PALLAVICINI (Pallavicino)
Famiglia di vasti dominî e di numerose propaggini, che trae origine dal medesimo ceppo degli Estensi, dei Malaspina, dei marchesi di Massa e della quale furono prime diramazioni i marchesi di Gavi, i Cavalcabò, i Lupi di Soragna. Oberto, detto Pelavicino, donde venne il nome, lievemente mutato, alla famiglia, nel 1143 divise tra i figli i larghi possessi estesi dal Po alla Liguria. Di essi Alberto, detto il Greco, forse per aver partecipato alla crociata, è con ogni probabilità padre del Niccolò che tradizioni e memorie documentarie fanno capostipite dei P. di Genova. Dal primogenito Guglielmo invece derivano tutti i P. di Lombardia, signori del vasto territorio tra Parma e Piacenza e Cremona chiamato Stato Pallavicino (vedi appresso). Il ramo principale è rappresentato dal figlio Pelavicino, dal nipote Oberto (v. pelavicino) e dai loro successori, dominanti appunto sul nucleo centrale dello stato da essi tenacemente difeso contro le mire di espansione e di assorbimento dei signori di Milano. Figlio di Oberto, Manfredino il Pio (1254-1328), fautore, come tutti i suoi, del partito ghibellino, dedito a opere di pietà, diede pace e prosperità allo stato. Da lui discesero Donnino, capostipite del ramo piemontese di Stupinigi estinto nel 1557, dal quale deriva il sopravvivente collaterale dei P. marchesi di Priola, Uberto (1302-1378) che, sebbene seguace di Giovanni Visconti, a difesa contro le sue aspirazioni si fece confermare i possessi dall'imperatore Carlo IV, Nicolò (morto nel 1401) in alterni rapporti con Bernabò e Gian Galeazzo e, più importante, Rolando I il Magnifico (1394-1457), valoroso soldato, legislatore, mecenate, che nell'agitata vita politica e nei mutevoli rapporti con Filippo Maria Visconti e Francesco Sforza perse e riacquistò più volte lo stato. Dai suoi numerosi figli derivano molteplici rami dentro e fuori dello stato, in terre da lui acquistate: di Tabiano, di Varano, del Polesine, di Bargone e Busseto, di Cortemaggiore e di Zibello, quasi tutti estinti nel sec. XVIII. Nelle alterne vicende del dominio francese e sforzesco al principio del sec. XVI, alcuni dei P. si accostarono ai nuovi dominatori, altri rimasero tenacemente devoti ai duchi. Ne è riprova il frequente ripetersi del nome Sforza tra i P. trasmesso poi anche nelle generazioni successive; celebre tra gli altri il cardinale e storico che appartenne al ramo dei marchesi di Zibello ancora sopravvivente e illustrato a Parma nel sec. XIX da cospicui rappresentanti. Il ramo principale di Busseto si estinse con Gerolamo nel 1579. Da rami collaterali derivano Giuseppe Galeazzo (morto nel 1819) che pubblicò (1805) un libro sulla necessità del governo monarchico in Italia, ebbe onori da Napoleone e fu delegato della provincia di Milano nel restaurato governo austriaco, e il patriota Giorgio Guido Pallavicino-Trivulzio (v.).
Al ramo di Cortemaggiore appartennero Gian Lodovico (1425-1488), che visse a lungo presso gli Sforza e costruì nel 1479 la rocca di Cortemaggiore, Manfredo, che fu mandato a morte dai Francesi, e suo figlio Sforza, valoroso soldato al servizio dell'impero e di Venezia, divenuto signore di Busseto alla morte di Girolamo nel 1579. Derivano dal ramo dei marchesi di Scipione: Camillo, che ebbe larga parte nella congiura contro Pier Luigi Farnese e Ferrante (1616-1644, v.), strana figura di monaco per forza, vissuto per lo più a Venezia, autore di libri satirici contro principi ed ecclesiastici, decapitato ad Avignone per lesa maestà e apostasia.
I P. di Genova. - Il primo personaggio noto è Niccolò probabilmente figlio di Alberto il Greco. Dai figli di lui, Ansaldo notevole per una spedizione a Bonifacio nel 1197, Giovanni consigliere del comune e Ogerio, derivano i molteplici rami della famiglia che ebbe nel 1350 dal papa Clemente VI il patronato della chiesa di S. Pancrazio rimasta sempre parrocchia gentilizia. Stretti subito in parentela con le maggiori famiglie, furono consiglieri, ambasciatori, comandanti di navi e d'eserciti. Ghibellini, non ebbero tuttavia nei primi secoli della repubblica la posizione predominante e l'intensa vita politica delle altre maggiori case genovesi. Sette capi famiglia, specialmente per opera di Babilano, già fortunato commerciante a Pera, nel 1460 entrarono nell'Albergo Gentile, ma ripresero presto il proprio nome per volere del cardinale Antoniotto, figlio di Babilano, e nella riforma del 1528 le 14 famiglie allora esistenti costituirono albergo col proprio nome e appartennero al Portico Vecchio cioè dell'antica nobiltà, assumendo anche una più viva partecipazione alla vita politica. Notevoli nel primo periodo della repubblica: Abraino, più volte ambasciatore al papa Alessandro IV, a Filippo IV di Francia, a Carlo II d'Angiò, a Roberto duca di Calabria; Nicolò ambasciatore in Inghilterra, in Francia, a Milano, appartenente all'ufficio di Gazaria nel 1399; Medialuce, protettore della Maona di Scio nel 1397 e più volte "anziano"; Benedetto, celebre per aver indotto Gaeta alla resistenza contro Alfonso d'Aragona fino all'arrivo della flotta di Biagio Assereto; Gian Francesco, governatore di Genova per gli Sforza (1476); Babilano (morto nel 1488), ricco mercante in importanti rapporti coi Turchi dopo la caduta di Costantinopoli; Damiano, ambasciatore a Milano, a Venezia, a Firenze, riformatore degli statuti, notissimo per sapienza giuridica e detto perciò il Dottore; Tobia, suo figlio, creatore di un capitale intangibile presso il Banco di S. Giorgio per costituire con gl'interessi un aiuto ai membri impoveriti della famiglia.
Nell'età di Andrea Doria, Agostino (morto nel 1533) propugnò l'unione dei cittadini e la riforma poi attuata dall'ammiraglio e si oppose al tentativo francese di rioccupare Genova dopo la liberazione del 1528; Cristoforo partecipò con Filippino Doria all'occupazione di quell'anno e poi alla repressione della congiura dei Fieschi, combatté come ammiraglio contro Turchi e Corsari e fu alla spedizione di Corsica nel 1553 col cugino Nicolò che, venuto a conflitto con l'altro commissario Francesco Sauli, fu ucciso da un Giustiniani nel 1557; Vincenzo, uno dei primi ascritti al Libro d'oro dopo la rifoma doriana, ebbe molteplici uffici civili e militari fino al 1560.
Nelle contese civili successive che condussero alla definitiva riforma del 1576 i P., specialmente Domenico e Nicolò, pur aderendo al Portico Vecchio dell'antica nobiltà, esercitarono un'opera conciliatrice che valse ad accrescerne il prestigio; Giambattista (morto nel 1609) fu uno degli arbitri della pacificazione. Particolare importanza ebbe in questo periodo Tobia, il ricchissimo mecenate che fece costruire da Galeazzo Alessi il celebre palazzo delle Peschiere; suo figlio Orazio (morto nel 1600), passato nei Paesi Bassi e poi in Inghilterra, ove aderì all'anglicanismo, ebbe intensa vita economica e politica; il ramo inglese che da lui deriva si estinse presto (1648); Battistina figlia di Orazio fu ava paterna di Oliviero Cromwell. Da Giannandrea (morto nel 1627), fratello di Tobia, derivano Tobia che militò per la Chiesa, poi col duca di Guisa nel Regno di Napoli e morì combattendo per gli Estensi nel 1656; e più tardi Gian Carlo, nato nel 1739, fondatore del ramo ungherese della casa, che militò negli eserciti austriaci, fu ciambellano imperiale e morì nel 1789 combattendo valorosamente contro i Turchi.
Uomini d'arme furono anche Paolo Gerolamo di Giov. Francesco che comandò una compagnia di fanti contro il Piemonte (1625) e fondò il ramo siciliano dei conti di Favignana; Tomaso, figlio di Carlo, capostipite del ramo napoletano dei duchi di Castro, che militò in Lombardia, in Portogallo, in America; Galeotto, morto nel 1747 di ferite riportate combattendo contro gli Austriaci; più celebre per gli uffici occupati Gian Luca (v.).
Nei secoli XVII e XVIII i P. parteciparono attivamente alla vita pubblica anche come diplomatici; specialmente notevoli Gian Gerolamo, ambasciatore a Madrid tra il 1646 e il '49; Giambattista (1613-1696), che, dopo aver militato nella Spagna e in Piemonte e aver avuto importanti uffici in patria, fu dieci anni a Parigi (1648-58), dove ottenne alla Repubblica lo stesso trattamento dei grandi stati e fu ancora dal 1662 al '64 a Vienna e dal 1668 al '76 a Madrid; Stefano, agente a Roma tra il 1671 e il '73; Gian Francesco (1710-1792), che fra il 1743 e il '48 fu a Vienna, a L'Aia, a Parigi, ebbe, primo, notizia del trattato di Worms ai danni della repubblica e partecipò al congresso per la pace di Aquisgrana; Domenico e Alessandro Felice, inviati a Madrid dal 1747 al '49, e dal 1780 all'84.
Nella vita religiosa sono degni di ricordo i cardinali Antoniotto (1441-1507), Giambattista (1480-1524), Opizio (1632-1700), che sottoscrisse primo il decreto de abolendo nepotismo, e Lazzaro (1719-1785), nunzio a Napoli e a Madrid, legato a Bologna, segretario di stato di Clemente XIV e di Pio VI; e inoltre Tomaso, generale dell'ordine di Monteoliveto (1703-05), Cipriano, che partecipò al Concilio di Trento, fu arcivescovo di Genova, mecenate ispiratore di opere importanti, in dissidio coi gesuiti e col governo della repubblica (morto nel 1586); Camillo (morto nel 1644), della congregazione di S. Filippo Neri e arcivescovo di Palermo, dove fondò il Monte di Pietà; per opera sua i P. costruirono a Genova in via Lomellini la chiesa di S. Filippo.
La famiglia ebbe nel governo della repubblica 52 senatori e tre dogi biennali: Agostino (1577-1649) dopo molti e importanti uffici doge tra il 1637 e il '39, il primo ad assumere il titolo di re di Corsica; iniziatore d'importanti opere pubbliche, pose la prima pietra del Molo della Lanterna; Gian Carlo (1722-1794), degno di ricordo più che per il dogato fastoso (1785-87) per la parte avuta più tardi nella tenace difesa della neutralità contro le minacce inglesi; e Alerame Maria (1730-1805), che, doge tra il 1789 e il '91, iniziò pratiche rimaste infruttuose per il riacquisto della Corsica e favorì la fondazione dell'Accademia ligustica di belle arti.
Nel movimento che portò alla repubblica democratica ligure i P., eccettuato Paolo Gerolamo (1740-1785), uomo di cultura e di lettere, che pare fosse capo della loggia dei Franchi Muratori a Genova, si trovarono alla testa del partito aristocratico e furono nel nuovo ordinamento sottoposti a contribuzioni e ad arresti; lo stesso ex-doge Alerame e il fratello Bernardo (1734-1814), che fu poi nella reggenza imperiale del 1800, rimasero in carcere alcuni mesi. I più si allontanarono perciò da Genova ritornandovi dopo l'annessione all'impero, come Stefano Ludovico (1729-1812), riparato a Vienna; Paolo Girolamo (1756-1833) figlio del doge Gian Carlo, che appartenne al governo della breve repubblica nel 1814 ed ebbe cariche e onori dopo l'annessione al Piemonte e Alessandro (1773-1847) che occupò dopo la rivoluzione uffici amministrativi e fu con Carlo Alberto in rapporti economici, continuati dal cugino Fabio (1794-1f872), ambasciatore sardo a Napoli, in Baviera e in Sassonia, rigido conservatore e intermediario tra il re e i legittimisti francesi in favore della duchessa di Berry. Appartennero invece al partito liberale moderato i figli di Alessandro (1778-1828): Camillo (1813-1882) scrittore di materie economiche e fondatore, con intenti anche politici, di società scientifiche nel 1846, e Francesco (1810-1878) segretario e anima del congresso scientifico del 1846, più tardi per breve tempo deputato al Parlamento. Del ramo dei Pallavicino di Priola è da ricordare Emilio (nato a Genova l'8 novembre 1823, morto a Roma il 15 novembre 1901), generale e senatore del regno, che partecipò alle campagne di Crimea, del 1859, del 1866 ed ebbe il doloroso incarico di arrestare nel 1862 la marcia di Garibaldi ad Aspromonte. Attiva vita amministrativa ebbe Domenico (1867-1928) fervido organizzatore della Croce Rossa durante la guerra mondiale. La famiglia è attualmente rappresentata da due gruppi principali: il più numeroso costituito di tre rami italiani e dell'ungherese risale ai quattro figli di Alessandro (1676-1762); l'altro ai fratelli Alerame e Francesco di Tobia, nipoti di Damiano.
Bibl.: Fondamentale P. Litta, Famiglie nobili italiane, VI; e sulle origini, C. Desimoni, Sulle Marche d'Italia e loro diramazioni in marchesati, in Atti Soc. lig. storia patria, XXVIII, fasc. 1°, p. iii seg.; P. Pallavicino, Notizie sulla famiglia dei P. dell'Emilia, Firenze 1911. Per i P. della Lombardia e dell'Emilia, oltre alle storie di Parma e Piacenza: E. Seletti, La città di Busseto capitale un tempo dello Stato Pallavicino, Milano 1883; per quelli di Genova, oltre alle storie di Genova: Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, 1823. - Per i cardinali: Semeria, I secoli cristiani della Liguria, Genova 1843; Remondini, I cardinali liguri; per i dogi: Levati, I dogi biennali di Genova, parte 2ª, 1930, e I dogi di Genova e vita genovese dal 1771 al 1797, Genova 1917; per i diplomatici: Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti soc. lig. st. patria, LXIII. Per i singoli prsonaggi: su Manfredino di Uberto il Grande: Annali di statistica, 1830, n. 24; su Babilano: Grillo, Abozzo di un calendario, Genova 1843; su Orazio di Tobia: Giornale storico lett. della Liguria, 1900, p. 47 segg., e Gazzetta di Genova, 30 novembre 1921; su Paolo Girolamo poeta: B. Laviosa, Raccolta delle Muse italiane, Milano 1787; su Gian Carlo: Atti Soc. lig. st. pat., LXII, p. 41 segg.; su Paolo Gerolamo suo figlio: ibid., LIX, p. 212 segg., e LXI, pp. 423 segg. e 435 segg.; su Alessandro e Fabio: ibid., LIX, p. 317 segg.; H. Prior, Documents inédits relatifs à Madame la Duchesse du Berry, Milano 1906, p. 28 segg.; Salata, Carlo Alberto inedito, Milano 1931, p. 64 e passim; A. Codignola, Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri, in Bibl. di storia ital. recente, XIII; id. e A. Colombo, La tradizione di Balilla a Genova, in Goffredo Mameli e i suoi tempi, Venezia 1927.
Lo stato dei Pallavicini.
Antica e importante unità politica dell'Italia settentrionale, un tempo vero feudo imperiale autonomo che formò un nucleo territoriale giurisdizionale a sé (contado dell'Aucia) tra gli antichi territorî di Parma, Piacenza e Cremona. Dall'originario contado auciense, il dominio si andò estendendo alle terre circostanti ed ebbe a nucleo maggiore Busseto e a centri notevoli Cortemaggiore e Monticelli nel Piacentino e Roccabianca nel Parmigiano. L'uso di suddividere i possessi tra i figli indebolì lo stato frazionandolo e costrinse i singoli possessori a sottomettersi, ricevendone l'investitura dei rispettivi dominî, ai duchi di Milano. Assorbito nella sfera d'influenza viscontea e sforzesca, lo stato divenne un feudo camerale del ducato milanese. La resistenza però fu tenace da parte dei Pallavicino e ne è considerevole riprova l'emanazione degli statuti di Rolando I il Magnifico nel 1429 con carattere schiettamente signorile autonomo. Rolando II aggiunse poi alla fine del sec. XV le addizioni e riforme per Cortemaggiore, sorta nel 1479 per opera di Gian Ludovico suo padre e figlio del primo Rolando. Ma ormai lo stato si andava sempre più smembrando e annullando nel progressivo affermarsi dello stato unitario milanese. Il processo d'assorbimento continuò e si accelerò col costituirsi del ducato Farnese. Quando nel 1579 morì Girolamo, ultimo dei Pallavicini di Busseto e gli subentrò Sforza, signore di Cortemaggiore, le questioni di successione tra i parenti favorirono la scomparsa dello stato. Morto Sforza, contro le pretese di Alessandro di Zibello il governatore di Parma ne prese possesso in nome del duca. Inutile la lite intentata da Alessandro e dai successori e durata fino al 1633; lo stato come ente autonomo aveva cessato di esistere anche di nome.
Bibl.: E. Seletti, La città di Busseto, capitale un tempo dello Stato Pallavicino, voll. 3, Milano 1883; e per gli statuti: E. Nasalli Rocca, Gli statuti dello Stato Pallavicino e le "Additiones" di Cortemaggiore, in Boll. storico piacentino, 1926-27. Per le singole terre dello stato: M. Casella, Del Comitato Aucense, in Boll. st. piacentino, 1910; P. Franchi, Cortemaggiore, Appunti di storia paesana, Piacenza, 1881; E. Nasalli Rocca, V. Pancotti, E. Ottolenghi, Monticelli d'Ongina. Memorie storiche e artistiche, Piacenza 1933; F. Campari, Un castello del Parmigiano attraverso i secoli (Roccabianca), Parma 1910.