PANDOLFO da Lucca
PANDOLFO da Lucca. – A questo ecclesiastico lucchese, creato cardinale prete della Basilica dei XII Apostoli da papa Lucio III nel dicembre 1182, è spesso attribuito, erroneamente, il cognome "Masca", che lo farebbe appartenere ad una nobile famiglia pisana dell'età comunale. L'errore risale, a quanto pare, ad Alfonso Ciacconio, e fu ovviamente fatto proprio dall'erudizione storico-ecclesiastica pisana; ma sin dal 1844 Domenico Barsocchini fu in grado di confutarlo, dimostrando, sulla scorta della documentazione lucchese, che Pandolfo nacque a Lucca (verosimilmente intorno al 1140-1145) e suo padre, da lui ricordato in un atto di donazione del 1208, si chiamava Pietro di Roberto.
Qualche tempo prima del 12 agosto 1171 (data della prima attestazione) Pandolfo entrò a far parte del capitolo della cattedrale lucchese di S. Martino, come canonico diacono. Il fatto che di lì a due anni (il primo documento è del 9 agosto 1173) egli cominci ad esser menzionato con la qualifica di magister, indica che doveva aver seguito un corso regolare di studi (probabilmente giuridici), forse ultimato dopo l'ingresso nel consesso canonicale. Negli anni successivi, egli compare di frequente nella documentazione lucchese, sempre come canonico diacono di S. Martino con titolo di magister.
La sua posizione di prestigio è suggerita dal fatto che nel novembre 1175 fu uno dei tre rappresentanti del vescovato di Lucca, ai quali i consoli del Comune di Pisa restituirono formalmente il controllo di alcune pievi dell'area più meridionale della diocesi lucchese, in esecuzione delle disposizioni emanate dal Barbarossa per ripristinare la pace fra Pisa e Lucca (e fra Pisa e Genova). Inoltre, all'inizio del 1181 rappresentò con altri due confratelli la canonica di S. Martino nell'accordo stipulato con i consoli della confraternita della S. Croce, in merito alla ripartizione delle offerte raccolte in cattedrale nelle principali festività.
Il 18 dicembre 1182, a Velletri, Lucio III creò Pandolfo cardinale prete della Basilica dei XII Apostoli, mentre un altro canonico di S. Martino, Gerardo, fu creato cardinale diacono di S. Adriano. La scelta del papa è facilmente spiegabile in base alla sua provenienza lucchese. Ma se Gerardo ebbe subito da Lucio III un incarico operativo, confermato poi da Urbano III, di Pandolfo possiamo dire solo che seguì il papa nel viaggio che lo vide approdare infine a Verona. La sua stretta vicinanza al papa che lo aveva chiamato presso di sé (e gli aveva impartito la consacrazione presbiterale) è, d'altronde, dimostrata dal fatto che, alla morte di Lucio III, avvenuta a Verona il 25 novembre 1185, fu proprio Pandolfo a pronunciare l'orazione funebre nella cattedrale veronese. In tale occasione, egli rievocò le peregrinazioni del defunto pontefice e lodò Verona per aver offerto a lui e al suo seguito "un'ospitalità graditissima". Pandolfo partecipò sicuramente alla rapida elezione di Urbano III, e restò costantemente accanto al nuovo papa, almeno fino al termine del soggiorno veronese di costui. Non è certo, infatti, anche se è assai probabile, che egli lo seguisse a Ferrara, dove Urbano III morì il 20 ottobre 1187 e il giorno successivo fu eletto Gregorio VIII. La stessa mancanza di notizie si riscontra per il brevissimo pontificato di quest'ultimo, che morì a Pisa il 17 dicembre 1187, e per i primi mesi del suo successore, Clemente III, eletto nella città toscana il 19 dicembre. La sottoscrizione di Pandolfo manca persino nel privilegio di conferma dei beni e dei diritti della canonica lucchese di S. Martino, rilasciato da Clemente III, ancor sempre a Pisa, il 13 gennaio 1188. La presenza del cardinale prete dei XII Apostoli accanto al pontefice è, peraltro, attestata con continuità a partire dall'aprile successivo e fino alla vigilia della morte di Urbano. Ciò significa che Pandolfo partecipò all'elezione di Celestino III, avvenuta il 10 aprile 1191, restando accanto a lui anche negli anni successivi. Ad esempio, egli fu presente alla canonizzazione di Giovanni Gualberto, fondatore dell'ordine vallombrosano, proclamata da Celestino III a Roma il 1 ottobre 1193: nella descrizione dell'evento fatta da Gregorio, abate di Passignano, Pandolfo, "natione lucensis", è menzionato per primo fra i cardinali preti.
Due anni e mezzo dopo, l'anziano pontefice assegnò a Pandolfo il primo incarico 'esterno' di cui si abbia notizia. Come racconta l'Annalista genovese Ottobuono Scriba, nel marzo 1196 il cardinale dei XII Apostoli giunse a Genova come "legato della Sede Apostolica", affermando che "per ordine di papa Celestino era venuto per comporre la pace fra i Pisani e i Genovesi". Il cronista annota maliziosamente che tale missione era stata decisa "instinctu et suggestione Pisanorum", e racconta che Pandolfo riuscì ad ottenere che le delegazioni delle due città si incontrassero a Lerici. Dopo una serie di colloqui poco fruttuosi, all'avvicinarsi delle festività pasquali (la domenica di Resurrezione cadeva quell'anno il 1 aprile), i Pisani si sarebbero allontanati, e non avrebbero poi rispettato il termine concordato per riprendere le trattative. La tensione fra le due città, che pure si erano rappacificate nel 1188 dietro pressione di Clemente III, era dovuta, come sempre, alla Sardegna, dove proprio in quel periodo agiva l'arcivescovo pisano Ubaldo, forte della qualifica di "Legato permanente della Sede Apostolica" (assegnatagli nel 1176 da Alessandro III), e con l'esplicita approvazione di papa Celestino III. In particolare, Ubaldo sostenne efficacemente il Giudice di Cagliari, Guglielmo di Massa, legatissimo a Pisa. La missione ligure di Pandolfo si concluse così senza risultati (i Genovesi si affrettarono anzi ad organizzare un attacco contro la reggia cagliaritana di Guglielmo); ma la fiducia di Celestino III in lui non venne meno, sì che nel marzo 1197 il papa lo inviò come Legato apostolico in Tuscia.
In tale veste, Pandolfo era abilitato ad occuparsi anche di questioni ecclesiastiche. Così, il 29 aprile 1197, nel palazzo vescovile fiorentino, egli fece raccogliere testimonianze in merito all'elezione del rettore della chiesa cittadina di S. Maria Novella (dove pochi decenni dopo si sarebbero insediati i domenicani); qualche tempo dopo, l'abate del monastero fiorentino di S. Maria (noto come la "Badia" per antonomasia) si appellò a lui riguardo alla causa che lo opponeva al vescovo intorno all'altra chiesa urbana di S. Martino. Ma il mandato che Pandolfo aveva ricevuto da Celestino III era sicuramente assai più ampio; e il cardinale era ancora in Toscana, quando arrivò la notizia della morte di Enrico VI, avvenuta a Messina il 27 settembre 1197. Fu a quel punto (se non l'aveva fatto in precedenza) che il papa affiancò a Pandolfo un secondo Legato, nella persona di Bernardo, cardinale prete del titolo di S. Pietro in Vincoli.
I due svolsero una febbrile attività diplomatica, che portò, in poche settimane, alla costituzione della "societas et concordia inter civitates Tuscie et episcopos et comites et castella et burgos", nota come Lega di S. Genesio, perché giurata l'11 novembre 1197 in quel borgo del Valdarno inferiore posto ai piedi di S. Miniato, alla presenza e "su autorizzazione e mandato" dei due "presbiteri cardinales et Legati Tuscie". Tale Societas, come è noto, fu costituita innanzitutto dai Comuni di Firenze, Siena, Lucca, Prato e S. Miniato e dal vescovo di Volterra, e i suoi fondatori si impegnarono a "non ricevere alcun imperatore, o alcuno che venisse a governarli per conto dell'imperatore o del re, o del principe, o del duca o del marchese", senza l'assenso preliminare, o meglio ancora uno "speciale mandato" da parte della Chiesa romana. Nei mesi successivi aderirono alla Lega anche altre città, vescovati e famiglie comitali, ma non Pisa; e in un momento imprecisato i due legati scagliarono contro questa città un provvedimento di interdetto.
L'8 gennaio 1198 morì Celestino III, e i cardinali presenti a Roma elessero immediatamente come suo successore il confratello Lotario, che prese il nome di Innocenzo III. Pandolfo e Bernardo (che non dovettero partecipare all'elezione) inviarono al nuovo pontefice il priore della canonica lucchese di S. Frediano (il Giovanni che nel 1205 sarebbe divenuto vescovo di Firenze, godendo sempre di grande considerazione da parte di Innocenzo) per ragguagliarlo sul lavoro svolto e sottoporgli il testo della Societas giurata l'11 novembre precedente. Il papa rispose all'inizio di febbraio, confermando Pandolfo e Bernardo nella funzione di Legati apostolici, ma osservando come l'atto di costituzione della lega "in plerisque capitulis nec utilitatem contineat nec sapiat honestatem", soprattutto in quanto vi si taceva che "il Ducato di Tuscia apparteneva al diritto e al dominio della Chiesa romana".
Al di là della 'estemporaneità' di tale rivendicazione, era chiaro che il nuovo papa intendeva seguire personalmente le vicende politiche toscane, e sottoporre quindi i due Legati ad un controllo ben più stringente di quello esercitato dal predecessore. Al riguardo, egli scrisse di aver incaricato Giovanni di trasmettere loro una serie di disposizioni, alla cui "esecuzione", come si legge in un'altra lettera dell'inizio di marzo, si aspettava che essi "dessero opera efficace". Questa seconda lettera riguardava soprattutto la situazione di Pisa, e faceva capire che il papa non gradiva che questa città continuasse ad essere sottoposta ad interdetto, per essersi rifiutata di aderire ad una Societas che, allo stato attuale, nemmeno Innocenzo poteva approvare. Ulteriori disposizioni furono inviate dal papa ai due Legati il 16 aprile 1198; dopo di che, essi spariscono dai registri innocenziani. Secondo una notizia riferita da Davidsohn, Pandolfo risulterebbe ancora attivo a Firenze come Legato in data 10 novembre 1198; mentre un documento lucchese del dicembre successivo lo segnala nel Valdarno inferiore, a S. Maria a Monte, dove il vescovo di Lucca aveva una residenza fortificata.
In ogni caso, nel febbraio del 1199 Pandolfo era già rientrato in Curia, ove, nei mesi successivi, non mancò di ricevere dal papa qualche incarico nell'ambito di cause ecclesiastiche giunte a Roma in appello. Colpisce, tuttavia, che dopo il I luglio 1201 Pandolfo non compaia più come sottoscrittore dei privilegi papali. Come appurato dal Barsocchini, negli anni successivi egli soggiornò nella natìa Lucca. Il 4 maggio 1208, nella cattedrale di S. Martino, egli donò ai canonici due appezzamenti di terra, uno dei quali egli aveva acquistato in precedenza dagli stessi canonici per 100 lire di moneta pisana (si era trattato forse di un prestito, di cui ora Pandolfo restituiva il pegno?). La donazione era finalizzata ad ottenere che l'anniversario della morte di Pandolfo fosse ricordato ogni anno dai canonici di S. Martino con preghiere, messe e una mensa imbandita a beneficio di 24 poveri. Fu in questa occasione che Pandolfo, nel precisare che i beni da lui donati non gli erano giunti per eredità, ma erano stati acquistati grazie ai proventi del canonicato da lui detenuto in passato, escluse ogni possibile rivendicazione da parte di "qualsiasi persona della stirpe del fu Pietro di Roberto, il defunto padre suo, uomo di tale bontà che da vivo veniva detto santo". Una donazione di analogo tenore egli dettò nel 1210, sempre presso S. Martino, in favore della canonica 'dirimpettaia' di S. Reparata. È questo l'ultimo documento che lo menzioni: con ogni probabilità egli morì a Lucca, entro la fine di tale anno.
Fonti e bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Firenze S. Maria Novella, 1197 aprile 29 (id. digitale 7236); Badia Fiorentina, 1198 dicembre 19 (id. digitale 74182); A. Ciaconius, Vitae et res gestae Pontificum romanorum et S. R. E. cardinalium, t. I, Romae 1677, col. 1114; Acta Sanctorum, Iulii, III, p. 337; Raccolta di documenti per servire alla storia ecclesiastica lucchese, in Memorie e documenti per servire all'istoria del Ducato di Lucca, t. IV/2, Lucca 1839, nr. 134 e Appendice, nr. 112; D. Barsocchini, Dissertazione IX. Dei vescovi lucchesi del secolo XII, in Memorie e documenti, t. V/1, Lucca 1844, pp. 493-497; Documenti dell'antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze 1895, n. XXI, pp. 33-38; R. Davidsohn, Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz, Berlin 1896, pp. 130 s.; Otoboni Scribae, Annales Ianuenses, in Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, vol. II, a cura di L.T. Belgrano - C. Imperiale di Sant'Angelo, Genova 1901, pp. 62-64; O. Iozzi, La tomba di Lucio III in Verona, Roma 1907, pp. 10-13; Regesto del Capitolo di Lucca, a cura di P. Guidi - O. Parenti, vol. II, Roma 1933 (Regesta Chartarum Italiae, 18), n. 1289, 1314, 1316, 1333, 1337, 1352, 1369, 1390, 1439, 1443, 1456, 1470-1472, 1481, 1484; Die Register Innozenz' III, 1.Bd 1198-1199, a cura di O. Hageneder - A. Haidacher, Graz-Köln 1964, n. 15, 35, 88; I. Friedlaender, Die päpstlichen Legaten in Deutschland und Italien am Ende des XII. Jahrhunderts (1181-1198), Berlin 1928 (rist. anast. Vaduz 1965), pp. 95, 104-106; R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, trad. ital., Firenze 1977, pp. 909-931; W. Maleczek, Papst und Kardinalskolleg von 1191 bis 1216. Die Kardinäle unter Coelestin III. und Innozenz III., Wien 1984, pp. 79 s.; R. Savigni, Episcopato e società cittadina a Lucca da Anselmo II (+1086) a Roberto (+1225), Lucca 1996, pp. 452 s.; G. M. Varanini, Lucio III, la Curia romana e una chiesa locale. Verona 1184-1185, in Roma e il Papato nel Medioevo. Studi in onore di M. Miglio, I, Percezioni, scambi, pratiche, a cura di A. De Vincentiis, Roma 2012, pp. 185-199.