poi specializzarsi in dipinti di fiori, animali, battaglie e paesaggi – quest’ultimi spesso animati da scene di caccia, episodi di brigantaggio, vivaci rappresentazioni della vita di corte e paesana – e seppe imporsi nel panorama della pittura di genere rinnovando l’eredità lasciata a Firenze dagli altri due specialisti ‘forestieri’: Salvator Rosa e Jacques Courtois (il Borgognone).
Per la sua personalità sempre propositiva Reschi ebbe un notevole successo nella Firenze tardobarocca, come è testimoniato dal gran numero di suoi dipinti citati negli inventari medicei e nelle quadrerie più importanti della città (Corsini, Gerini, Rinuccini, Riccardi, Guadagni, Tempi), molti dei quali furono esposti alle mostre promosse dall’Accademia del disegno a partire dal 1673 e per tutto il secolo successivo (Borroni Salvadori, 1974, p. 115).
Dopo la presentazione dell’artista in alcune mostre pionieristiche sulla cultura figurativa fiorentina del Seicento (Gregori, 1965; Artisti alla corte granducale, 1969), la sua opera è emersa grazie agli studi di Marco Chiarini (1973, 1974, 1989) e di Mina Gregori (1972). Aggiunte documentarie e al corpus grafico e pittorico sono poi raccolte nella monografia di Barbolani di Montauto (1996, cui si rimanda per la documentazione citata, ove non diversamente indicato). Ad essa sono seguite ulteriori scoperte, mentre sul mercato il nome di Reschi viene spesso abbinato a dipinti non autografi.
Non si conoscono opere del periodo romano dell’artista, che dovette presto guardare alla pittura di genere, in particolare a Rosa, al Borgognone, a Gaspard Dughet e all’attività dei bamboccianti.
Seguendo il racconto di Baldinucci, giunto a Firenze, Reschi cercò invano di perfezionarsi nel disegno di figura presso Livio Mehus, pittore con cui il suo stile mostra non poche affinità. Si rivolse poi a Pier Dandini, col quale si creò un rapporto di sincera amicizia, e, infine, al pittore e decoratore Antonio Giusti, presso cui abitò, nel chiasso dei Limonai, facendo pratica e mettendo a disposizione i suoi dipinti perché fossero venduti.
Intorno al 1670 Reschi lasciò la bottega di Giusti perché incaricato dal marchese Pier Antonio Gerini di copiare alcuni dipinti di paesaggio e di battaglia del Courtois nella propria galleria. La commissione del Gerini, figura di primo piano nella vita fiorentina di fine secolo, segnò una svolta nella carriera di Pandolfo, che dal mecenate ottenne un alloggio e una provvisione di 8 scudi al mese.
Oltre alle copie suddette, Reschi dipinse per il marchese quasi venti quadri di battaglia e di paesaggio, ricordati negli inventari della collezione fino alla vendita all’asta del 1825, e poi in gran parte dispersi (Ewald, 1976; Barbolani di Montauto, 1996, pp. 68-75, nn. 12-19; Ingendaay, I, 2013, pp. 86-88). Tra i dipinti realizzati per i Gerini nell’ottavo decennio sono da ricordare la Veduta di Firenze dalle Cascine (Fondazione Cassa di risparmio di Firenze) – dai caratteristici toni grigioverdi e argentei e dove il punto di vista originale, che inquadra tutto l’oltrarno fiorentino, è da considerarsi l’esordio del genere vedutistico e sarebbe stato ripreso in seguito dal Van Wittel – e il suo pendant con un Paesaggio con cavalieri (collezione privata). Sono stati rintracciati anche il Paesaggio con cavalieri al galoppo e il Campo di battaglia, entrambi a Firenze in palazzo Gerini; la Battaglia della National Gallery di Edimburgo e la Battaglia del Musée Fabre di Montpellier.
Reschi rimase in casa Gerini circa dieci anni – come dimostrano anche lettere e ricevute riguardanti lo stipendio mensile, l’approvvigionamento di colori e altri materiali (Ingendaay, II, 2013, pp. 57 s.) – fino a quando il marchese partì per Vienna nel settembre del 1678. Nello stesso anno Reschi si era immatricolato all’Accademia del disegno, istituzione in cui la sua presenza è discontinua ma attestabile fino al 1696.
Il congedo da casa Gerini offrì l’occasione di un viaggio nel Nord della penisola, di cui scrive il Baldinucci, che comprese Milano e anche Venezia, se, come è probabile, esso coincide con quello compiuto nel 1678 con Pier Dandini di cui parla Giovanni Targioni Tozzetti (Bellesi, 1991).
Al suo ritorno a Firenze Reschi era ormai artista conosciuto per le sue specializzazioni, e la permanenza in casa Gerini gli aveva aperto molte opportunità, mettendolo in contatto con la famiglia granducale e con gli esponenti dell’aristocrazia. Se non sono documentati né citati dai biografi gli affreschi con paesaggi fluviali e i Quattro Elementi nella loggia di Levante della villa medicea della Petraia (Chiarini, 1973), tutti i biografi menzionano il Progetto di ampliamento di palazzo Pitti (1680 circa; già Rinuccini, poi Corsini; Firenze, collezione privata), realizzato per l’architetto di corte Giacinto Marmi, autore del progetto della facciata. Nella raffigurazione del popolato corteo di Cosimo III, Reschi si dimostra ormai disinvolto nell’esecuzione delle figurine, delle quali «facile cosa è il distinguersi di ogni loro operazione» (Baldinucci, 1725-1730, 1975, p. 224), adeguandosi al segno vivace e macchiettistico, di eredità callottiana, che aveva caratterizzato la scuola fiorentina dall’inizio del secolo. Pandolfo si sbizzarisce, inoltre, in un effetto di trompe l’oeil, e simula che la tela si stacchi dal supporto per avvolgersi su se stessa, lasciando vedere una strada a selciato, dove su un cavallo in primo piano pone una «P», la firma che ricorre in altre tele e in alcuni suoi disegni.
Risolutivo per la carriera di Reschi fu l’incontro, intorno al 1680, con il principe Francesco Maria de’ Medici, per il quale lavorò tutta la vita. A richiamare il favore del Medici furono sia la maniera arguta e originale del paesaggista che il suo carattere gioviale. Il principe accolse Pandolfo nel suo seguito, accordandogli un regolare stipendio di sei scudi al mese e offrendogli di risiedere nell’amata villa di Lappeggi. La dimora suburbana era stata prima di Mattias de’ Medici, principe dal quale Francesco Maria ereditò parte della quadreria e certe inclinazioni di gusto, come la predilezione per i dipinti di paesaggio e di battaglia. Reschi fu ingaggiato ancora come copista delle celebri quattro battaglie che il Borgognone aveva realizzato per Mattias, e contribuì in modo determinante alla decorazione degli ambienti della villa, non solo con quadri di paese o di soggetto guerresco, ma, come attestano gli inventari, anche con arredi dipinti (mostre di orologi, paraventi, paracamini, specchi) e con numerosi quadri di animali, quest’ultimi collocati soprattutto nella fattoria della villa e nel vicino casino di Lilliano. Solo alcune delle opere dipinte per Francesco Maria entrarono nelle raccolte granducali, perché la maggior parte di esse fu venduta all’asta della collezione organizzata alla morte del Medici, e ad acquistare i quadri furono quelle famiglie che già possedevano opere del pittore (Corsini, Guadagni, Riccardi).
Nel 1683 Francesco Maria fu nominato governatore di Siena, città nella quale si recò assiduamente in compagnia del pittore. Intorno a questa data furono per lui dipinte la Veduta della villa di Lappeggi e la Veduta di Fontebranda (siglati; acquistati poi da Ascanio Sanminiati, oggi in collezione Terruzzi), tra i quadri più elogiati dai biografi: due vedute topograficamente esatte, limpide e ariose, nelle quali Reschi si rivela nordico anche nell’abilità di cronista, animando il dipinto con figurini vivaci «ritratti dal vivo» (Baldinucci, 1725-1730, 1975, p. 221). Stilisticamente prossimi a questo gruppo anche il Paesaggio con assalto di banditi e il Paesaggio con scena di elemosina (collezione Terruzzi), dove il repertorio rosiano di anfratti boscosi e rami spezzati si arricchisce nella mobilità atmosferica e nella narrazione vivace e colorata.
Destinati alla decorazione di Lappeggi, erano anche il Paesaggio con cavalieri nei pressi di una fortezza (siglato; Barbolani di Montauto, 2010, p. 347 e fig. 11) e le due grandi tempere di respiro già settecentesco, poi acquistate dai Guadagni, con la Veduta della pescaia di Rovezzano, siglata, e la Veduta di San Galgano, abbazia di cui Francesco Maria fu abate commendatario (entrambe a Prato, collezione Cariprato).
Sempre a Baldinucci si deve la notizia che Reschi, confortato dalla provvisione mensile del suo mecenate, affittò una casa in via della Colonna e si sposò con la sorella del proprietario.
Nel settembre del 1686 Francesco Maria fu elevato alla porpora cardinalizia. Fu in tale occasione che nominò Reschi suo aiutante di camera, e volle che lo seguisse sempre a Roma, lasciando che ritraesse ad acquerello i paesaggi e gli scorci che più lo interessavano, per poi trasferirli su tela. Intorno a questa data furono eseguiti il dipinto, siglato, con Il cardinale de’ Medici a Nettuno (Ariccia, palazzo Chigi), armoniosa veduta dove il punto di vista prescelto permette di includere tutta l’insenatura che porta al borgo. Nel primo piano, tra le rovine del porto neroniano, si scorge il cardinale Medici con il cardinale Flavio Chigi, cui il dipinto fu probabilmente donato. Da ricondurre a una delle trasferte romane anche la Veduta di Roma di collezione privata (Barbolani di Montauto, 2010, p. 347, fig. 13), dove Reschi è nuovamente nei panni del vedutista, scegliendo il formato bislungo ed estendendo l’ampiezza dell’obiettivo che, dalle pendici del Monte Mario, include il fitto tessuto urbano dal Vaticano a Trinità dei Monti, con esiti che, anche nella descrizione minuta, incalzano le vedute del Van Wittel.
Destinata all’appartamento di Francesco Maria nella villa del Poggio Imperiale, sebbene pagata dalla madre Vittoria della Rovere nel 1684, è la serie dei quattro «paesi con più figurine et altro» (Assalto al convento, Miracolo di s. Giovanni Battista, Scene della vita di Genoveffa di Brabante, Episodi di vita eremitica; Firenze, Gallerie degli Uffizi), di una sorprendente libertà narrativa e pittorica che si muove da toni schiariti gialli e ocra ad ambientazioni in buie e fiabesche foreste (Barbolani di Montauto, 1996, pp. 41-44, nn. 49-52; Spinelli, 2007, p. 21).
Tra gli esempi di questa felice fase matura del pittore è anche il Paesaggio a Tivoli, siglato, della Galleria Corsini a Roma, ma di provenienza fiorentina, prova ulteriore, nella pennellata schiarita e nel brio già settecentesco, dell’affrancamento di Reschi dalla maniera di Rosa e di Dughet.
Intorno al 1690 si collocano i due quadri a pendant, appartenuti al granprincipe Ferdinando de’ Medici, che con lo zio Francesco Maria condivise la predilezione per la pittura di paesaggio e per i pittori forestieri: il Ritorno dalla caccia (Gallerie degli Uffizi) e il Paese con buoi (Roma, Camera dei deputati), mentre non è stata rintracciata la Veduta della pieve di Carmignano che si trovava tra i quadri ‘in piccolo’ nella raccolta di Ferdinando a Poggio a Caiano.
Accreditato come specialista e forte del patronato dei Gerini e della famiglia granducale, Reschi lavorò per numerose famiglie fiorentine e fu pittore e disegnatore prolifico. Il corpus grafico, con disegni a matita e ad acquerello, sempre di qualità, è ricco e assai vario. Suoi fogli, oltre che nella collezione di Francesco Maria, si trovavano, tra le altre, nelle raccolte Corsini, Gerini, Guadagni, e in quella dello stesso Gabburri. Molti di essi, soprattutto paesaggi studiati dal vero e studi preparatori per le figurette che animano i dipinti, sono conservati agli Uffizi, nella Biblioteca Marucelliana di Firenze e nell’Istituto centrale per la grafica (Fondo Corsini).
Tra i numerosi dipinti citati dalle fonti, che non è possibile qui elencare, non sono stati rintracciati quelli pagati da Folco Rinuccini tra il 1680 e il 1686, tra cui una Veduta di Torre a Cona. Restano, invece, due tele, delle sei almeno, eseguite per Bartolomeo Corsini all’inizio degli anni Ottanta, le più grandi tra le battaglie del Reschi note, raffiguranti la Battaglia presso Barcellona e l’Assedio di Barcellona (Firenze, Galleria Corsini): in esse, mentre è chiara la dipendenza dal Courtois, soprattutto nel repertorio di episodi guerreschi, Reschi si conferma interprete autonomo del genere nella maggiore apertura degli spazi, nella pennellata fluida e nella vivida descrizione dei personaggi.
L’equilibrio tra scena militaresca e paesaggio trova l’espressione più matura nella serie dei Quattro Elementi risolti in forma di battaglie che Baldinucci vide in casa Riccardi e definì «una delle più insigni opere che abbia partorito il pennello del nostro artefice» (Baldinucci, 1725-1730, 1975, p. 223). Delle tele Riccardi, acquistate dall’eredità di Francesco Maria de’ Medici insieme alle copie reschiane delle battaglie del Courtois già a Lappeggi, si sono rintracciati l’Accampamento nella tempesta (Aria) del Philadelphia Museum of Art e la Battaglia in riva al mare (Acqua), siglata, in collezione privata: due dipinti di grande libertà pittorica, e di rara precisione ottica nella descrizione della variabilità atmosferica e delle azioni, accese dai tocchi di blu e di rosso degli abiti dei protagonisti.
Riguardo alle altre ‘specialità’ di Reschi, di cui scrive soprattutto Baldinucci, i dipinti di fiori e frutti furono probabilmente solo una pratica giovanile, e financo il mediceo Vaso di rose, un tempo a lui attribuito, è stato ora assegnato a Michelangelo Pace (Villa medicea di Poggio a Caiano, 2009, p. 280).
Più numerose e documentate sono le tele raffiguranti animali, legati all’attività venatoria del principe: cani, cervi, fagiani, germani, starne e altri uccelli acquatici. Dispersi con la vendita della collezione di Francesco Maria, i quadri medicei reperiti, tuttavia, si limitano a pochissimi esempi: il Cane accucciato e la Capra giacente (Siena, palazzo della Provincia), il Cane che dorme e la Otarda morta, siglata (villa medicea di Poggio a Caiano). Una preziosa attestazione dell’abilità di Reschi anche in questo genere, oltre alle inserzioni animalistiche nei dipinti di paesaggio e di battaglia, è data dalla sua partecipazione, tra il 1690 e il 1691, con Anton Domenico Gabbiani e Bartolomeo Bimbi, alla decorazione degli specchi della Galleria Riccardi (Gregori, 1972). Su tre di essi Reschi eseguì, con perizia di specialista, uccelli palustri in un canneto, una colomba e una capra dallo splendente manto bianco-argenteo.
I biografi non riferiscono di discepoli di Reschi, e solo Gabburri fa cenno ai due fiorentini Pietro Bardi e Romolo Panfi. Reschi morì a 56 anni il 16 agosto del 1696, senza figli, e lasciando giusto il necessario per le spese del funerale e per restituire la dote della moglie. Fu sepolto il giorno successivo nella chiesa di S. Jacopo sopr’Arno.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms. Magl. XXV, 442: F. Bonazini, Bisdosso ovvero diario, II, 1672-1705, pp. 206-211; ibid., ms. Pal. E.B.9.5.: F.M.N. Gabburri, Vite di pittori, IV, 1730-1741 circa, pp. 2055 s.
F.S. Baldinucci, Vite di artisti dei secoli XVII-XVIII (1725-1730), a cura di A. Matteoli, Roma 1975, pp. 218-229; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1795-1796), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, p. 189; N. Di Carpegna, Paesisti e vedutisti a Roma nel ’600 e nel ’700 (catal.), Roma 1956, p. 29, n. 55, fig. 19; M. Gregori, 70 pitture e sculture del ’600 e ’700 fiorentino (catal.), Firenze 1965, p. 55; Artisti alla corte granducale (catal.), a cura di M. Chiarini, Firenze 1969, p. 62, nn. 90-92, figg. 73-75; M. Gregori, Gli specchi dipinti della Galleria Riccardi, in Paragone, XXIII (1972), 267, pp. 74-82; M. Chiarini, P. R. in Toscana, in Pantheon, XXXI (1973), pp. 154-161; F. Borroni Salvadori, Le esposizioni d’arte a Firenze dal 1674 al 1767, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XVIII (1974), pp. 1-166; M. Chiarini, P. R., in Gli ultimi Medici. Il tardo barocco a Firenze, 1670-1743 (catal., Detroit-Firenze), a cura di F. Chiarini - S.F. Rossen, Firenze 1974, pp. 300 s., nn. 177 a/b; G. Ewald, Appunti sulla Galleria Gerini e sugli affreschi di Anton Domenico Gabbiani, in Kunst des Barock in der Toskana, München 1976, pp. 344-358; L. Salerno, Pittori di paesaggio del Seicento a Roma, II, Roma 1977, pp. 668-677, n. 114; ibid., III, 1980, pp. 1074 s.; M. Chiarini, Una natura morta di P. R., in Paragone, XXX (1979), 353, pp. 112 s.; S. Blasio, R., P., in La pittura in Italia. Il Seicento, a cura di M. Gregori - E. Schleier, II, Milano 1989, pp. 861 s.; M. Chiarini, Battaglie. Dipinti dal XVII al XIX secolo delle Gallerie fiorentine (catal.), Firenze 1989, pp. 26-28, 81-83; S. Bellesi, Una vita inedita di Pier Dandini, in Rivista d’arte, XLIII (1991), pp. 89-188; N. Barbolani di Montauto, P. R., Firenze 1996, passim (con bibliografia precedente); G. Sestieri, P. R., in Id., I pittori di battaglie: maestri italiani e stranieri del XVII e XVIII secolo, Roma 1999, pp. 420-435; L. Zangheri, Gli accademici del disegno: elenco alfabetico, Firenze 2000, p. 269; G. Capitelli, R., P., in La pittura di paesaggio in Italia. Il Seicento, a cura di L. Trezzani, Milano 2004, pp. 330-333; C. Monbeig Goguel, Pour P. R. dessinateur chez Pierre-Jean Mariette, in Arte, collezionismo, conservazione. Scritti in onore di Marco Chiarini, a cura di M. Chappell - M. Di Giampaolo - S. Padovani, Firenze 2004, pp. 314-317; N. Barbolani di Montauto, P. R., in Disegno, giudizio e bella maniera: studi sul disegno italiano in onore di Catherine Monbeig Goguel, a cura di Ph. Costamagna - F. Härb - S. Prosperi Valenti Rodinò, Milano 2005, pp. 212 s., n. 128; Fascino del Bello. Opere d’arte della collezione Terruzzi (catal. Roma), a cura di A. Scarpa - M. Lupo, Milano 2007, pp. 437 s., nn. II.127-130; R. Spinelli, Vittoria della Rovere (1670-1694), in Fasto di corte. La decorazione murale nelle residenze dei Medici e dei Lorena, a cura di M. Gregori, III, L’età di Cosimo III de’ Medici e la fine della dinastia (1670-1743), Firenze 2007, p. 21; Villa medicea di Poggio a Caiano. Museo della natura morta. Catalogo dei dipinti, a cura di S. Casciu, Livorno 2009, pp. 344-347, nn. 138-139; N. Barbolani di Montauto, Paesaggio e battaglia a Firenze dopo Salvator Rosa, in Firenze milleseicentoquaranta. Arti, lettere, musica, scienza. Atti del convegno internazionale di studi, Firenze... 2008, a cura di E. Fumagalli - A. Nova - M. Rossi, Venezia 2010, pp. 325-348; M. Ingendaay, «I migliori pennelli». I marchesi Gerini mecenati e collezionisti nella Firenze barocca. Il palazzo e la galleria 1600-1825, I, Milano 2013, pp. 86-88; ibid., II, 2013, pp. 57 s., 127 s. doc. nn. 241-242, 135 doc. nn. 273-274.