PANDOLFO I
(Paldolfo, detto Capodiferro). – Principe di Capua e Benevento, figlio primogenito di Landolfo II, nacque nella prima metà del secolo X probabilmente a Capua.
È prevalentemente nominato Pandolfo nelle fonti cronachistiche e Paldolfo in quelle documentarie
Ricordato per la prima volta come «caput ferreum» nel 944 in una sola delle redazioni degli Annales Beneventani (Bertolini, 1923, p. 121), fu principe di Capua e Benevento dal marzo 961 al marzo 981, dopo essere stato associato al principato da Landolfo II fra il 12 e il 13 agosto 943 e aver avuto dal 959 al 968 come coreggente, insieme al padre, il fratello Landolfo III, alla morte del quale rimase unico erede del titolo, estromettendo i nipoti, Landolfo e Pandolfo II, dal patrimonio e associandosi al trono il figlio Landolfo IV, destinato a succedergli.
Sposò Aloara, figlia del conte Pietro, la quale gli sopravvisse fino al dicembre 992: «Aloara […] cum vixisset in honore suo annis circuite octo reliquit in principatu filium Landenulfum, qui post quattuor menses […] occisus est» (Chronicon Salernitanum, 1956, p. 177; Leonis Marsicani et Petri Diaconi Chronica Monasterii Casinensis, 1980, p. 188).
Nel marzo 960 partecipò, insieme al padre e al fratello, alla causa tra l’abate cassinese Aligerno e un tale Rodelgrimo, figlio di Lupo, circa alcune terre di cui il ricco proprietario di Aquino si era appropriato indebitamente. I tre testimoni che accompagnavano l’abate resero in quell’occasione, separatamente, la loro testimonianza, con la celebre formula: «Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti», una delle prime attestazioni di uso consapevole del volgare. Pandolfo e suo fratello continuarono a sostenere il monastero cassinese nella difficile opera di reintegrazione territoriale del patrimonio monastico, riconoscendo ai monaci anche il diritto di incastellamento, così come, nel 954, apparvero al fianco dell’abbazia vulturnense per il recupero di alcune terre nel gastaldato di Venafro.
Per il suo atteggiamento ostile nei riguardi del pontefice Giovanni XII e dei sostenitori di Berengario, fra i quali il marchese di Spoleto, che avrebbero voluto impadronirsi di Capua, tra il giugno 966 e l’11 gennaio 967 Pandolfo fu investito del ducato di Spoleto e della marca di Camerino dall’imperatore Ottone I: «ubi residebat dominus Pandolfus gloriosus princeps dux et marchio» (Chronicon Vulturnense, 1925, pp. 145 s., 155; Il Regesto di Farfa di Gregorio da Catino, 1883, pp. 96 [doc. del 968], 97[doc. del 971]; Il Regesto Sublacense del secolo XI, 1885, p. 4 [doc. dell’11 gennaio 967]).
Nel 966 ottenne dal pontefice Giovanni XIII che Capua divenisse la prima sede metropolitana della Campania e che suo fratello Giovanni ne fosse consacrato arcivescovo.
Con l’erezione di Capua a sede metropolitica, Pandolfo poté non solo ridurre la pressione della politica meridionale dei pontefici, ma anche porre un freno alla diaspora signorile nei vari comitati autonomi. Il centro politico dei suoi domini veniva a coincidere con quello religioso, creandosi una felice corrispondenza tra le sedi comitali e le sedi vescovili suffraganee. Alla signoria fondiaria territoriale corrispose, in tal modo, la supremazia religiosa, che Capua guadagnò tra il 965 e il 966, in anticipo rispetto alle altre città capitali della Langobardia minor.
Lo stesso Pandolfo si adoperò affinché due anni più tardi anche Salerno ottenesse la dignità arcivescovile (968) e nel 969 fu la volta di Benevento, arrivando a una coincidenza piena delle nuove arcidiocesi con le sedi dei principati longobardi e legando i comitati alle dinastie dalle quali dipendevano.
Unitosi nuovamente alla campagna imperiale contro i bizantini, Pandolfo fu lasciato dall’imperatore Ottone alla guida dell’assedio di Bari e, fatto prigioniero nella battaglia di Bovino del 969 dal catapano Eugenio, venne rilasciato solo grazie all’accordo con cui l’imperatore bizantino Giovanni Zimisce accettò di concedere la nipote Teofano in sposa a Ottone II, figlio dell’imperatore.
Le rivolte interne al principato di Salerno favorirono l’intervento di Pandolfo che, nel giugno 974, restaurò quale suo vassallo il principe spodestato Gisulfo I, ultimo dei Dauferidi e gli impose l’adozione del proprio figlio Pandolfo. Tra il 978 e il 981 l’egemonia di Pandolfo Capodiferro si estese, dunque, ai territori salernitani, inserendo nella linea della famiglia principesca di Salerno il figlio Pandolfo II, che il principe Gisulfo I provvide non solo ad adottare ma anche ad associare al trono. Si ricomponeva così l’unificazione dei territori dell’antico Ducato beneventano, fondata sul valore personale del principe e pertanto destinata a durare poco.
«Pandolfus princeps regnavit anni triginta octo quem vidimus» (Cronaca della dinastia capuana, v. 13 in Cilento, 1971, p. 306) e morì nel 981, probabilmente il 1° («mense martio intrante», Bertolini, 1923, p. 127).
Negli anni compresi tra il 961 e il 981 Pandolfo fu indubbiamente un personaggio potente, sostenuto da una forte personalità e da una politica avveduta e calcolata, con cui seppe inserirsi nel rinnovato Impero ottoniano e allontanare la minaccia bizantina, anche attraverso trattative diplomatiche abilissime. Alla sua morte i territori vennero divisi tra i figli: Landolfo ricevette Capua e Benevento, mentre Pandolfo II fu principe di Salerno. Il dominio di Spoleto andò invece perduto e nel 981 l’imperatore Ottone II giunse a Roma per assegnare il ducato spoletino a Trasimondo IV, duca di Camerino.
La morte di Capodiferro provocò una crisi profonda, che raggiunse il culmine nel 993 con la rivolta dei Capuani contro Landonolfo, successo al fratello Landolfo, l’uccisione del principe e dello stesso presule Aione, determinando l’intervento prima di Ugo di Toscana e poi dell’imperatore Ottone III.
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