PANDOLFO IV
– Figlio di Pandolfo II, principe di Benevento tra il 981 e il 1014 (dal 1008 anche Pandolfo III, principe di Capua), nacque probabilmente tra la fine del X e i primi anni dell’XI secolo a Benevento. Non è noto il nome della madre.
Nel 1016 venne associato al governo del principato capuano dal cugino Pandolfo II e, tra il 1020 e il 1022, riuscì a far elevare alla dignità principesca anche il figlio Pandolfo V. Fautore di Bisanzio, insieme con il fratello Atenolfo, abate di Montecassino, in opposizione alla politica del papa Benedetto VIII, fece acquisire al principato di Capua una maggiore importanza, ma proprio a causa di questo atteggiamento uno dei tre corpi dell’esercito condotti in Italia dall’imperatore tedesco Enrico II nel 1022 mosse contro Montecassino (da dove l’abate riuscì a fuggire, imbarcandosi a Otranto per Costantinopoli e perì annegato nella traversata: Chronica Monasterii Casinensis, 1980, II, 39, p. 243) e passò quindi ad assediare Capua. Pandolfo dovette arrendersi e, salvato dalla morte per l’intercessione dell’arcivescovo di Colonia, fu inviato in Germania. A capo dell’abbadia cassinese fu posto Teobaldo, sul trono di Capua il conte Pandolfo di Teano, nipote di Pandolfo I Capodiferro. Il successore di Enrico II sul trono imperiale, Corrado II, accogliendo la preghiera del principe di Salerno Guaimario III, lasciò libero Pandolfo IV, il quale, tornato in Campania, assediò e prese Capua, costringendo il suo rivale Pandolfo di Teano a rifugiarsi a Napoli (1026).
Pandolfo IV resse le sorti delle terre capuane con fortune alterne fino al 1038, imponendo un altro suo figlio, Ildebrando, come arcivescovo della città e imprigionando il legittimo metropolita, Atenolfo. Tentò di rinnovare l’opera di Pandolfo I Capodiferro e per due anni riuscì a imporre il dominio capuano sul ducato di Napoli (1027-28), quindi ad assoggettare il ducato di Gaeta (1032-38) e, tramite la sorella Maria, ricordata come «patricissa et ducissa» (Amato di Montecassino, 1935, I, c. 45, p. 55), a porre sotto la sua tutela fra il 1034 e il 1038 anche la prospera città marinara di Amalfi.
Usurpò all’abbazia di Montecassino diverse proprietà ed edificò sulla collina del Tifata la munitissima rocca di S. Agata. Per reclamare la restituzione di quanto era stato loro sottratto, i monaci inviarono legati in Germania da Corrado II, che nella primavera del 1038 scese per la seconda volta in Italia, entrando a Capua alla vigilia del giorno di Pentecoste, il 13 maggio, e imponendo a Pandolfo IV la via dell’esilio. Fattosi incoronare il giorno seguente, Corrado ristabilì Atenolfo sul soglio episcopale e consegnò Capua nelle mani del principe di Salerno, Guaimario IV, mentre Richerio diveniva abate di Montecassino.
Costretto ad abbandonare Capua, Pandolfo IV si trincerò sulla rocca del Tifata, mentre le terre del principato si schierarono in due blocchi contrapposti: da una parte i centri di Capua, Teano e Sora, che riconoscevano la sovranità di Guaimario IV, dall’altra Aquino, Sesto e la Rocca di Evandro, che negavano ogni forma di obbedienza a Salerno. Per riacquistare il dominio sul principato capuano, Pandolfo chiese aiuto a Bisanzio, mentre l’abate Richerio, fermo sostenitore della politica imperiale, lo osteggiò apertamente, combattendo al fianco del conte di Teano contro i sostenitori dell’esule capuano, asserragliati nelle valli del Garigliano e del Volturno (1039).
Nel 1041 Pandolfo IV continuò a molestare le terre settentrionali del principato, saccheggiando i beni del monastero di S. Vincenzo al Volturno e le terre di Montecassino, ma soltanto nel 1047 riuscì a rientrare a Capua, grazie all’intervento del nuovo imperatore Enrico III, preoccupato dallo splendore politico, economico e sociale del principato di Salerno. Tornato sul trono, Pandolfo si associò il nipote Landolfo VI, destinato a essere l’ultimo principe longobardo di Capua, deposto dal normanno Riccardo d’Aversa.
Pandolfo IV morì nel 1049.
L’età di Pandolfo IV incrinò irrimediabilmente i rapporti tra Capua e le comunità di S. Vincenzo al Volturno e di Montecassino, il principato fu in balia delle forze che in quegli anni si contesero il dominio delle terre meridionali della penisola e vano fu lo sforzo, politico e militare, messo in campo da Guaimario IV per tentare di controllare Capua. Il principato divenne una pedina nelle mani dell’imperatore tedesco, posto da un lato sotto l’alta tutela della contea di Aversa, affidata a Rainulfo Drengot, dall’altro sotto l’occhio vigile di Richerio di Montecassino, ancora una volta avamposto della politica imperiale in Italia meridionale.
La politica di Pandolfo IV, indecisa nelle scelte, si dimostrò illogica e occasionale, così da rimanere soffocata nel contrasto tra le forze avverse. Il principe capuano, sordo alle istanze di riforma della Chiesa, volle insistere nell’affermazione della sua tutela sui grandi complessi monastici e nella sopraffazione degli istituti e delle cariche ecclesiastiche. Il sistema delle coregenze e delle unioni personali, l’uso di suddividere l’eredità, la dispersione della grande familia nelle sue numerose ramificazioni collaterali minarono l’unità delle terre longobarde meridionali e ne provocarono la decadenza politica.
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