Vedi PALMIRA dell'anno: 1963 - 1973 - 1996
PALMIRA (v. vol. v, p. 900)
Le nostre conoscenze della topografia e dei monumenti di P. si sono arricchite nel corso di questi ultimi anni attraverso scavi e pubblicazioni. I nuovi scavi sono stati eseguiti dalla Direzione Generale delle Antichità e dei Musei della Repubblica Araba Siriana nei settori centrale e orientale del Grande Colonnato e nelle vicinanze; una missione francese ha scavato presso la sorgente Efca e nella corte del tempio di Bēl; una missione polacca ha scavato nel Campo di Diocleziano. Ricerche sulle necropoli della Valle delle Tombe sono state inoltre condotte da archeologi siriani e polacchi. Studî apparsi recentemente o in corso di preparazione su monumenti già conosciuti e scavati sono quelli di archeologi francesi sul tempio di Bēl e della Missione Archeologica Svizzera sul santuario di Ba‛alshainīn. Da questi scavi definitivi, seguiti da pubblicazioni dettagliate, i rilievi eseguiti a P. nel 1902 e nel 1917 dalla Missione Archeologica Tedesca, che aveva avuto il compito di descrivere i resti visibili, sono stati in molti punti precisati, completati o corretti.
Nel quadro della completa liberazione di una vasta zona monumentale al centro delle rovine di P., intrapresa dalla Direzione Generale delle Antichità e dei Musei della Repubblica Araba Siriana, gli scavi diretti da A. Bounni hanno messo in luce un lungo settore del Grande Colonnato compreso tra il Tetrapilo e l'Arco monumentale; e al di là di questo in direzione del tempio di Bēl, fino al livello del suolo antico, con portici che la circondano, l'attacco di vie trasversali che vi sboccano, e i monumenti adiacenti. Citiamo, fra questi, due ninfei che si aprono sulla strada con un vestibolo a quattro colonne. Il restauro del Tetrapilo fino all'altezza della trabeazione, all'articolazione del settore occidentale del Colonnato, contribuisce a rendere sensibili la topografia e il carattere spettacolare di questo grande complesso.
Due complessi monumentali particolarmente importanti sono stati scoperti nelle vicinanze durante questi lavori: le Terme dette di Diocleziano e il santuario di Nebo.
A N del Grande Colonnato, le terme si aprivano sulla strada con un vestibolo decorato di colonne di granito sporgenti rispetto alla linea dei portici. L'iscrizione incisa da Sossianus Hierocles, governatore della provincia di Siria-Fenicia all'epoca della tetrarchia, ne aveva fatto attribuire la costruzione a Diocleziano. Senza dubbio si trattò allora soltanto di un rifacimento, perché gli scavi hanno dimostrato che sono più antiche: tanto lo stile della decorazione scolpita quanto le statue di marmo scoperte all'interno (fra cui un torso loricato di Settimio Severo) ci riportano agli ultimi anni del II sec. d. C. Gli scavi hanno messo in luce installazioni idrauliche e gli impianti termali usuali, frigidarium, calidarium, gymnasium: una piscina quadrata, profonda, circondata su tre lati da colonnati; una sala ottagonale con bacino centrale; un cortile a peristilio.
Dall'altro lato della via, più vicino all'Arco monumentale, è stato interamente scavato il complesso di un vasto santuario. È il "tempio corinzio" della pubblicazione tedesca (Palmyra, xiii, pp. 108-121, tavv. 55-61), attribuito senza sufficienti ragioni ad Atargatis. Tre iscrizioni scoperte nel santuario attestano che è stato consacrato a Nebo, divinità di origine babilonese assimilata ad Apollo, e molto diffusa a P., come attestano numerosi nomi teofori. Il tèmenos, di forma trapezoidale, è accessibile da S attraverso un propileo con sei colonne in facciata e, su un piano arretrato, due semicolonne e due altari che inquadrano la porta. La corte circondata da portici costruiti a tappe durante il II sec. d. C., fu più tardi amputata a N dall'impianto del Grande Colonnato; le colonne dei portici hanno una base modanata e capitelli pseudo dorici filettati. Un altare monumentale impiantato su uno zoccolo, ornato di bassorilievi e circondato da colonne, è stato eretto verso la fine del II sec. d. C. nella parte anteriore della corte. Il tempio si alza su un podio, accessibile dal lato S per mezzo di una scalinata; si compone di una cella e di un colonnato periptero di 6 × 12 colonne corinzie; la cella, che conteneva un thàlamos, è illuminata da finestre; la cornice era sormontata da merli a gradini e agli angoli dei frontoni erano acroterî. L'edificio si può datare per mezzo di iscrizioni nella seconda metà del I sec. d. C.; è la data che può essere attribuita anche ai capitelli sgrossati del propileo. Ma la data più alta per l'origine del santuario è attestata dalla scoperta di capitelli "arcaici" di pietra tenera, senza abaco, con volute sorgenti da una corona di foglie molto piatte, analoghi a quelli trovati nel santuario di Ba‛alshamīn, datati, grazie ad un'iscrizione, al 23 d. C. Per le dimensioni, per l'ubicazione centrale, per la qualità della costruzione, per gli abbellimenti apportati durante quasi due secoli, il santuario di Nebo si colloca fra i più importanti di Palmira.
Dietro il teatro, attorno al quale gli scavi hanno messo in luce una vasta piazza, una via conduceva all'agorà, passando davanti alla sala del senato. Un edificio rettangolare, unito all'agorà da un muro in cui si aprono tre porte, è stato esplorato. Questo recinto di grandi dimensioni, non lastricato, ha potuto servire di deposito commerciale e di luogo di riunione di carovane; davanti al suo ingresso, sul lato S, è stata trovata la nota iscrizione detta "tariffa di Palmira".
Nel 1965 una missione archeologica francese diretta da R. du Mesnil du Buisson, ha effettuato ricerche su differenti punti del territorio di Palmira. Hanno portato alla scoperta dell'impianto della sorgente Efca, da cui sgorga l'acqua che irriga l'oasi e di cui è noto il carattere sacro; di costruzioni erette alla sommità di una montagna che domina la sorgente, nelle quali un'iscrizione datata al maggio dell'89 d. C. ha permesso di riconoscere un santuario dedicato al dio Bēl-Hammon; nella corte del tempio di Bēl, saggi di scavo spinti fino al vergine, hanno restituito tracce di un passato molto antico, e precisamente ceramiche caratteristiche dell'Età del Bronzo Antico, databili al 2100 o 2200 a. C. Così sotto la spianata, fatta artificialmente all'epoca ellenistica e romana per istallarvi il principale santuario di P., si trova localizzato il posto dell'antico tell. È la prima volta che dal suolo di P. emergono trovamenti che corrispondono alle più antiche menzioni del nome della città (Tadmor) delle tavolette provenienti dalla Cappadocia e dagli archivî di Mari sull'Eufrate: questo fatto sottolinea l'importanza di questa scoperta.
Agli scavi della missione polacca, diretta da K. Michalowski, che dal 1959 sta esplorando la parte più occidentale della città, il vasto complesso monumentale tradizionalmente designato con il nome di Campo di Diocleziano, è legata la soluzione di un problema topografico di grande interesse. L'esplorazione è resa difficile dalla natura accidentata del terreno, dall'estensione di questo campo di rovine (circa venti ettari) e dall'enormità dei blocchi che lo ricoprono. Sebbene gli scavi non siano ancora terminati, si sono potute apportare già integrazioni e correzioni ai rilievi della missione tedesca (Palmyra, xi, pp. 85-105, tavv. 10, 45-54) e molte osservazioni si son potute fare sulla cronologia di queste costruzioni. Ci si incammina così verso una visione più chiara di quella che fu in origine la loro destinazione; in mancanza di una soluzione, ancora prematura, i termini del problema vanno precisandosi.
L'impianto di un campo da parte dei tetrarchi (castra) è richiamato da un'iscrizione latina monumentale incisa su un architrave a cura del governatore della provincia, Sossianus Hierocles, tra il 293 e il 303 d. C. (inv. vi, 2; C.I.L., III, Suppl., 6661). Si è cercato di ritrovare sul terreno la pianta di questo accampamento, interpretando come via praetoria e via principalis le strade perpendicolari fiancheggiate da portici, alla cui intersezione si alza un tetrapilo, e come tempio delle insegne (principia) un grande edificio che occupa una posizione dominante ma eccentrica. D. Sclumberger ha contestato questa interpretazione a causa dell'assenza di ogni traccia di muri dell'accampamento e di tre delle porte (una sola entrata, battezzata porta praetoria sussiste ad E), e della situazione eccentrica dei principia; secondo lui la parola castra dell'iscrizione non può applicarsi a questo complesso monumentale, che non somiglia ad un accampamento; piuttosto designa l'insieme delle fortificazioni tarde della città che era stata chiamata a svolgere un ruolo importante come punto d'appoggio del limes orientale dell'Impero; lo pseudo campo di Diocleziano è in realtà un palazzo, con la sala delle udienze, analogo al palazzo di Spalato e ad altre residenze, e anteriore alla distruzione di P. nel 273, come dimostra lo stile della decorazione scolpita; questo palazzo era quello dei principî di P., Odenato e Zenobia, nel terzo venticinquennio del III sec. d. C., vanamente ricercato finora.
Soltanto il compimento degli scavi definitivi intrapresi dalla missione polacca potrà confermare o infirmare questa brillante e seducente tesi alla quale in alcuni punti possono sollevarsi obiezioni. In mancanza di una conclusione, ancora prematura, ci limitiamo a fare il punto sui risultati acquisiti.
La cronologia di questo insieme di costruzioni è molto complessa. La scoperta di un quartiere di abitazioni che occupava nel I sec. il posto dell'accampamento mostra che esisteva allora in questa zona un piano urbanistico al quale si riconnette una parte delle costruzioni posteriori. Così si spiega l'orientamento diverso della via fiancheggiata da portici, che divide il Campo, e del Colonnato Trasversale che lo fiancheggia, molto abilmente mascherato dalla disposizione del propileo che vi dava accesso; all'interno della porta monumentale a tre aperture (detta porta praetoria), la cui facciata è parallela alla via, s'innesta di sbieco l'asse della strada che non le è perpendicolare; la stessa disposizione si ripete nel vestibolo con colonne che l'oltrepassa un po' più indietro. Il tetrapilo, eretto nel III sec. all'intersezione delle due grandi strade perpendicolari, è più recente del loro impianto, come è dimostrato dal non riuscito raccordo con l'allineamento delle colonne e dallo stile dei capitelli corinzî provenienti dalla via principalis, che portava al tempio di Allāth e ad una colonna onoraria eretta nel 64 d. C. D'altra parte i numerosi blocchi di reimpiego, sculture o iscrizioni provenienti dalle necropoli vicine, sono l'indice di rimaneggiamenti in relazione con una occupazione tarda degli stessi edifici.
Lo scavo completo del Tempio delle Insegne, lo studio attento della pianta e delle strutture permetteranno forse di determinarne in modo certo la funzione e di recare con ciò un contributo essenziale alla storia di Palmira.
Mentre perseguivano con successo le ricerche sui punti scelti della città antica, gli archeologi siriani e polacchi si sono dedicati al restauro e all'esplorazione di nuove sepolture collettive nel vasto campo delle necropoli palmirene. Molti ipogei scavati da loro hanno restituito centinaia di sculture e di iscrizioni funerarie, arricchendo così in maniera apprezzabile il materiale su cui si basa la nostra conoscenza dell'arte di P. e della genealogia delle grandi famiglie. Osservazioni di grande interesse sono state fatte inoltre sull'impianto delle necropoli.
Nel settore della Vallata delle Tombe, che era stato riservato alla missione polacca, diretta da K. Michalowski, si è riconosciuto che erano state prese precauzioni particolari per evitare il crollo delle pareti delle sepolture sotterranee, scavate profondamente nella roccia friabile: una disposizione a quinconce era stata adottata, lasciando fra le tombe una distanza sufficiente, e cioè di circa ventidue metri fra i lati di due ipogei contigui, e di circa dieci metri fra due file di tombe. Inoltre sono stati scavati due esemplari di un nuovo tipo di tomba palmirena, che combina quello della tomba-torre e dell'ipogeo; questo usato più anticamente, era unito per mezzo di una scala al pianterreno della torre; le due tombe di questo tipo appartengono al principio del I sec. d. C., gli elementi che le compongono appaiono sempre dissociati nelle tombe più recenti; la torre di Giambuco, sprovvista di ipogeo, datata nell'83 d. C., è probabilmente l'esempio più antico di questo nuovo stato di cose. Si è potuto constatare anche che ipogei datati nella prima metà del II sec. sembrano essere stati concepiti su un piano più ampio di quello con cui furono effettivamente eseguiti: una nicchia disegnata sul muro non è stata aperta; una scala monumentale non conduce che a una piccolissima camera; si può vedervi l'indice di un impoverimento delle famiglie che pagavano le spese di questi sontuosi sepolcri, senza dubbio nel momento in cui i considerevoli profitti che P. ricavava dal traffico delle carovane (la famosa tariffa doganale si data nel 137) furono accaparrati dalla collettività.
L'antico uso di ipogei a P. è illustrato da una scoperta della missione svizzera, nelle immediate vicinanze del santuario di Ba‛alshamīn. All'interno di un recinto quadrangolare, preceduto da un vestibolo a cielo aperto, erano state scavate quattordici tombe, disposte ai due lati di un dròmos, coperte di lastre sormontate da una vòlta di mattoni crudi; strati di mattoni crudi ricoprivano il tutto. Ciascuna tomba conteneva molti cadaveri, disposti in successive inumazioni; un'iscrizione, datata nel maggio dell'11 d. C., si riferisce probabilmente ad una delle più recenti. Un abbondante corredo funerario: armi, gioielli, lucerne, ceramica, coppe di alabastro, è in parte chiaramente più antico, di modo che l'impianto di questa sepoltura collettiva può risalire alla metà del II sec. a. C. Il suo impianto si trovava senza dubbio allora fuori dei limiti della città antica. Gli oggetti di diverse origini deposti nelle tombe sono l'espressione di relazioni commerciali estese che P. intratteneva già in quest'epoca antica. Si sono trovati fianco a fianco lucerne ellenistiche e anforischi importati da Antiochia, lucerne a disco piatto di fabbricazione locale e vasi di quella bella faïence smaltata verde o azzurra proveniente dalla Mesopotamia (green glazed pottery) di cui gli scavi di Dura Europos hanno permesso di classificare e datare i diversi tipi.
La pubblicazione del tempio di Bēl, principale santuario di P. da parte di H. Seyrig, R. Amy, E. Will, farà presto conoscere in tutti i dettagli questo straordinario edificio. In attesa, E. Will ha definito il posto che può assegnarglisi nella storia dell'architettura della Siria ellenistica e romana, in una comunicazione presentata al IX Congresso Internazionale d'Archeologia Classica a Damasco nell'ottobre del 1969.
Il tempio di Bēl offre un esempio caratteristico della combinazione di elementi orientali e occidentali che illustrano tanti monumenti di Palmira. Dall'Oriente derivano le istallazioni in più diretto rapporto con il culto: i due thàlamoi eretti alle estremità della cella; il tetto a forma di terrazza, con le torri d'angolo, e le scale che vi conducono; l'asse sfalsato della porta; la gola egizia e i merli a scalini che ornano le parti alte. Ma, a differenza di altri monumenti della Siria romana, più fortemente influenzati dall'arte dell'epoca imperiale, gli elementi occidentali appartengono qui ad una tradizione propriamente ellenica: la pianta pseudo-diptera e alcuni capitelli possono pretendere il nome di Hermogenes, uno dei maestri dell'architettura ionica ellenistica in Asia Minore; i soffitti a cassettoni dei due thàlamoi e del peristilio appartengono anche a questa tradizione. L'ordine corinzio delle colonne del peristilio e del thàlamos S non ha senza dubbio altra origine, ma è Antiochia che ne condivide la diffusione in Siria; lo stesso si potrebbe dire di alcuni motivi decorativi, quali il tralcio di vite o la spiga. In breve, malgrado la data recente, e contrariamente ai templi di Baalbek, per esempio, il tempio di Bē è un tempio di tradizione greca; è il solo grande tempio di Siria nel quale si possa riconoscere l'influenza diretta dell'architettura ellenistica; si può pensare con molta verosimiglianza che i Palmireni abbiano fatto venire da Antiochia, la capitale, l'architetto cui confidarono agli inizî del I sec. d. C. la costruzione del principale edificio della loro città.
Il santuario di Ba'alshamīn è stato scavato dalla missione svizzera diretta da P. Collart dal 1954 al 1956. I due primi volumi della pubblicazione, destinati alla topografia e all'architettura, sono usciti nel 1969. Recano molti dati sulla struttura e sulla storia di questo importante santuario.
Sono state riconosciute le varie fasi successive di questo grande complesso di costruzioni, nonostante le trasformazioni subite a causa di un'occupazione tarda, bizantina ed araba, grazie alle dediche datate delle colonne e dei portici che son venuti ad ornare successivamente le diverse corti, grazie anche allo stile delle diverse serie di capitelli corrispondenti a queste colonne. Si è potuto così constatare che il tempio, solo vestigio visibile del santuario prima degli scavi, non era che un elemento inserito di un contesto più antico, e che il centro cultuale era altrove; l'esempio di un altro grande santuario siriano di Ba'alshamīn, quello di Sia in Batanea, ha permesso di riconoscere il dispositivo caratteristico di questo luogo di culto all'estremità N delle costruzioni.
Quanto al tempio costruito da Malé, segretario della città, nel 130-131 d. C., è rimasto in piedi fino ai nostri giorni; se ha conservato, come il tempio di Bēl, particolarità di origine orientale di cui la tradizione locale aveva richiesto il mantenimento (mensole attaccate al fusto delle colonne, merli coronanti la cornice, finestre che illuminavano l'interno, il thàlamos eretto in fondo alla cella), la sua architettura appartiene per il resto alla tradizione greco-romana: si riconosce in tutte le parti l'applicazione delle regole proporzionali enunciate da Vitruvio, fondate sulla messa in opera di un modulo equivalente al diametro inferiore delle colonne. L'unità di misura così definita non è in relazione con il piede romano, come si era creduto erroneamente (cfr. Palmyra, xiv, pp. 122-124 e tav. 62); è invece un doppio cubito diviso in tre piedi di 28,75 cm, del quale si ritrovano dei multipli non soltanto in tutte le parti dell'edificio, ma più anticamente già nella pianta primitiva del santuario.
L'irregolarità di questa pianta, a prima vista sconcertante, trova la sua spiegazione nella messa in opera di uno schema regolatore basato sul doppio principio della metrologia e dell'orientazione. Si è potuto constatare infatti che le diagonali delle diverse parti costitutive del santuario erano state tracciate fin dall'origine secondo un'orientazione O-E rigorosamente osservata, e che esse erano non soltanto parallele ma equidistanti, separate le une dalle altre da un intervallo di 90 piedi di 28,75 cm, unità riconosciuta altrove, come si è detto. Si è inoltre potuto constatare che i punti caratteristici della pianta del santuario erano stati fissati fin dall'origine da intersezioni di linee dello schema, basato sul rapporto costante dei lati di un quadrato con la diagonale, cioè 1 a ± 2. L'esattezza di queste osservazioni, a prima vista sorprendenti, è dimostrata dal fatto che vi si ritrova l'applicazione d'uno schema identico nella pianta del santuario di Bā‛alshamīn a Sīa, che sembra esser stato il prototipo di quello di Palmira.
Lo stesso rapporto di 1 a ± 2 praticamente ottenuto non con il calcolo dei numeri irrazionali che ne sono il fondamento matematico, ma molto più semplicemente con la geometria, con l'aiuto di un compasso, o sul terreno, con l'uso di picchetti e di una corda, è stato utilizzato nello stesso santuario per fissare le proporzioni del thàlamos del tempio recentemente ricostituito, e per determinare l'altezza delle colonne dei portici eretti intorno alla corte principale. Si tratta dunque di un sistema sperimentato del quale si potrebbero probabilmente trovare anche altrove esempî.
I portici, come il tempio, sono elementi aggiornati per l'ornamentazione al gusto del tempo, e sotto l'influenza della penetrazione romana, di un santuario che era all'origine, tipicamente orientale. Il cerimoniale religioso si svolgeva nei cortili; in uno è stato ritrovato il dispositivo di una sala per i banchetti rituali, designata come tale da un iscrizione; vi erano stati eretti altari recanti una dedica e talvolta bassorilievi; pozzi e canalizzazioni di terracotta provvedevano alla distribuzione dell'acqua; nicchie votive, monolitiche o in muratura, contenenti l'immagine di divinità, erano incastrate nei muri. Sull'architrave monumentale di un'edicola era scolpito un bassorilievo di una qualità e di un'ampiezza eccezionali rappresentante, sotto la forma simbolica di un'aquila che accoglie sotto le ali spiegate i busti radiati di un dio lunare e di un dio solare, Bā‛alshamīn, il Signore dei Cieli, con i due paredri, Aglibōl e Malakbēl, che costituivano con lui una triade.
Nell'immensa distesa delle rovine di P. gli scavi hanno messo in luce importanti monumenti civili e religiosi. Rimangono tuttavia sporadici, tanto vaste sono le zone ancora inesplorate. Questi scavi d'altra parte sono in pieno sviluppo e lo sforzo degli archeologi è lungi dal termine. Numerosi problemi relativi alla topografia e allo sviluppo della città antica restano da risolvere, e senza dubbio anche da impostare. Un tentativo di sintesi è oggi ancora prematuro; non possiamo dare qui che una messa a punto provvisoria.
Bibl.: Th. Wiegand, Palmyra, Ergebnisse der Expeditionen von 1902 und 1917, Berlino 1932, 2 vol. (citato Palmyra); A. Bounni-N. Saliby, Six nouveaux emplacements fouillés à Palmyre, in Annales arch. de Syrie (Damasco), XV, 1965, pp. 121-138; id., Fouilles de l'annexe de l'agora de Palmyre, in Annales arch. arabes syriennes (Damasco), XVIII, 1968, pp. 93-102; R. du Mesnil du Buisson, Première campagne de fouilles à Palmyre, in Comptes rendus Acad. Inscr., 1966, pp. 158-190; K. Michalowski, Palmyre, III-V, Fouilles polonaises 1961, 1962, 1963-1964, Varsavia 1963, 1964, 1966; Campagne 1965, Rapport préliminaire, in Annales arch. arabes syriennes (Damasco), XVII, 1967, p. 9-15; D. Schlumberger, Le prétendu Camp de Dioclétien à Palmyre, in Mélanges de l'Université St. Joseph, Beirut, XXXVIII, 1962, pp. 79-97; P. Collart, J. Vicari, Le sanctuaire de Baalshamîn à Palmyre, I-II, Topographie et architecture, Institut suisse de Rome, 1969, 2 vol.; R. Fellmann, Le sanctuaire de Baalshamîn à Palmyre, V, Die Grabanlage, Institut suisse de Rome, 1970; articoli di J. Starcky, A. Bounni, R. du Mesnil du Buisson, P. Collart, K. Michalowski, in Archeologia (Parigi), n. 16, maggio-giugno 1967, pp. 30-63; IXe Congrès international d'archéologie classique, Damasco, 11-20 ottobre 1969, Rapports et communications, p. 36-37 (A. Bounni); p. 71-80 (P. Collart); p. 85-87 (E. Will).