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ARIOSTO, Pandolfo

di Mario Quattrucci - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 4 (1962)
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ARIOSTO, Pandolfo

Mario Quattrucci

Poche e incerte sono le notizie che possediamo di questo cugino di Ludovico Ariosto. La prima data certa nella sua biografia è il 1487, quando, per entrare in possesso dell'eredità del padre, Malatesta, ebbe bisogno dell'intervento del suo curatore, G. Riminaldi, e dei suoi cugini maggiorenni. A quell'epoca, dunque, per le leggi allora vigenti, aveva sicuramente più di quattordici e meno di ventun'anni. Avviato dal padre allo studio delle lettere, scrisse poesie latine, secondo quanto possiamo apprendere da due carmi giovanili di Ludovico: l'elegia Ibis ad umbrosas corylos e l'elegante ode asclepiadea Dum tu prompte (L. Ariosto, Lirica, a cura di G. Fatini, Bari 1924, pp. 182, 197). Purtroppo, della sua attività letteraria non è rimasto niente. Fu amico di A. Cammelli, detto il Pistoia, che lo cita in un allegro sonetto, la cui data di composizione deve essere fissata al 1499 (A. Cammelli, I sonetti faceti, Napoli 1908, son. XXIX). Si sa con certezza che possedeva una villa a Copparo, dove spesso si recava con Ludovico, suo cugino prediletto.

Fu al servizio del duca Ercole I d'Este sino al 1498, come si desume da una sua lettera del 10 ottobre di quell'anno, indirizzata al segretario T. Fusco, nella quale l'A. espone il risultato di una missione affidatagli. In quello stesso anno passò al servizio del cardinale Ippolito, presso il quale disimpegnò l'importante ufficio di cancelliere. Di questo incarico di fiducia l'A. si valse per introdurre nel 1503 Ludovico tra i familiari di Ippolito, liberandolo così in parte dalle preoccupazioni economiche e permettendogli quindi di dedicarsi con maggiore tranquillità alla sua attività artistica.

Egli stesso, già durante la giovinezza, aveva convinto il padre di Ludovico a non ostacolare le inclinazioni del figlio. L'A., confidente delle gioie e delle delusioni amorose del cugino, fu anche la sua guida negli studi letterari: c Quel, la cui dolce compagnia nutrire / Solea i miei studi, e, stimulando innanzi / Con dolce emulazione solea far ire", scriverà l'Ariosto nell'affettuosa e commossa rievocazione dell'A. che si legge nella Satira VI (vv. 217 e ss.).

Nel 1504 Ercole I affidò all'A. una missione a Venezia, e nel 1505 il cardinale Ippolito lo raccomandò al marchese Gonzaga per fargli ottenere un beneficio nella diocesi mantovana.

Morì probabilmente nel 1507, quando la vedova Camilla, figlia di Galeotto Malatesta, che l'A. aveva sposato nel 1503, rientrava in possesso della sua dote, assolvendo i cognati da ogni debito.

Bibl.: A. Frizzi, Memorie stor. della nobil famiglia degli Ariosti, in Raccolta di opuscoli scientifici e letter. di chiari autori ital., III, Ferrara 1779, pp. 156-158; G. Carducci, La gioventù di Ludovico Ariosto e la Rinascenza in Ferrara, in Opere, Ediz. Naz., XIII, pp. 276-279; A. Salza, La cronologia dei canti di Ludovico Ariosto al Parente Pandolfo, in Miscellanea di studi critici in onore di E. Stampini, Torino 1921, pp. 115-123.

Vedi anche
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