PALLIO
. Con la parola pallium (dimin. palliolum) i Romani, traducendo genericamente il nome del mantello greco, ἱμάτιον, contrapponevano l'abito forestiero alla toga romana. Il pallio, come la toga, non era un vero abito, ma un soprabito (gr. ἐπίβλαμα) di forma rettangolare (Tertull., De pallio: quadrata iustitia") che si poneva sopra la tunica. Vesti analoghe sono la paenula, la laena e la palla, tutte forme di epiblemata presso i Greci, o di amictus presso i Romani (v. vesti). Le donne, oltre al pallio, usavano spesso il palliolum, o la palla (v.).
Pare che l'uso del pallio venisse dall'Etruria. Oltre all'imatio, si vede usato, p. es. in una pittura di Tarquinia, un pallio fatto come una grande stola o sciarpa, impostata sulle spalle, incrociata poi sul petto, e chiusa alla cintola. Il pallio uso paenula, di stoffa piuttosto oscura, era a forma triangolare con la punta in basso. Forse all'origine etrusca si deve l'uso del pallio, prima dell'introduzione nell'Urbe, da parte degl'istrioni e dei pedagoghi di origine etrusca o greca.
La toga era l'abito nazionale dei Romani, il segno esteriore del diritto di cittadinanza, abito bello e dignitoso, ma scomodo, ingombrante, difficile a mettere e a portare, per cui la gens togata lo vestiva il meno possibile. Scipione il Vecchio soleva cum pallio ambulare (Liv., XXIX, 19), lo stesso faceva Verre, con grande sdegno di Cicerone, e lo sconveniente uso dei Romani di preferire il pallio alla toga continuò anche durante l'impero. Degl'imperatori alcuni, come Augusto, cercarono di ricondurre i Romani all'uso costante della toga, altri furono più tolleranti. Divenuto con Tiberio d'uso distinto, il pallio ebbe grande diffusione per la sua semplicità e comodità, quantunque fosse ritenuto sempre di grado inferiore alla toga. Del resto, come tutte le cose soggette alla moda, tale uso oscillò attraverso i varî periodi secondo il gusto romano; Adriano tollerava che lo portassero i tribuni della plebe, ma non i senatori e i cavalieri, che dovevano presentarsi al pubblico in toga. Mentre al tempo di Commodo il pallio fu il vestito ufficiale per i ludi del circo, sotto Alessandro Severo fu usato da tutti indistintamente, escluse le matrone. Nella lex vestiaria di Teodosio del 382 (Cod. Theod., XIV, 10,1), ai senatori è prescritta la toga; agli officiales il pallio sopra la paenula. Anche quando un cliente andava a trovare il patrono per la salutatio matutina, o lo accompagnava in giro per Roma, doveva portare la toga, non il pallio, indossare il quale sarebbe stata una libertà intollerabile.
Dobbiamo a I. Wilpert le indicazioni precise sull'uso tardo del pallio, che riceve da un participio o da un aggettivo aggiunto la determinazione di questo uso, mentre per sé stesso il termine acquista un significato generale e si applica a ogni pezzo di stoffa, più o meno grande, di forma rettangolare. P. es., c'erano: il pallium contabulatum, specie di sciarpa che si svolge e s'annoda intorno al corpo; il pallium discolor per gli officiales; il pallium sacrum dei dignitarî ecclesiastici.
Riferendosi alla distinzione fra toga e pallium, i Romani chiamarono palliata la commedia che riproduceva usi e modo di vivere dei Greci, togata, la commedia d'ambiente romano.
Per il pallio come veste dei filosofi, e che concede maggiore libertà di gesto e di parola, cfr. Tertulliano, De pallio.
Diminutivo di pallium, il vocabolo palliolum fu usato pure per indicare un cappuccio. Ha particolare valore spregiativo se allude al mantellaccio cencioso portato da alcuni filosofi (cinici e stoici) per ostentazione.
Indipendentemente da questo uso speciale, nel periodo cristiano i sacerdoti sostituiscono il pallium con la paenula, denominata allora anche planeta, donde la nostra voce pianeta.
Nella sua forma odierna il pallio ecclesiastico è un indumento liturgico a guisa di grosso nastro circolare di lana bianca, largo poco più di cm. 5, con due strisce di eguale larghezza che terminano con frange: sulla parte circolare sono cucite quattro croci di seta nera, e altre due sulle due strisce. È portato al collo, e le due strisce pendono rispettivamente sul petto e fra le spalle. È usato, in Occidente, solo dal papa e dagli arcivescovi, e da questi soltanto dopo averne ricevuto formale autorizzazione dalla S. Sede e con parecchie limitazioni di luogo e di tempo. Ora è fabbricato unicamente con la lana di due agnelli, che annualmente sono benedetti a Roma nella basilica di S. Agnese fuori le mura il 21 gennaio (festa di S. Agnese) dall'abate generale dei Canonici regolari lateranensi.
Si hanno documenti della sua esistenza in Occidente fino dal sec. IV, e sembra derivare da una specie di sciarpa elegante che si cominciò a portare sul declinare dell'Impero. Le chiese orientali hanno l'omoforion, come analogo indumento liturgico vescovile.
Bibl.: J. Marquardt, Das Privatleben d. Römer, Lipsia 1886; F. Studniczka, Beiträge z. Gesch. d. altgriech. Tracht, in Abh. d. arch. epigr. Seminars d. Univ., Vienna 1886; Holwerda, Die Tracht arch. Gewandfiguren, in Jahrb. d. deutsch. arch. Instit., XI (1896), p. 19 segg.; L. Heuzey, Hist. d. cost. antique, Parigi 1922; M. Bieber, Griech. Kleidung, Berlino-Lipsia 1928. Per il periodo più tardo: H. Grisar, Das römische Pallium, in Festschr. z. elfhundertjährigen Jub. d. deutsch. Campo Santo in Rom; T. Wilpert, Un cap. di st. del vestiario, in L'arte, I (1898), p. 89 segg.; II (1899), p. 1 segg.