PALLAMIDES di Bellindote
PALLAMIDES (Palamidesse) di Bellindote. – Esponente di una famiglia di banchieri fiorentini, nacque da Bellindote del Perfetto, che risulta immatricolato all’arte di Calimala nel 1253 e fra i firmatari della pace del 1254 tra Firenze e Prato, Pistoia e Lucca (Debenedetti, 1907, p. 49 n. 19).
Incerta la data di nascita: Davidsohn – che ne ipotizza anche la residenza nel borgo di S. Lorenzo sulla base di quanto consta per i nipoti e per il figlio Scolaio (1977-78, II, p. 681) – pensa ad anni non molto anteriori al 1260, se il figlio risulta ancora vivo nel 1323 (Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, S. Maria del Bigallo, 11 maggio 1323); ma ciò sembra incompatibile con la sua menzione nel Libro di Montaperti (1889, p. 5), ove è attestato come «Palamides f. Bellindoti», senza possibilità di equivoco. Il nome è volgarizzato in Palamidesse / Palamidesso nel corpus poetico attribuitogli, nonché nei non rari richiami al personaggio presenti in uno specifico gruppo di composizioni poetiche prodotte tra 1260 e 1280 (fatta eccezione per l’autorevole Vat. Lat. 3793, dove è Pallamidesse).
Attorno al nodo di Montaperti (1260) si colloca una serie di indizi contenuti nel menzionato dossier poetico e nelle poche composizioni specificamente attribuite a Pallamides, tutte trasmesse dal Canzoniere del Vat. Lat. 3793. Difficile dire se egli partecipasse o meno alla battaglia: registrato tra le matricole dei vexilliferi del sestiere Porte Domus come «gonfalonerius balistariorum», e dunque fante, nel Libro di Montaperti (1889, p. 5), scompare dall’aggiornamento del 15 luglio (ibid., p. 100; Cella, 2003, p. 397). Tuttavia la sua unica canzone superstite, il ‘planh’ Amore, grande pecato (Concordanze della lingua poetica delle origini, 1992, V 188, p. 392), è stata interpretata come una lamentatio guelfa dopo la sconfitta di Montaperti (Davidsohn, 1977-78, II, p. 681). Essa è inclusa, del resto, in un fascicolo importante del Vat. Lat. 3793 (il IX), che trasmette un corpus pressoché omogeneo di canzoni composte da poeti fiorentini guelfi, in larga parte notai e banchieri che conobbero l’esperienza del bando cittadino dopo Montaperti. Il fascicolo si configura come specchio letterario della loro attività, tramite l’innesto di allusioni politiche nel contesto erotico tradizionale (Folena, 2002, pp. 159-196; Zanni, 2013). Più preciso l’indizio contenuto nel sonetto Poi il nome c’hai ti fa il corag[g]io altero (Poeti del Duecento, I, 1960, p. 474), risposta a un sonetto-proposta inviatogli da Orlanduccio Orafo, nel quale Pallamides difende Carlo d’Angiò avversando la discesa di un nuovo re straniero: Corradino secondo alcuni (rinviando dunque al 1267-68, Robin 2005), Rodolfo I d’Asburgo (e dunque 1275-80) secondo Cella (2003, p. 398).
Le tracce archivistiche comprovanti la partecipazione di Pallamides alla compagnia finanziaria gestita dal padre e dai fratelli sono scarse.
I Bellindoti si erano arricchiti grazie alle campagne militari antifedericiane in Puglia e avevano conquistato spazio politico nell’ambito del Comune popolare negli anni Cinquanta (Davidsohn, 1977-78, II, p. 643), per poi entrare a far parte della compagnia Ghiberti-Bellindoti-Guidalotti-Calcagni, grazie alla quale acquisirono rilievo legandosi a istituzioni e poteri attivi in tutta Europa (dalla Francia alle Fiandre e alla Germania) e rafforzando i rapporti con la Curia romana (ibid., VI, p. 364). Facevano dunque parte di quel cospicuo gruppo di banchieri e mercanti che promisero fedeltà al papato e alla causa guelfa all’indomani di Montaperti e del nuovo governo ghibellino di Firenze (Davidsohn, 1977-78, II, p. 765; Raveggi, 1978, p. 60), costituendo un nerbo finanziario che sarebbe stato decisivo per la costruzione del predominio di Carlo d’Angiò sulla Toscana.
La presenza effettiva del nome di Pallamides come implicato nelle attività della compagnia è riscontrabile unicamente tra 1273 e 1275, anno in cui essa subì una clamorosa disfatta finanziaria che la condusse al definitivo fallimento (Cella, 2003, pp. 398 s.; ciononostante Davidsohn 1977-78, VI, p. 831 ne segnala l’attività ancora a Trecento avanzato).
La compagnia nel 1262-63 venne coinvolta in una vertenza con la Curia romana: approfittando dell’installarsi del governo ghibellino a Firenze, si appropriò indebitamente di somme riscosse per il conto del papa (Davidsohn, 1898, IV, pp. 143-163); a ciò potrebbero riferirsi le accuse di illeciti finanziari cui allude un sonetto indirizzato da Chiaro Davanzati a Pallamides, Palamidesse amico, ogne vertù (ricordato anche da Maffia Scariati, 2010, p. 199, n. 16). Sorprendentemente egli è invece assente dall’atto rogato da Brunetto Latini a Bar-sur-Aube il 17 aprile 1264 (London, Westminster Abbey Library, Muniments 12843), in cui suo fratello Salvuccio di Bellindote ratifica la recessione dalla compagnia Ghiberti-Bellindoti-Guidalotti-Calcagni, già concordata dal padre e dai fratelli Ranieri e Tura (Cella, 2003, p. 385). La posizione di Pallamides rimane dunque sfuggente, nonostante il periodo del suo impegno letterario coincida con quello appena descritto.
Secondo Maffia Scariati (2010, p. 224), nonostante fosse diffuso nella Firenze dell’epoca (segnalata da Davidsohn, 1977-78, V, p. 67), il nome Pallamides sarebbe «un nome d’arme e di senhal poetico» di natura cortese cavalleresca, che richiama il personaggio omonimo antagonista amoroso di Tristano. Il vero nome sarebbe in realtà Tura (‹Bonaven›Tura?), menzionato dall’importante documento del 1264, finora considerato il fratello. L’ipotesi, che rimedierebbe all’assenza nello strumento di Bar-sur-Aube, si appoggia unicamente sul nome del nipote («Bonaventura vocatus Palamidexe»), figlio di tale Scolaio, figlio di Pallamides (ibid., II, p. 681). Tuttavia, la citata menzione «Palamides f. Bellindoti del Perfetto, gonfalonerius balistariorum» nel Libro di Montaperti osta a considerarlo un semplice nome d’arte, così come la non facilissima questione del rapporto con altri parenti, in cui si ripetono i nomi Ranieri e Bonaventura: lo stock onomastico non è ancora stato sbrogliato in maniera definitiva.
Il nome di Pallamides è registrato nella forma Palamidesso nella chiusa del Favolello (in Poeti del Duecento, II, Roma - Napoli 1960, pp. 278-284). elemento che permette da un lato di ascrivere il poeta al circolo brunettiano, dall’altro di collocare la circolazione dell’opera al 1264, stante la firma di Brunetto sul già ricordato atto implicante la compagnia finanziaria Ghiberti-Bellindoti-Guidalotti-Calcagni. L’interpretatio letteraria venne realizzata probabilmente a posteriori, in un fenomeno di reinterpretazione non raro nella lirica duecentesca (basti pensare al Durante del Fiore, o allo stesso Orlanduccio Orafo sopra menzionato, considerato dotato di «coraggio altero» da Pallamides, in forza del nome).
La documentazione del 1273-75 collima con alcuni indizi che si ricavano dalle numerose menzioni di Pallamides nelle composizioni poetiche coeve. Il suo nome ritorna nel congedo della canzone del banchiere Monte Andrea, Tanto m’abonda matera, di soperchio, a mo’ di invio del componimento («[...] a Palamidesse fai vïaggio»; Le rime, 1979, p. 93, v. 151). Pallamides, come suggerisce il contesto della canzone, sembrerebbe condividere con Monte lo stato deplorevole di chi cade improvvisamente in povertà, in quanto vittima di un rovescio della fortuna. La canzone di Monte è dunque databile al 1275 (Maffia Scariati, 2010, 193, n. 3; p. 211), anno della ricordata disfatta finanziaria ai danni della compagnia (Cella, 2003, p. 396). Ancora un riferimento a Pallamides è contenuto nell’ultima terzina del sonetto dello stesso Monte Andrea S’e’ ci avesse, alcun segnor più, [‘n] campo (Le rime, 1979, p. 248, v. 14), che inaugura una lunga tenzone (17 sonetti pervenuti) di argomento politico sulla discesa di Rodolfo d’Asburgo (1278-80) o quella di poco precedente di Alfonso X di Castiglia; il contributo di Pallamides non è però conservato. Chiaro Davanzati gli intesta un sonetto, Palamidesse amico, ogne vertù (Rime, 1965, pp. 272-274) che allude ancora una volta a questioni finanziarie che lo videro coinvolto; Menichetti (ibid., p. 274) avanza la possibilità che fosse indirizzato anche a Pallamides il sonetto successivo secondo l’ordine del canzoniere Vat. lat. 3793, Ch’intende, intenda ciò che ’n carta impetro. Meno chiaro è l’argomento del sonetto indirizzato da Pallamides a Monte Andrea La pena ch’ag[g]io cresce e non menova (A. Monte, Rime, 1979, p. 192), che nel contesto delle tradizionali traversie amorose, sembrerebbe alludere a un momento di difficoltà contingente.
Meno stringenti sono i legami tra vicende storiche e allusioni poetiche a proposito di altre tematiche, come quella relativa alle profezie: un tema diffuso nell’Italia antifedericiana, e poi presente in taluni ambienti cittadini dopo Montaperti (1260) e Benevento (1266), quando assunsero notevole diffusione i vaticini in versi sulle città italiane, tra cui quelli attribuiti a Michele Scoto. In essi trovava posto l’idea di un disseccamento del ‘fiore’ di Firenze (Holder-Egger, 1905, p. 363) e Pallamides era considerato un’autorità nel campo («Pallamidesse, ch’al “Merlin” dài corso, [...] cernisci-l-me, vv. 14-16 del sonetto-proposta della tenzone politica introdotta da Monte, Rime, 1979, p. 248), dunque, esperto in particolare delle profezie attribuite a Merlino (Hoffman, pp. 265-267; Koble, 2009, pp. 13-18).
Pallamides risulta deceduto prima del 28 novembre 1280 (Palmieri, 1915, p. 132-140), in una data particolarmente ravvicinata alla ricordata tenzone.
In forza della sua peculiare posizione socioculturale di esponente di una famiglia con interesse in ambito pontificio e allo stesso tempo dal profilo europeo, Pallamides assume un ruolo specifico, forse più ampio di quanto non si immagini, di trapiantatore di una tradizione che sarebbe stata notevolmente reinterpretata da Dante, e avrebbe avuto grandissima fortuna nel XIV secolo.
Un documento del 1295-96 suggerisce l’ipotesi che Pallamides fosse considerato tra i prominenti (cavaliere?) poiché è ricordato come dominus (Palmieri, 1915, pp. 132-140; Soffici - Sznura, 2002, pp. 786-789), il che sembrerebbe compatibile con l’ascesa di prestigio del suo contesto sociale d’origine, tra l’altro in forte relazione con l’area francese: entro tale scenario la scelta di un tale antroponimo potrebbe non risultare affatto peregrina.
L’interpretatio nominis è effettivamente uno dei temi portanti del corpus poetico attribuibile a Pallamides e non si limita al solo autore, ma viene utilizzata per e da i suoi corrispondenti (come nell’incipit del già ricordato sonetto «Poi il nome c’hai ti fa il corag[g]io altero», in risposta a Orlanduccio Orafo che lo aveva appellato, nella proposta, «er[r]ante cavaliero», Poeti del Duecento, 1960, I, pp. 473 s.). Questo è uno degli argomenti, insieme ad altri di natura intertestuale, che permettono oggi di attribuire a Pallamides anche il sonetto Due cavalier valenti, indirizzato a Bondie Deitaiuti e attribuito dal Vat. Lat. 3793 a Rustico Filippi (Maffia Scariati, 2010, p. 207).
I documenti attestano dell’esistenza di una sorella, Lucia di Bellindote, moglie di un dominus Daldus De La Tosse, che dovrebbe identificarsi con un appartenente alla famiglia guelfa dei Tosinghi (Davidsohn, 1977, II, p. 682). Sono noti la figlia Grigia, andata in sposa ad Azzo di Tedici Mazzinghi, e il figlio Scolaio, al quale lo zio Salvuccio, magister e cappellano del papa in Inghilterra, aveva lasciato i beni (da dividersi con gli zii Perfetto e Ranieri) in un testamento siglato a Canterbury nel 1289 (Davidsohn, 1977-78, II, p. 681).
Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3793; Vat. Lat. 3822; Chig. L.VIII. 305; Archivio segreto Vaticano, Instr. Misc. 99; Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Redi 9; Ibid., Biblioteca Nazionale, Magl. VII. 1040; Venezia, Biblioteca Marciana, It. IX, 529; London, Westminster Abbey Library, Muniments 12843; Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, S. Maria del Bigallo, 2 settembre 1289, 11 maggio 1323. Il libro di Montaperti, a cura di C. Paoli, Firenze 1889; O. Holder-Egger, Italienische Prophetieen des 13. Jahrhunderts, in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, XV (1890), pp. 146-150, 174-177; XXX (1905), pp. 378 s.; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, Berlin 1898, pp. 143-163; S. Debenedetti, Lambertuccio Frescobaldi poeta e banchiere fiorentino, in Miscellanea … Guido Mazzoni, Firenze 1907, p. 42 n. 1; R. Palmieri, Pallamidesse di Bellindote, poeta fiorentino del secolo XIII, in Giornale dantesco, XXIII (1915), pp. 132-140; Poeti del Duecento, Roma-Napoli 1960; Chiaro Davanzati, Rime, a cura di A. Menichetti, Bologna 1965; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1977-78, II, pp. 643, 681, 765; V, p. 67; VI, pp. 364, 831; S. Raveggi, in Ghibellini, guelfi e popolo grasso, Firenze 1978, p. 60; Monte Andrea, Le rime, a cura di F.F. Minetti, Firenze 1979; D.L. Hoffman, Merlin in Italy, in Philological Quarterly, LXX (1991), pp. 261-275; Concordanze della lingua poetica delle origini (CLPIO), a cura di D’A. S. Avalle, Milano-Napoli 1992; G. Folena, Textus testis. Lingua e cultura poetica delle origini, Torino 2002, pp. 81-158; M. Soffici - F. Sznura, Ser Matteo di Biliotto. Imbreviature. I registri (anni 1294-1296), Firenze 2002, pp. 786-789, n. 825; R. Cella, Gli atti rogati da Brunetto Latini in Francia (tra politica e mercatura con qualche implicazione letteraria), in Nuova Rivista di letteratura italiana, VI (2003), pp. 367-408; A. Robin, Espoirs gibelins au lendemain de Bénévent. Les tensons politiques florentines (1267-1275 environ), in Arzanà, XI (2005), pp. 47-85; J.M. Najemy, History of Florence (1200-1575), Oxford 2006, pp. 63-95; N. Koble, ‘Les Prophecies de Merlin en prose’. Le roman arthurien en éclats, Paris 2009, pp. 13-18; I. Maffia Scariati, Dal Tresor al Tesoretto. Saggi su Brunetto Latini e i suoi fiancheggiatori, Roma 2010, pp. 193-215; G.L. Potestà, Il drago, la bestia, l’anticristo. Il conflitto apocalittico tra Federico II e il papato, in Il Diavolo nel Medioevo, Spoleto 2013, ad ind.; R. Zanni, Dalla lontananza all’esilio nella lirica italiana del XIII secolo, in Arzanà, XVI-XVII (2013), pp. 325-363.