PALIZZI
. Famiglia di pittori napoletani.
Filippo, il più importante, nacque a Vasto il 16 giugno 1818 e morì a Napoli l'11 settembre 1899.
Con un "gruppo di vacche e d'altri animali", nel 1839, rivelava già un amore per la natura e un'acutezza d'analista insolita per le correnti scolastiche del tempo. Nei primi studî di paese la maniera di significare il vero con colorazioni soffuse di bruni trasparenti palesa la diretta influenza dell'olandese Antonio Van Pitloo (1791-1837) il quale era stato chiamato a insegnare paesaggio nell'accademia borbonica e vi aveva portato l'eco dei primi movimenti della reazione affermatasi in Francia contro il neoclassicismo di Louis David.
Più tardi, nel 1845, due studî a olio del P., esposti alla mostra del museo borbonico, apparivano al Morelli "rivelazione di una pittura diversa dalle altre per una verità genuina che non era di nessuna scuola"; ma non bisogna dimenticare che al posto lasciato vuoto dal Pitloo era succeduto Gabriele Smargiassi (nato a Vasto nel 1798, morto a Napoli nel 1882) che, con l'esempio delle opere (era tornato da Parigi dopo 12 anni di permanenza), secondava il ritorno alla schiettezza delle sensazioni dirette del vero.
Il risveglio nazionale rese manifesto che il mondo greco e romano non poteva più fornire elementi alla leggenda e alla storia. La "scuola di Posillipo 1", capeggiata da Giacinto Gigante (1804-1876), traeva dalla natura le parole nuove della pittura; il P. "perfezionava sempre più la sua tecnica", "faceva da sé i pennelli per dipingere l'erba, i peli degli animali"; forniva linguaggio pittorico più espressivo, meglio aderente alle figurazioni dello stesso Morelli (Gli Iconoclasti); nella ricerca profonda dei caratteri d'un mondo fino allora negletto, incompreso o tenuto in dispregio dalla pittura, il mondo bruto, trovava tutto il segreto e la forza della sua arte.
Come il Caravaggio, egli sentì che l'impostazione categorica e totalitaria del chiaroscuro era il mezzo efficace per la resa del vero; alla luce diede palpiti nuovi; conferì alle ombre maggiore mistero; nella macchia pittorica vide i tenui fantasmi che furono l'assillo di tutta la sua vita di solitario: la vacca, la pecora, il cane, l'asinello. E con quegli umili elementi compose pagine pittoriche mirabili; raggiunse spesso pienezze formali che schiusero orizzonti nuovi alla pittura italiana. Coltivò con la medesima passione la figura umana, il paesaggio, la natura morta. Il suo ritratto del fratello Giuseppe, nel Museo Filangieri a Napoli, regge il confronto d'una superba mezza figura di Ribera. E quella vicinanza, piena di significato, afferma il merito del P. d'avere riallacciato la pittura napoletana dell'Ottocento al Seicento di M. Preti e di M. Stanzioni.
Più che dalle opere sparse nelle collezioni private, la statura pittorica del P. si desume dalla cospicua raccolta di quadri e studî da lui donati nel 1892 alla Galleria d'arte moderna di Roma o dall'altro gruppo di dipinti, suoi e dei suoi fratelli, legato nel 1898 alla Galleria regionale d'arte moderna dell'Accademia di belle arti di Napoli, con una quarantina di pitture di scuola francese che costituiscono un punto fermo di riferimento per lo studio di ciascuno dei fratelli Palizzi.
Giuseppe Nicola Raimondo, fratello del precedente, nato a Lanciano (Chieti) il 19 marzo 1812, morì a Parigi il 14 gennaio 1888. La sua pittura ha una fluidità d'impasti e una gamma di grigi di pretta marca francese. Il P. si stabilì a Parigi nel 1844 e vi rimase fino alla morte, legato da amicizia al De Nittis, col quale tenne alto il prestigio dell'arte italiana. Fra le sue tele si ricordano: Bosco nella Galleria d'arte moderna di Roma; Ritorno dai campi, Vacche al pascolo, e trenta dipinti nella sala Palizzi nell'Accademia di belle arti di Napoli.
Nicola, fratello dei precedenti, nato a Vasto il 20 febbraio 1820, morì a Napoli il 25 settembre 1870. Da giovanetto fu armaiolo a Vasto, poi si stabilì a Napoli dove lo chiamò il fratello Filippo. Nei suoi paesaggi avverti l'influenza del fratello, con minor senso di unità pittorica. Nella sala Palizzi a Napoli sono venti suoi dipinti.
Francesco Paolo Guglielmo Spiridione, fratello dei precedenti, nacque a Vasto il 16 aprile 1825 e morì a Napoli il 16 marzo 1871. Dipinse di preferenza nature morte, coltivò anche con successo la pittura di figura. Sono opere sue: nella chiesa di S. Pietro a Vasto il quadro Il cieco di Gerico; nel convento di S. Chiara a Lanciano una Addolorata e una Santa Cordula. Dodici suoi dipinti figurano nella Sala Palizzi. a Napoli.
V. tavv. XXXIII e XXXIV.
Bibl.: D. Morelli, F. P. e la scuola napoletana di pittura nel sec. XIX, in D. Morelli e E. Dalbono, La scuola napoletana di pittura nel sec. XIX, ecc., Bari 1915, pp. 3-41; F. Sapori, F. P., Bergamo 1919; E. Somaré, Storia dei pittori ital. dell'Ottocento, II, Milano 1928, pp. 435-40; Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVI, Lipsia 1932.