PALLAVICINO, Rolando, detto il Magnifico
PALLAVICINO (Pallavicini), Rolando, detto il Magnifico. – Nacque (forse a Polesine Parmense) intorno al 1390, figlio naturale di Niccolò, marchese di Busseto.
Fu legittimato nel 1394 e nel 1401 ereditò i domini del padre, assassinato in quell’anno a Tabiano. Dopo un primo matrimonio con una Anguissola, sposò Caterina di Giovanni Scotti di Agazzano, dalla quale ebbe sedici figli: otto maschi, Niccolò, Uberto, Galeazzo (premorto al padre), Gian Ludovico, Gian Genesio detto Pallavicino, Carlo, Gian Manfredo e Gian Francesco; e otto femmine, Laura, Francesca, Caterina, Elisabetta, Giovanna, Isabella, Margherita e Maddalena; a costoro va aggiunto il figlio naturale Giovanni.
Gli esordi politici di Rolando si collocano nel contesto della crisi apertasi alla morte di Gian Galeazzo Visconti, che, alterando gli assetti politici dell’Italia settentrionale, schiudeva nuove prospettive ai nuclei di potere signorile in grado di coltivare ambizioni territoriali di ampio respiro. Nella serie di conflitti che accompagnò lo sgretolamento dello Stato visconteo, assumendo al contempo una spiccata connotazione fazionaria, Rolando si affermò come fulcro delle reti di solidarietà che collegavano le forze di tradizione ghibellina gravitanti sull’area mediopadana, in stretto coordinamento con gli agnati degli altri rami dei Pallavicino di Scipione, di Pellegrino e di Ravarano.
Nel ventennio seguito alla morte di Gian Galeazzo, l’orientamento filovisconteo di Rolando si mantenne nel complesso costante, e il suo attivismo militare fu rivolto innanzi tutto a contrastare i guelfi Cavalcabò e Rossi nel Cremonese e nel Parmense, contro i quali, a partire dal 1403, si scatenò un violento confronto nell’area tra il Po e l’alta collina. In tali frangenti, la buona tenuta del raccordo con Milano è attestata dai privilegi e dalle esenzioni concessi dal nuovo duca Giovanni Maria nel 1410, che oltre a confermare a Rolando i diplomi imperiali di Carlo IV e di Venceslao, gli concedette Salsomaggiore, Montemannolo, Pescarolo e Monticelli d’Ongina.
I rapporti con Ottobuono Terzi, che approfittando della debolezza del potere ducale si era insignorito di Reggio e di Parma, furono invece conflittuali, salvo momentanee convergenze dettate dalla comune ostilità verso i Rossi: nel 1405 Terzi tolse a Rolando Torre de’ Marchesi (ribattezzata Castelguelfo) e Borgo San Donnino, dove fece giustiziare numerosi partigiani di Rolando; quest’ultimo, da parte sua, aderì nel 1408 alla lega promossa da Visconti ed Estensi contro Terzi, che fu eliminato nel 1409. Dopo l’assassinio di Ottobuono, nella crescente disgregazione del quadro politico lombardo e padano, Rolando cercò (peraltro invano) di stabilire rapporti di aderenza con la Repubblica di Venezia, legandosi al contempo a Cabrino Fondulo, signore di Cremona, dove i Pallavicino detenevano rilevanti interessi economici e una persistente influenza clientelare e politica. Nel 1410 catturò il cardinale Branda Castiglioni, imprigionandolo per quattro mesi: l’impresa, oltre al forte riscatto corrisposto dal prelato, fruttò a Rolando la scomunica e l’interdetto ai suoi sudditi di Borgo San Donnino e Busseto. Nel 1411, finanziato dal duca di Milano, Rolando attaccò Niccolò III d’Este, ma, sconfitto, dovette cedergli Borgo San Donnino, che riprese nel 1416 con il sostegno di Filippo Maria Visconti.
Nel 1413 ottenne un ampio privilegio dal re dei romani Sigismondo di Lussemburgo, che riprendeva i precedenti diplomi imperiali e viscontei, con una significativa innovazione: oltre che di Busseto, Varano de’ Marchesi e Monticelli, Sigismondo investì infatti Rolando del marchionatu Palavicino ac Burgo Sancto Donino, conferendo allo spazio da costui dominato tra Parma, Piacenza e Cremona una veste unitaria sotto il profilo giuridico e politico. In tal modo, Rolando poté fregiarsi del titolo marchionale non solo ratione dignitatis, ovvero respectu nomine Palavicinorum, come avveniva per gli altri rami del casato, bensì ratione territorii, ossia in quanto signore di un marchesato, a definitiva sanzione della preminenza della linea di Busseto sul resto dell’agnazione, delineatasi nella precedente generazione.
Principale alleato di Filippo Maria Visconti nel conflitto che portò quest’ultimo a strappare Parma agli Este (1420), fu inizialmente ricompensato dal duca di Milano con abbondanti esenzioni; dopo la ripresa delle ostilità tra Visconti e Firenze, tuttavia, i rapporti col principe subirono un peggioramento, segnalato dal ritorno nel favore ducale dei Rossi, capi del locale partito guelfo e acerrimi rivali dei Pallavicino. Nel marzo 1425 Filippo Maria confermò a Rolando tutti i privilegi concessi dal suo predecessore, ma subito dopo lo costrinse a cedergli Borgo San Donnino. L’episodio ebbe importanti conseguenze: duramente impegnato nella guerra sul Po contro i veneziani nel corso del 1426, Rolando finì infatti per stipulare con la Serenissima un trattato di aderenza, che divenne operativo nel settembre del 1427. Messo al bando da Filippo Maria come ribelle e infamis proditor, si rifece con l’ascrizione alla nobiltà veneta e fornì un valido contributo ai veneziani nella guerra navale sul corso del Po, perseguendo a un tempo i suoi progetti espansionistici locali con varie incursioni contro i Rossi e i Lupi. La pace di Ferrara del 1428, che segnava una pausa nel conflitto tra le potenze regionali, riconobbe l’integrità territoriale dello Stato di Rolando, che nel 1429 ampliò ulteriormente i suoi possessi attaccando i cugini Antonio e Donnino Pallavicino e togliendo loro la rocca di Zibello.
Sempre al 1429 risale la promulgazione di un corpus normativo unico per i domini di Rolando, gli Statuta pallavicinia, compilati dal giureconsulto pisano Agapito Lanfranchi: ispirati a una concezione territoriale della signoria, non percepita da Rolando come una congerie di vassalli, rocche, possessi fondiari e giurisdizioni, ma come organismo unitario, gli statuti si configurano quale punto di riferimento normativo per tutti i comuni e gli abitanti a lui soggetti, a confermare e corroborare il salto di qualità istituzionale, giuridico e politico segnato dal diploma imperiale del 1413. Intorno al 1430 Rolando signoreggiava su un dominio incardinato sui nuclei di Busseto, Monticelli e Solignano, situati rispettivamente nell’episcopato di Cremona, in quello di Piacenza e in quello di Parma.
Contenuto grosso modo nello spazio compreso tra il Po a settentrione, l’Arda a occidente, il Taro a oriente e il Ceno a mezzogiorno, lo ‘Stato pallavicino’ non giungeva allo spartiacque appenninico, solo sfiorato dalle giurisdizioni dipendenti da Solignano in Val di Taro. La scarsa presa sulle strade montane e sui passi era ampiamente compensata dai porti (e dai galeoni) sul medio corso del Po: il controllo di una via di comunicazione di tale importanza commerciale e strategica nel tratto di fronte a Cremona, tra Monticelli e Zibello, garantiva attraverso i dazi proventi notevoli, accresciuti dagli introiti derivanti dalla vendita del legname e dal possesso dei pozzi del sale di Salsomaggiore e Salsominore. Non diversamente da altre signorie coeve e contermini, lo Stato pallavicino si strutturava in un’articolata rete di castellanie e podesterie, nelle quali gli officiali signorili, provenienti in genere dai domini di Rolando o da Cremona, esercitavano la giurisdizione civile e penale. La solidità istituzionale dell’edificio politico consolidato e ampliato da Rolando era poi innervata da robusti legami clientelari e di fazione con le famiglie ghibelline dei territori e delle città circostanti: le élite urbane di Parma e di Cremona, in particolare, garantivano al casato un canale di comunicazione con i Consigli cittadini e il controllo di cariche e appalti. La centralizzazione intorno a Busseto prese corpo intorno alla corte e alla cancelleria marchionale, manifestandosi pure nella vita economica del dominio, dalla riscossione dei dazi alla fiera annuale istituita nel 1426. Nel 1436 Busseto divenne anche la capitale religiosa dello Stato pallavicino, con l’erezione in collegiata della chiesa di S. Bartolomeo, il cui prevosto, di nomina marchionale, estese la propria giurisdizione su ben 26 chiese, separate dalla diocesi di Cremona.
La ripresa delle ostilità fra le ‘potenze grosse’ vide Rolando perseverare inizialmente nell’aderenza veneziana, che tuttavia presto abbandonò per tornare suddito del duca di Milano. I capitoli stipulati con Filippo Maria nel 1432 prevedevano tra l’altro per lui la conferma del mero e misto imperio su Busseto, Monticelli, Polesine Parmense, Zibello, Castellina di Soragna, Costamezzana, Sant’Andrea, Varano de’ Marchesi, Costamezzana, Solignano, Tabiano e Bargone e il possesso dei pozzi del sale, nonché Castelguelfo, Pescarolo e Gallinella. Oltre alla concessione a Rolando e al suo primogenito Niccolò di una condotta militare, nel trattato vennero anche combinati i matrimoni dello stesso Niccolò con Dorotea Gambara, e di Giovanna, Maddalena e Margherita rispettivamente con Filippo Maria Visconti di Fontaneto, Giovanni Anguissola e Niccolò Pico della Mirandola. I rapporti fra il duca e Rolando rimasero stabili per un decennio, durante il quale il marchese incrementò i suoi possessi acquistando il feudo di Stupinigi (1439) e comprando da Visconti il dominio su Fiorenzuola nel 1441. Nel corso del medesimo anno, tuttavia, il duca, sempre più dipendente dai suoi potentissimi condottieri, accusò Rolando di crimen laesae maiestatis; il condottiere visconteo Niccolò Piccinino invase lo Stato pallavicino con un forte esercito e, dopo un lungo assedio, nel settembre 1442 Rolando dovette arrendersi e prendere la via dell’esilio: i suoi possessi furono confiscati e infeudati in parte a Piccinino. Costui morì nel 1444 e Rolando, esule dapprima a Venezia e poi a Ferrara, fu parzialmente reintegrato nei suoi possessi dal duca nel 1445.
Nella grave crisi militare e finanziaria degli ultimi mesi di Filippo Maria, la centralità di Cremona negli orizzonti del casato pallavicino (rispecchiata, fra l’altro, da numerosi legati pii) non tardò a manifestare la propria forza di attrazione, orientando – come a inizio secolo – le scelte di Rolando, che si accostò a Francesco Sforza, di fatto signore di Cremona, portatagli in dote da Bianca Maria Visconti, e nemico mortale dei bracceschi e dei figli di Niccolò Piccinino. Dopo la morte di Filippo Maria (13 agosto 1447), Rolando fu fatto arrestare dal governo della Repubblica ambrosiana per aver rifiutato di accettare presidi milanesi nelle proprie rocche, e fu poi consegnato a Jacopo e Francesco Piccinino, che lo incarcerarono a Fiorenzuola. Liberato nel 1448, negoziò un patto di aderenza con Sforza che non prevedeva forme di soggezione feudale, e successivamente suggellò un’alleanza militare contro i figli di Niccolò Piccinino con i Landi e i Fieschi, anch’essi privati da Filippo Maria di alcuni possessi appenninici a vantaggio del condottiere.
L’ascesa di Sforza al governo del Ducato di Milano (1450) e la relativa stabilizzazione del quadro politico generale in seguito alla pace di Lodi e alla stipulazione della Lega italica (1454 e 1455) restrinsero gli spazi di azione politica per i potentati signorili lombardi, Stato pallavicino compreso.
Gli ultimi anni di Rolando furono turbati dalla contesa sul testamento del 1453, con il quale aveva istituito fra i sette figli superstiti una gerarchia che prescindeva dall’età: il primogenito Niccolò, Uberto e Gian Manfredo, definiti dal padre disobbedienti, ebbero ciascuno un castello di montagna, la compartecipazione alla vendita del sale e una quota del feudo di Stupinigi; tutto il resto, compresi i castelli di pianura e sul Po, fu invece assegnato pro indiviso a Gian Francesco, Pallavicino, Gian Ludovico e Carlo.
Rolando morì a Busseto il 5 febbraio 1457.
La disputa che seguì le disposizioni testamentarie, Rolando ancora vivente, non si placò con la sua morte. Vista l’impossibilità di un accordo tra i fratelli, la questione fu risolta da un lodo pronunciato dal segretario ducale Cicco Simonetta (1458), sostanzialmente ribadito da altre due sentenze nel 1459. L’arbitrato sancì la cameralizzazione del marchesato, diviso in quote che furono reinfeudate ai sette figli: Pallavicino e Gian Ludovico ebbero pro indiviso Busseto e Bargone; Gian Francesco Zibello e la metà di Solignano; Carlo, vescovo di Lodi, Monticelli; Gian Manfredo Polesine e Costamezzana; Uberto Tabiano, Castellina e l’altra metà di Solignano; Niccolò Varano de’ Marchesi, Miano, Castelguelfo e Gallinella. La cameralizzazione dello Stato pallavicino e l’accettazione da parte dei figli di Rolando della soggezione feudale agli Sforza, sovente considerata come una svolta negativa nella parabola del casato, aprì in realtà rilevanti prospettive politiche nel nuovo rapporto con la dinastia e con la corte milanese a Gian Ludovico, Pallavicino e Gian Francesco, protagonisti nella seconda del XV secolo di carriere che li proiettarono ai vertici dello Stato sforzesco.
Gian Ludovico, nato (probabilmente a Busseto) nel 1425, sposò Anastasia di Cristoforo Torelli, dalla quale ebbe Rolando. Creato cavaliere da Francesco Sforza nel 1450 insieme a Pallavicino, nel 1468 entrò nel Consiglio segreto, e fu incaricato di importanti ambascerie (in Borgogna nel 1469 e a Roma nel 1471). Uomo di notevole cultura, fu vicino al circolo di Cola Montano, la qual cosa lo rese sospetto al governo di Reggenza dopo l’uccisione di Galeazzo Maria nel 1476. Il condominio su Busseto con Pallavicino si rivelò fonte di gravi tensioni fra i due, che almeno dal 1475 abitavano in due quartieri diversi della cittadina, e produsse scontri violenti tra i rispettivi sostenitori. Nel 1479 un arbitrato ducale sancì la divisione del feudo assegnando Busseto a Pallavicino e Bargone, Cortemaggiore e un conguaglio di 10.000 ducati a Gian Ludovico. Il 4 settembre 1479 quest’ultimo si trasferì a Cortemaggiore, ribattezzata Castel Lauro, dove fu seguito dai propri vassalli e da diverse famiglie bussetane e iniziò la costruzione di una piccola capitale, che fu completata dal figlio Rolando dopo la sua morte, avvenuta nel 1481.
Gian Genesio, detto Pallavicino, nato (probabilmente a Busseto) nel 1426, sposò Caterina di Antonio Fieschi, dalla quale ebbe dodici figli: i maschi Galeazzo, Cristoforo, Antonio Maria, Ottaviano, Girolamo e Niccolò, e le femmine Bernardina, Camilla, Giovanna, Maddalena, Margherita, Veronica; lasciò almeno tre figlie naturali, Francesca, Antonia e Ludovica. Consigliere segreto dal 1475, dopo la morte di Galeazzo Maria fu nominato «governatore» del piccolo duca Gian Galeazzo. La sua autorità crebbe a dismisura dopo il colpo di Stato del 1479 e l’esautorazione della duchessa Bona di Savoia da parte di Ludovico il Moro: di fatto carceriere del giovane duca legittimo, divenne uno degli uomini più potenti del ducato, e non mancò di mettere a frutto la propria influenza nei territori in cui era radicato, aggiungendo a Busseto le investiture di Castione de’ Marchesi e di Vianino (1481), oltre ad avere un peso decisivo nella liquidazione della potenza dei tradizionali rivali Rossi. Morì a Busseto nel 1486.
Gian Francesco, ultimogenito di Rolando, nato nel 1439, sposò Giacoma di Tiberto Brandolini, che gli diede Gaspare, Polidoro, Federico, Bernardino e Rolando, ai quali va aggiunto il figlio naturale Giovanni Niccolò. Il possesso di Zibello dopo le divisioni del 1458-59 lo poneva in prima linea nella vecchia faida tra i Pallavicini e i Rossi. Dopo circa due decenni di scaramucce e rappresaglie, Gian Francesco (membro del Consiglio segreto dal 1480) approfittò della caduta della Reggenza e del sostegno di Ludovico il Moro, oltre che dell’appoggio del potente fratello Pallavicino, per volgere a proprio favore la controversia su alcune ville al confine tra gli episcopati cremonese e parmense. Passato Pietro Maria Rossi all’aderenza veneziana nel 1482, Gian Francesco e i fratelli sfruttarono il potenziale militare sforzesco per condurre vittoriosamente la guerra contro i rivali atavici, dichiarati ribelli al duca. Il favore del Moro fruttò a Gian Francesco un notevole ampliamento dei propri feudi: poté infatti aggiungere all’eredità paterna Roccabianca, Tizzano e Ballone. Morì nel 1497.
Fonti e Bibl.: A. Pezzana, Storia della città di Parma, I-V, Parma 1837-59 (rist. anast., Bologna 1971), II-V, ad indices; E. Seletti, La città di Busseto, capitale un tempo dello Stato Pallavicino, I-III, Milano 1883, ad indices; F.L. Campari, Un castello del Parmigiano attraverso i secoli. Pallavicini, Rossi e Rangoni, Parma 1910, pp. 34-145; E. Nasalli Rocca, Gli statuti dello Stato Pallavicino e le Additiones di Cortemaggiore, in Bollettino storico piacentino, XXI (1926), pp. 145-56; XXII (1927), pp. 17-26, 67-76; Id., La posizione politica dei Pallavicino dall’età dei comuni a quella delle Signorie, in Archivio storico per le Province parmensi, s. 4, XX (1969), pp. 65-113; G. Battioni, La diocesi parmense durante l’episcopato di Sacramoro da Rimini (1476-1482), in Gli Sforza, la Chiesa lombarda, la corte di Roma. Strutture e pratiche beneficiarie nel ducato di Milano (1450-1535), a cura di G. Chittolini, Napoli 1989, pp. 115-213; C. Soliani, Nelle terre dei Pallavicino, I, 1, Storia civile e politica dell’antico oltre Po cremonese (Busseto, Zibello, Polesine, Roccabianca) dalle origini alla fine del XV secolo, Busseto-Parma 1989, ad indicem; Id., Nelle terre dei Pallavicino, I, 2, Il feudo di Zibello e i suoi signori tra XV e XVIII secolo, ibidem 1990, ad indicem; R. Greci, Parma medievale. Economia e società nel Parmense dal Tre al Quattrocento, Parma 1992, pp. 1-42; M. Gentile, Terra e poteri. Parma e il Parmense nel ducato visconteo all’inizio del Quattrocento, Milano 2001, pp. 76-89, 132-141, 151-163, 175-176; L. Arcangeli, «Gentiluomini di Lombardia». Ricerche sull’aristocrazia padana nel Rinascimento, Milano 2003, adindicem; G. Chittolini, La formazione dello Stato regionale e le istituzioni del contado. Secoli XIV e XV, Milano 20052, pp. 51-148, 199-224; L. Arcangeli, Un lignaggio padano tra autonomia signorile e corte principesca. I Pallavicini, in Noblesse et États princiers en Italie et en France au XVe siècle, a cura di M. Gentile - P. Savy, Roma 2009, pp. 29-100; M. Gentile, Fazioni al governo. Politica e società a Parma nel Quattrocento, Roma 2009, ad indicem.