Vedi PALESTRINA dell'anno: 1963 - 1973 - 1996
PALESTRINA (Praeneste)
Città del Lazio nella valle del Sacco sulle ultime pendici dei Monti Prenestini, a 40 km da Roma.
Leggende di origine greca la dicono fondata da Preneste figlio di Latino e nipote di Odisseo, o da Telegono, mentre la leggenda locale attribuisce la fondazione a Caeculus figlio di Vulcano. P. è detta dagli annalisti colonia di Alba e membro della lega latina (la sua latinità risulta dalla lingua, anche se probabili sono le tracce di componenti sabine ed etrusche; incerta invece la teoria di uno strato illirico, basata soprattutto dal suffisso del nome Praeneste).
P. passò ai Romani intorno al 500 a. C., si ribellò nel 381, fu definitivamente sottomessa nel 338, e divenne città federata. Durante le guerre civili Mario il giovane tentò la resistenza entro le sue possenti mura, ma dopo la sconfitta di Sacriporto, la città si arrese, e fu saccheggiata dai soldati di Silla, mentre gran parte degli abitanti furono uccisi e i loro beni assegnati ai veterani (82 a. C.). Divenne allora colonia, fu municipio con Tiberio, ridivenne, almeno già nel II sec. d. C., colonia.
Una testimonianza della ricchezza di P. nel VII sec. è data dalla suppellettile delle tombe (forse a camera) trovate a S della città nella seconda metà del secolo scorso (tombe Barberini e Bernardini, ora al Museo di Villa Giulia).
Se una parte della suppellettile (tazza d'argento dorato, cratere d'argento) è di importazione orientale e microasiatica, alcuni oggetti (fibule, grandi bronzi: scudo, incensiere, trono, ecc.) rientrano nel quadro dell'arte etrusca "orientalizzante" (non sappiamo se sia prodotto locale o etrusco la fibula d'oro con l'iscrizione latina Manios: med: fhe: fhaked: Numasioi; va a questo proposito ricordata la fama degli artefici di gioielli prenestini: Plin., Nat. hist., xxxii, 61).
Non è stata rinvenuta la necropoli dei secoli VI e V. Del V e del IV sono le terrecotte di un tempio che doveva sorgere nella località La Colombella, a S della città.
Alla prima metà del IV vanno probabilmente datate le mura megalitiche (II e III maniera dell'opera poligonale), che univano la città effettivamente abitata (corrispondente all'odierna Palestrina) all'acropoli (ora Castel S. Pietro), coprendo un forte dislivello (da m 415 a m 752 s. l. m.), e sviluppando un circuito di circa 4 m e mezzo: esse meritarono alla città l'appellativo πολυστέϕανον (Strab., 5, 3, 11, p. 238). Il loro tracciato non è chiaro nel lato inferiore della città, dove oggi si trovano grandiosi muri in opera quadrata e incerta, che sono piuttosto terrazzamenti di costruzione forse coeva a quella del santuario della Fortuna.
Note sono le necropoli dei secoli IV e III, anch'esse a S e S-E della città: sarcofagi di pietra, più raramente di legno, entro terra, contrassegnati alla superficie da plinti decorati con pigne e recanti spesso l'iscrizione del defunto; caratteristiche le ciste di bronzo (contenenti specchi e altri oggetti da toletta) ornate con disegni graffiti e statuette. Famosa la cista Ficoroni con rappresentazione della leggenda degli Argonauti, fabbricata a Roma da Novios Plautios (v. cista ficoroni; novios plautios).
Del IV o del III sec. è probabilmente il tempio sotto S. Agapito, di cui rimangono solo pochi elementi. Da iscrizioni di varie epoche abbiamo testimonianza in P. dei culti di Mater Matuta, Ercole, Apollo, ecc.
Santuario della Fortuna. - Già durante la prima guerra punica era importante, per l'oracolo, il culto della Fortuna (Val. Max., i, 3, 2), per il quale abbiamo, pare già nel III sec. a. C., anche una documentazione epigrafica (C.I.L., xiv, 2683); l'oracolo fu visitato dal re Prusia e dal filosofo Carneade. Cicerone (De div., ii, 86) parla della bellezza del santuario e dell'antichità dell'oracolo, e dà una descrizione della statua della Fortuna con Giove e Giunone bambini (si discute su questa testimonianza perché nelle iscrizioni la Fortuna è detta invece figlia di Giove, Iovis puer, Primigenia), di un locus religiose saeptus e della estrazione delle sortes da un pozzo nel quale si calava un bambino. L'oracolo è poi nominato più volte, fino all'età di Alessandro Severo.
Grandiose rovine di un unitario complesso architettonico rimangono al centro della città repubblicana (note già in gran parte sino dal 1500, esse sono state compiutamente scavate e restaurate da G. Gullini e da F. Fasolo negli anni 1952-55, dopo le distruzioni dell'abitato moderno causate dai bombardamenti della seconda guerra mondiale). Si può distinguere un complesso inferiore, costituito da un'aula basilicale (cosiddetta Area Sacra) situata alle spalle del già ricordato tempio sotto S. Agapito, e da due edifici che la fiancheggiano nei lati corti, cioè il cosiddetto Antro delle Sorti ad O e un'aula absidata ad E. L'Area Sacra, preceduta da un portico a due piani, è divisa in quattro navate da colonnati (non sappiamo se fosse coperta); la parete di fondo, a due piani, è decorata con semicolonne, finestre e archi che lasciano vedere una stretta intercapedine ricavata tra la parete stessa e un muro di terrazzamento della collina. L'"Antro delle Sorti" è una grotta naturale sistemata con opere murarie e decorata con stalagmiti artificiali a guisa di ninfeo (v. ninfei) e con un pavimento a mosaico policromo finissimo, raffigurante il mare con grandi pesci, un altare, ecc. L'aula absidata termina a N con una grotta, pure scavata nella roccia, ha le pareti provviste di un podio decorato con fregio dorico, aveva un grande mosaico pavimentale, con una fantasiosa composizione ispirata al paesaggio egiziano durante l'inondazione del Nilo, la cui finezza di esecuzione e ricchezza cromatica sono ancora apprezzabili nonostante i notevoli restauri del secolo XVII. Il mosaico, di discussa cronologia (forse di età adrianea, ma attribuito anche al III sec. d. C.), viene identificato da alcuni (particolarmente dal Gullini) col lithostroton fatto da Silla in Fortunae delubro (Plin., Nat. hist., xxxvi, 189), senonché tale termine indica più probabilmente incrostazioni di lastre marmoree (v. mosaico). Con ciò risulta infondata anche l'identificazione del delubrum Fortunae con l'aula absidata (che è stata proposta insieme a quella del pronaus aedis, cfr. C.I.L., xiv, 2867, per l'Area Sacra, e del locus religiose saeptus con l'"Antro delle Sorti"); risulta anzi dubbia la stessa attribuzione al santuario della Fortuna di questa parte del complesso architettonico, comunemente detta "santuario inferiore" (essa è negata dal Vaglieri e dal Kähler, per quanto varie iscrizioni della Fortuna siano state trovate nell'Area Sacra).
Sembrano invece giuste le attribuzioni proposte dal Mingazzini, di ninfei per l'aula absidata e l'"Antro delle Sorti", e di basilica per l'Area Sacra. Queste identificazioni però non escludono di per sé l'ipotesi di una appartenenza di questi edifici al complesso sacro.
Nel basamento dell'aula absidata era ricavato l'Aerarium, come risulta dall'iscrizione ivi incisa (C.I.L., 12, 1463), databile ad un'età di poco anteriore alla fondazione della colonia sillana; questa iscrizione costituisce un elemento cronologico per datare tutto il complesso inferiore, data la connessione architettonica delle varie parti (si ritiene invece comunemente che l'erario sia una costruzione più antica, e si attribuiscono gli altri edifici a età posteriore alla fondazione della colonia sillana, in base anche ad un frammento di iscrizione, inciso su un epistilio trovato nell'Area Sacra, di Varrone Lucullo, che è ritenuto il fondatore della colonia sillana; l'iscrizione non testimonia però della costruzione dell'edificio).
Il complesso superiore si sviluppa su sei terrazze artificiali. Le prime due non contengono opere architettoniche; sulla terza si hanno, all'estremità occidentale (e forse, simmetricamente, in quella orientale) un portico preceduto da fontane per le abluzioni, in contiguità delle quali sono stati constatati ambienti decorati in "primo stile" (v. pompeiani stili); da questa terrazza iniziano due rampe simmetriche (a doppio passaggio, coperto e scoperto) che conducono al centro della quarta terrazza. Questa è divisa da una scalinata centrale in due parti; nelle pareti di fondo si aprono, dietro un portico dorico, ambienti (forse destinati a negozi di piccoli commercianti dei quali restano molte epigrafi votive), e due esedre simmetriche: su quella di destra, nell'epistilio, un'iscrizione frammentaria ricorda la costruzione per decreto del senato. Davanti a questa stessa esedra sono una base e un puteale che era coperto da tetto conico sostenuto da un giro di colonne corinzie, e decorato con fregi dorici (ora ricomposto nel museo) sotto il quale si apre una profonda cavità. Il Mingazzini ha identificato, sembra a ragione, questi due elementi con la base della statua della Fortuna e con il locus religiose saeptus ricordati da Cicerone. Su questa terrazza sono state rinvenute una iscrizione di G. Flaminino (192 a. C.; C.I.L., xiv, 2935), e molte dediche di collegi di commercianti.
La quinta terrazza, divisa anch'essa da una scala mediana, ha le pareti di fondo decorate con fornici fiancheggiati da semicolonne ioniche alternate a specchi di parete con porte e cartelli.
La sesta terrazza, a differenza delle precedenti, ha una profondità considerevole, ed è circondata, sul fondo e sui fianchi, da un doppio portico: sull'epistilio è una iscrizione frammentaria che ricorda costruzioni e restauri di statue, da parte, sembra, dei decurioni e del popolo di Praeneste (perciò dopo l'82); un'iscrizione fuori posto, incisa su un identico epistilio, ricorda invece magistrati con gentilizi locali (perciò prima dell'82). Al centro del lato di fondo si sviluppa una cavea semicircolare coronata alla sommità da un doppio portico pure semicircolare (poi trasformato nel palazzo Barberini), dietro al quale, sull'asse centrale nel punto più elevato del complesso architettonico, sorgeva un edificio circolare, non sappiamo se periptero o monoptero (tempio o edificio contenente una statua ?).
Molto discussa è la cronologia del complesso architettonico e delle sue varie parti: le datazioni proposte sono: età sillana, subito dopo l'82 (Marucchi, ecc., e ora nuovamente Kähler); 16o-150 a. C. per il complesso superiore e dopo l'82 per l'inferiore (Gullini e Fasolo); tra il 100 e l'82 per il complesso superiore e subito dopo quello inferiore (Lugli). Effettivamente, non portano indicazioni precise né la tecnica muraria (opera poligonale di alcune terrazze, opera incerta assai perfezionata), né lo stile delle sculture architettoniche, né la paleografia delle iscrizioni, né le fonti storiche (per la teoria di un rifacimento totale del santuario dopo l'82 è da notarsi che le fonti parlano di saccheggio e non di distruzione del santuario durante la guerra sillana; l'aneddoto di Carneade non prova affatto l'esistenza, al suo tempo, di un grande edificio, ma è soltanto un motto ironico sulla credulità dei devoti, come ha notato il Kähler). Le iscrizioni di magistrati di famiglie prenestine (databili perciò, sembra, prima dell'82), incise nell'Erario e nella sesta terrazza indicano che il complesso architettonico (sia nella parte inferiore che superiore) fu costruito prima dell'82, ma forse solo pochi anni prima (come si può pensare in base al confronto con l'architettura sillana nel Lazio, alla decorazione di I stile degli ambienti adiacenti al terzo terrazzo, e ai pavimenti del tipo cosiddetto litostroto); la costruzione dovette aver compimento o restauri in età subito posteriore alla colonia sillana (iscrizione dell'Area Sacra e della terrazza superiore).
Il monumento è il maggiore esempio dell'architettura in Italia tra la fine del II e il principio del I sec. a. C.: mentre è evidente la derivazione dal mondo ellenistico sia del gusto scenografico sia dei singoli elementi architettonici, l'opera si distingue per l'organica unità di composizione gravitante sull'asse centrale e armonicamente tesa verso l'alto, per la varia ed equilibrata distribuzione degli elementi decorativi, per la sapienza costruttiva che collauda le possibilità della tecnica dell'opera incerta, per la consapevole dosatura degli effetti panoramici (sbocco sulla quarta terrazza dalle rampe chiuse verso valle).
La città post-sillana. - La città, posteriormente all'82, si sviluppò fuori della linea delle mura nella parte bassa secondo un piano regolatore ad assi ortogonali, che continuano quelli del santuario e dei terrazzamenti ad esso sottostanti: rimangono varie costruzioni del I e II sec. d. C. (due terme, un ninfeo, una cisterna, ecc.); nella zona della Madonna dell'Aquila (come è provato da iscrizioni) era il Foro della nuova città (in esso sappiamo essere stati collocati la statua dell'erudito Verrio Fiacco e i Fasti da lui pubblicati). Nei dintorni, numerose ville (tra cui una villa, forse di Augusto, restaurata nell'età di Adriano: di qui l'Antinoo Braschi), e tombe sulla via Prenestina.
Il museo. - Il Museo Nazionale Prenestino conserva oggetti provenienti dalla Collezione Barberini o di più recente scavo: terrecotte architettoniche di varie fasi, suppellettili funerarie dell'età arcaica ed ellenistica (ciste, specchi, piccoli bronzi), busti funerarî, cippi, sculture in marmo (tra cui una grande statua detta della Fortuna, forse originale del II sec. a. C.), il mosaico con paesaggio nilotico.
Bibl.: O. Marucchi, Guida archeologica dell'antica Preneste, Roma 1885, 1912, 1932; R. Delbrück, Hellenistische Bauten in Latium, I, Strasburgo 1907, p. 47 ss.; II, 1912, p. i ss.; D. Vaglieri, in Bull. Com., XXXVII, 1909, p. 213 ss.; A. Della Seta, Museo di Villa Giulia, Roma 1918, p. 358 ss.; H. C. Bradshaw, in Papers Br. Sch. Rome, IX, 1920, p. 239 ss.; F. von Duhn, Italische Gräberkunde, I, Heidelberg 1924, p. 491 ss.; C. D. Curtis, in Mem. Amer. Acad., V, 1925, p. 9 ss.; F. Fasolo-G. Gullini, Il santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, Roma 1953; A. Giuliano, in Röm. Mitt., LXI, 1954, p. 172 ss.; G. Radke, in Pauly-Wissowa, XXII, 1954, c. 1549 ss., s. v. Praeneste; G. Lugli, in Rend. Linc., s. VIII, IX, 1954, p. 51 ss.; G. Gullini, in Arch. Class., VI, 1954, p. 133 ss.; P. Mingazzini, ibid., p. 295 ss.; A. Degrassi, ibid., p. 302 ss.; G. Lugli, ibid., p. 305 ss.; G. Gullini, Guida del santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, Roma 1956; id., I mosaici di Palestrina, Roma 1956; G. Quattrocchi, Il Museo Archeologico Prenestino, Roma 1956; H. Besig, in Pauly-Wissowa, Suppl. VIII, 1956, c. 1241-60, s. v. Praeneste; H. von Heintze, in Gymnasium, LXIII, 1956, p. 526 ss.; A. Degrassi, Inscriptiones liberae rei publicae, I, Firenze 1957, 101-110; L. Castiglione, in Acta Antiqua, V, 1957, p. 209 ss.; H. Kähler, in Gnomon., XXX, 1958, p. 366 ss.; id., in Annales Universitatis Saraviensis, VII, 1958, p. 189 ss.; O. Brendel, in Am. Journ. Arch., LXIV, 1960, p. 41 ss.