GENTILI (Gentile), Pancrazio
Nacque a San Ginesio, nel Maceratese, presumibilmente nel secondo decennio del Cinquecento, figlio di Lucentino (o Gregorio) e di Clarice Matteucci. Come il fratello Matteo, intraprese gli studi di medicina e svolse le mansioni di medico fisico in diversi centri dell'Italia centrale. Seguì - almeno saltuariamente - i corsi presso lo Studio di Perugia fra il 1536 e il 1541, come risulta dai registri del collegio della Sapienza vecchia, che attestano arrivi e partenze del G., nonché i debiti e i crediti da lui contratti con l'istituzione. Forse già a partire dal 1540 esercitò a Penna San Giacomo, nel 1543 a Borgo San Sepolcro e nel 1545 fu chiamato a San Ginesio con un contratto di condotta che prevedeva il pagamento di 200 fiorini annui, confermato nel 1547 e nel 1549. Accanto all'arte medica, il G. si impegnò nella vita politica locale, e nel 1554 entrò a far parte del Consiglio di credenza di San Ginesio, che si occupava di risolvere "le cose più gravi" della comunità e fu incaricato di missioni di vario genere.
In particolare, nel corso dei cruenti scontri di fazione che segnarono negli stessi anni la vita politica di San Ginesio il G. intervenne per cercare di riportare la pace tra le famiglie in contrasto, una pace sollecitata anche dalla città di Ascoli, alleata di San Ginesio, che gli Ascolani nel 1552 definirono "altera nostra civitas seu nos ipsi, ut dicitur, alter ego" (Volpi, p. 44). Dopo una lunga fase di violenze alla fine fu raggiunta la pace.
Il successo degli interventi del G. avrebbe suscitato nei suoi confronti risentimenti e ostilità da parte dei compatrioti, mossi - come argomentava a fine Settecento l'abate T. Benigni (in G. Colucci, Antichità…) - da quella "magra e perniciosa invidia" che caratterizzava gli abitanti del borgo.
Nel 1557 il G. presentò la sua candidatura per la carica di medico condotto nella turbolenta città di Ascoli, ove i violenti contrasti fra le fazioni della nobiltà cittadina avevano portato nell'aprile 1555 all'uccisione, nella sagrestia di S. Maria grande, del vicelegato pontificio Sisto Bezio, il cui cadavere seviziato era stato esposto sulla piazza Arringo, dove "andavano li fanciulli e donne a tirargli le pietre e li capelli, con carpirgli li peli della barba". Ad Ascoli il G. aveva già sostituito temporaneamente Antonio Marino Ronconi, senza però riuscire a ottenere la maggioranza dei consensi; l'anno seguente, il 27 dic. 1558, fu comunque chiamato a rivestire l'incarico nella città marchigiana con l'onorario di 200 fiorini annui, elevati a 240 nel 1561 e infine a 300, confermati nel 1563, mentre continuavano in Ascoli le aspre discordie civili.
Nello stesso anno il Consiglio cittadino accoglieva unanime la proposta, suggerita da un predicatore del ciclo quaresimale, per cui i medici attivi ad Ascoli dovessero sospendere le cure ai pazienti che non si accostavano ai sacramenti, anticipando la bolla di Pio V che stabiliva una normativa rigida e vincolante nelle relazioni fra il curante e il malato proprio sul tema della confessione. Ad Ascoli si voleva dunque tenere sotto controllo l'osservanza dei precetti religiosi da parte dei medici.
Il 27 nov. 1567 il G. fu incarcerato dal governatore di Ascoli su ordine del S. Uffizio romano. Grazie al favore di cui egli godeva presso il governo locale e la popolazione il Consiglio cittadino approvò con 48 voti su 50 la proposta di scrivere ai cardinali Scipione Rebiba e Michele Bonelli, "facendosi fede della buona vita sua e delle sue vertù e buoni costumi" e proponendo che la causa fosse delegata alle competenze del governatore di Ascoli. Alcuni mesi prima, il 17 apr. 1567, il Consiglio aveva discusso dell'ipotesi di intervenire, proprio su richiesta di San Ginesio, a favore di alcuni abitanti della comunità, già incarcerati, e non è escluso che dagli interrogatori degli inquisiti fosse trapelato il nome del G., in tal modo coinvolto nelle indagini. Nel gennaio 1568, in seguito a una decisione del Consiglio di Ascoli, sollecitato anche dalla Comunità di San Ginesio, veniva affidato a una delegazione di oratori che si recava a Roma l'incarico di perorare la difesa del medico cittadino. Frattanto la proposta di sostituire il G. con un altro sanitario fu bocciata dalla maggioranza del Consiglio, che evidentemente intendeva appoggiare il Gentili. Tuttavia il 16 maggio 1568 fu autorizzata la sua sostituzione con Giovanni Girolamo Ancellotti; questa scelta è da porsi in relazione con il processo, celebrato nella chiesa della Minerva in Roma e terminato il 9 maggio, di venticinque inquisiti giudicati colpevoli d'eresia (di cui cinque finirono sul rogo), tra i quali erano compresi ben nove originari di San Ginesio. La condanna del G. dovette essere di lieve entità, dal momento che il 6 luglio 1570, poco più di due anni dopo, gli Ascolani provvedevano a reintegrarlo nei suoi compiti sanitari, sempre con l'emolumento di 300 fiorini annui, e confermavano nella delibera di riassunzione il giudizio positivo sulle qualità umane, morali e professionali del medico.
La morte colse il G. il 20 maggio 1571, mentre era ancora in servizio; fu sepolto ad Ascoli nella chiesa di S. Francesco. Nelle sue funzioni di medico subentrò il fratello Matteo; gli sopravvissero la moglie Basilia e i figli Sveva e Gregorio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Perugia, Sapienza vecchia, Registri dei rettori, 40-45; G.G. de Manliis, Luminare maius, a cura di G.M. Durastanti, Venezia 1566, c. 140v; G. Colucci, Antichità picene, VII, Fermo 1790, pp. IX-XII; G. Fabiani, A. Gentili e l'eresia in Ascoli, in Rivista di storia della Chiesa in Italia, VIII (1954), pp. 398 s., 401-403; Id., Predicatori in Ascoli nel Cinquecento, in Studia Picena, XXIII (1955), pp. 151 s.; R. Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e razionalizzazione dello Stato pontificio, Bologna 1983, ad indicem.