PAGLIARINI
– Famiglia originaria di Arezzo, stabilitasi a Roma nella seconda metà del XVII secolo con Marc’Antonio, nato nel 1643 circa e sposato con Bartolomea Maiani. I loro figli, Lorenzo (nato a Roma nel 1666 circa) e Tommaso (nato a Roma nel 1684 circa), furono attivi come librai.
Il primo a rendersi autonomo fu Lorenzo, che almeno dal 1694 ebbe una propria libreria; a lui risalgono rapporti con l’Ordine domenicano, che influenzeranno per un secolo l’attività della ditta. Il suo apprendistato si svolse, nel 1680-81, nella bottega di Giovan Battista Damiani, nell’attuale via di S. Ignazio, in locali retrostanti al convento domenicano della Minerva, accanto alla tipografia dello stampatore camerale Nicolò Antonio Tinassi. Damiani, legato a Tinassi, vendeva i libri impressi da quest’ultimo. Lorenzo gli subentrò, con il vantaggio di aver portato la bottega sulla piazza della Minerva, prendendo l’antica divinità come insegna della sua libreria, certo con l’approvazione dei domenicani. Con l’indicazione «si vendono alla piazza della Minerva alla medesima insegna di Lorenzo Maria Pagliarini») fece uscire la sua prima pubblicazione, il «discorso pratico» Il fuoco ristretto ed unito, un’opera tecnica da lui stesso composta e stampato nel 1694 nell’officina di Domenico Antonio Ercole per conto del libraio Pietro Leone, poi ristampata l’anno dopo dallo stesso Ercole, con testo aumentato, due tavole e antiporta incise da Nicola Billi.
L’autonomia commerciale fu raggiunta da Lorenzo in seguito alle nozze con Agnese Muffati, di cui utilizzò la dote; il matrimonio rimase senza prole. Nel 1698-1703 la bottega fu spostata in via del Piè di marmo, nel 1704 in piazza Navona, sempre conservando l’insegna della Minerva, come risulta da tre edizioni uscite a sue spese in quell’anno, una delle quali ancora legata ai domenicani. Per la stampa egli si rivolse sia alla ditta Chracas, sia alla ditta Bernabò, con la quale i Pagliarini manterranno un lungo rapporto d’amicizia. La solidità della gestione di Lorenzo si evince anche dal non piccolo versamento cui la sua azienda fu sottoposta nel 1708 durante la guerra di Successione spagnola per l’imposta straordinaria detta «del milione» (Palazzolo, 1994, p. 21). All’epoca Lorenzo aveva già portato la libreria in piazza Pasquino (all’attuale civico 73), da oltre un secolo centro fondamentale dell’attività libraria romana, approfittando della ricostruzione da parte del duca Giovan Battista Rospigliosi di un edificio rinascimentale già della famiglia Mignanelli. Ebbe abitazione sopra la bottega, al primo piano dell’edificio, cui si accedeva dall’attuale civico 29 del vicino vicolo de’ Leutari.
Il successo della nuova ubicazione portò a un più stretto legame con il fratello minore Tommaso, che a sua volta nel 1710 veniva censito come «libraro». Cinque anni dopo Tommaso viveva con i genitori nella casa Sampieri al cantone occidentale di piazza Pasquino; poi si sposò con Francesca Ciancaleoni, unione destinata a essere molto prolifica. Mentre i vecchi genitori andarono a vivere in Borgo (morirono entrambi nel 1722), Tommaso si stabilì nella stessa casa Rospigliosi dove abitava Lorenzo. Del 1718 è la prima edizione in cui figurano i nomi di entrambi i fratelli. Proseguivano intanto i rapporti con i domenicani della Minerva: il teologo di quel convento Tomaso Maria Minorelli fu il probabile tramite tra Lorenzo e Girolamo Gigli, professore di eloquenza italiana all’Università di Siena, del quale nel 1719 la libreria Pagliarini diffuse a Roma l’opera satirica Del Collegio Petroniano delle balie latine, stampata a Siena sotto falso nome d’autore. Poco dopo l’attività fu favorita dall’ascesa al soglio pontificio di Benedetto XIII, un domenicano legatissimo al suo Ordine, tramite il quale i Pagliarini ottennero di vendere nella loro libreria («apud fratres Pagliarinos») l’edizione della Vulgata (Biblia sacra) stampata a Colonia in vista dell’anno santo 1725.
Lorenzo morì a Roma il 7 gennaio 1725.
Tommaso gli succedette come titolare della libreria, proseguendone in sostanza gli orientamenti, ma dando all’attività un più ampio respiro con commercio di libri stampati in Italia e fuori d’Italia: la bottega fu ben presto frequentata dagli uomini più colti e più moderni del Settecento romano. Tommaso trasformò l’insegna della Minerva in quella analoga di Pallade (documentata dal 1728 alla fine dal secolo) e nel 1729 liquidò i residui diritti della vedova di Lorenzo, restituendole dote e quarto dotale. L’anno dopo, morto Benedetto XIII, la fortuna dell’azienda proseguì sotto il nuovo papa Clemente XII Corsini, la cui famiglia fu a lungo favorevole ai Pagliarini. Rimasto vedovo nel 1731, Tommaso rese per tempo pratici dell’arte il primogenito Nicolò (nato nel 1717) e l’altro figlio maschio, Marco (nato nel 1723), che collaborarono con lui dal 1735, quando riprese l’attività editoriale. Fu acquistato un ampio stabile nel vicolo de’ Leutari (all’attuale civico 34), vicino alla casa di abitazione, utilizzato come magazzino, e la libreria passò in locali più vasti, sempre in piazza Pasquino (all’attuale civico 74).
Nel 1735 il latinista Francesco Lorenzini, custode dell’Arcadia, organizzò in una casa del vicolo de’ Leutari recite dell’Aulularia di Plauto. Tommaso fu tra i sostenitori dell’iniziativa, che ebbe da Clemente XII un premio di 50 scudi. Le recite di commedie latine proseguirono negli anni successivi e a esse è legata la bella edizione di sei opere di Terenzio tra il 1737 e il 1739, sostenuta dal cardinale Neri Corsini. Dai Corsini Tommaso, insieme con il figlio Nicolò, ebbe un mutuo di 2000 scudi, con il quale ristrutturò l’immobile acquistato ai Leutari, impiantandovi una propria tipografia: si realizzava così una completa autonomia dell’azienda, che accanto al florido commercio di libri italiani ed esteri, avviò dal 1741 una produzione tipografica. Almeno dal 1740 i Pagliarini abitarono nei locali sopra la nuova tipografia.
Tommaso morì all’improvviso il 19 novembre 1741, lasciando i due figli maschi e cinque femmine.
L’anno prima era morto Clemente XII, ma anche il nuovo pontefice Benedetto XIV protesse la loro attività. Gestita insieme da Nicolò e da Marco, la nuova stamperia, con una certa ricercatezza, fu spesso citata nelle sottoscrizioni come «ex typographio Paleariniano». Ancora più netto fu il distacco dalla vecchia figura artigianale del libraio-legatore rimarcato con la formula «a spese de’ Pagliarini mercanti librari a Pasquino» o simili, che anticipava la formula «mercante di libri e di stampe», divenuta comune nella seconda metà del secolo per indicare il commercio di testi italiani ed europei, tipico della nuova imprenditoria del tempo. Altra designazione colta, di sapore antiquario, fu quella «ad theatrum Pompeii» per l’ubicazione della libreria, usata per decenni, quantunque archeologicamente imprecisa. Un tramite di successo fu il persistente rapporto con i domenicani, che il colto e abile Nicolò seppe mantenere, pubblicando tra il 1741 e il 1749 opere di autori dell‘Ordine (tra essi lo storico fiorentino Giuseppe Agostino Orsi, teologo del cardinale Corsini, Tommaso Maria Mamachi, professore alla Sapienza e direttore della Biblioteca Casanatense, il teologo Daniello Concina), dedicandole non solo al generale dell’Ordine Tomás Ripoll, ma anche direttamente a Benedetto XIV.
Quattro delle sorelle Pagliarini si sposarono in quegli anni. Flavia (1744) si unì a Giulio Barluzzi, che fin dai tempi di Lorenzo aveva lavorato nella libreria e rimarrà collaboratore dei Pagliarini (dal 1751 anche gestore della libreria); Caterina (1747) sposò il chirurgo dell’ospedale di S. Spirito Carlo Guattani. Il figlio della coppia, Giuseppe Antonio, archeologo, curò opere sulle antichità romane pubblicate dagli zii.
Al 1745 risale l’edizione delle tragedie latine del gesuita Giuseppe Carpani con dedica a Giovanni V di Portogallo, avvio di un rapporto stabile con il governo di quel paese, che con Benedetto XIV manteneva buoni rapporti. Fu allora istituita un’accademia pontificia presso l’Università di Coimbra (Academia liturgica Conimbricensis), della quale i fratelli Pagliarini, pur vivendo a Roma, furono nominati stampatori e pubblicarono edizioni a partire dal 1747. I rapporti con il Portogallo cessarono alla morte di Giovanni V (1750): ma sotto il successore Giuseppe I i Pagliarini pubblicarono opere del suo incaricato a Roma Luís António Verney e furono protetti dall’ambasciatore Francisco de Almada.
Gli spiriti antigesuitici del governo portoghese, sempre più saldamente in mano al marchese di Pombal, trovarono facile sponda negli ambienti frequentati a Roma da Nicolò: egli, istituzionalmente posto sotto il patronato del colto cardinal segretario di Stato Silvio Valenti Gonzaga, in quanto «provisore di libri» del palazzo apostolico, fu in stretti contatti con gli intellettuali romani d’orientamento giansenista, del più noto dei quali, il custode della Biblioteca Vaticana Giovanni Gaetano Bottari, pubblicò varie opere. Prese parte a riunioni del famoso Circolo dell’Archetto in palazzo Corsini alla Lungara. Di fatto, Nicolò svolse una funzione di collegamento tra il circolo di Bottari e l’ambasciatore Almada. Peraltro fu in diretti rapporti epistolari con Bottari durante un lungo viaggio compiuto nel 1755-56 a Parigi, Londra, Amsterdam, per reperire libri filogiansenisti. Al ritorno a Roma, pubblicò nuove edizioni di autori e soggetti domenicani, tra le quali spicca il primo volume degli Annalium Ordinis Praedicatorum, a cura di Mamachi, grande edizione in folio dedicata a Benedetto XIV; inoltre, gli atti del capitolo generale del 1756, vari testi del domenicano trecentesco Domenico Cavalca curati da Bottari e altre opere legate al cardinal Corsini.
Queste soddisfazioni morali e materiali non bastarono a stornare dai Pagliarini, dopo tanti anni positivi, un turbine politico e ideologico. Morto Benedetto XIV, il nuovo papa Clemente XIII confermò Nicolò e Marco come suoi «provisori di libri» (1758); ma poco dopo un documento riservato dei gesuiti sui problemi dell’Ordine in Portogallo, trasmesso dal papa all’Inquisizione, giunse nelle mani dell’ambasciatore Almada, forse per il tramite di Nicolò che potrebbe averlo avuto dal cardinale Corsini, protettore del Portogallo e membro dell’Inquisizione. I fatti precipitano: in Portogallo le voci di un attentato al re Giuseppe tendevano a incolpare i gesuiti; contro di loro lo scolopio Urbano Tosetti scrisse, sostenuto da Almada, un velenoso opuscolo (Riflessioni di un portoghese), che figura edito a Lisbona ma secondo alcuni stampato a Roma da Nicolò nel palazzo di residenza di Almada (secondo altri stampato a Lugano, secondo Paoli, 2004, a Lucca), che diede la stura a un fiume di opuscoli di parti contrapposte usciti in vari luoghi d’Italia e d’Europa. Mentre le posizioni politiche tra la S. Sede e il governo di Pombal si irrigidirono, si giunse all’espulsione dei gesuiti dal Portogallo (autunno 1759).
L’attività dei Pagliarini, fiduciosi nella protezione del cardinale Corsini e del Portogallo, proseguì intensa, anzi Nicolò acquistò altre case al vicolo de’ Leutari. Ma nel 1760 si giunse alla rottura del Portogallo con la S. Sede, guidata dalla forte reazione del segretario di Stato cardinal Luigi Maria Torrigiani: il 7 luglio Almada lasciò Roma. Pochi giorni dopo (24 luglio) bottega e tipografia dei Pagliarini furono sottoposte a indagine giudiziaria nella ricerca (risultata vana) di libri o prove contro Nicolò. L’indagine proseguì nel clima avvelenato dalla diffusione del virulento libello I lupi smascherati, non solo antigesuitico ma anche anticuriale. Va escluso che fosse stampato dai Pagliarini, ma alcuni riferimenti a personaggi romani filogesuitici (tra cui gli stampatori Barbiellini, anch’essi con bottega in piazza Pasquino) furono fatti risalire a Nicolò, che l’11 dicembre fu rinchiuso nelle carceri dell’Inquisizione su ordine del governatore di Roma, con l’accusa di aver pubblicato clandestinamente su committenza portoghese libelli giansenisti e antigesuitici. Nel processo l’accusa, sostenuta dal fiscale Filippo Mirogli e invano contrastata dal difensore abate Nicola Rossi, parlò di prove a carico rinvenute nel palazzo già dimora di Almada; vana fu la dichiarazione di Nicolò sulla tolleranza mostrata dal defunto segretario di Stato cardinale Alberico Archinto nei confronti della circolazione dei libelli polemici, vana anche la difensiva stampata dall’amica tipografia dei Bernabò: il 14 novembre 1761 Nicolò fu condannato a sette anni di galera (due giudici votarono per la condanna a morte).
Con un gesto di clemenza e di opportunità politica Clemente XIII gli concesse la grazia (7 febbraio 1762) e Nicolò si rifugiò a Napoli, dove il primo ministro Niccolò Tanucci (cui nel 1760 erano state dedicate due edizioni dei Pagliarini) lo accolse con viva simpatia e dove il governo di Pombal lo nominò segretario della legazione portoghese con cospicuo compenso: il libraio era divenuto un simbolo della collera contro i gesuiti e l’oppressione ecclesiastica secondo le idee ormai dilaganti in Europa. Non meraviglia trovare un poemetto satirico antigesuitico stampato «à Delphis» (ma a Parigi) con l’indicazione di vendita «chez Pagliarini» (1762). Ben presto Nicolò si stabilì a Lisbona, ospite nel palazzo di Almada; per volontà di Pombal fu fatto nobile e cavaliere dell’Ordine di Cristo (15 marzo 1764). Gli ingenti emolumenti percepiti come segretario di legazione gli consentirono di estinguere, inviando per prudenza il capitale al cognato Guattani, il censo a suo favore acceso dai Corsini al tempo della fondazione della tipografia. In seguito, Nicolò, mentre Almada tornava in Italia per l’avvento del nuovo papa Clemente XIV, fu nominato direttore della nuova Stamperia Reale di Lisbona (29 gennaio 1769 ). In quel ruolo, mantenuto fino al 1778, pubblicò non solo decreti legislativi e libretti per gli spettacoli di corte, ma anche il Diccionario italiano e portuguez di Joaquim José da Costa e Sa (1773) e alcune opere di polemica antigesuitica (Origem infecta da relaxação da moral dos denominados Jesuitas, 1771; un commento sul breve di soppressione della Compagnia di Gesù, 1773; Lusitaniae redivivae decora, 1774).
Il culmine della soddisfazione fu raggiunto da Nicolò nel 1771, quando Clemente XIV, su esplicita richiesta del Pombal, cassò la condanna di dieci anni prima e gli attribuì il cavalierato dello Speron d’oro, segni eloquenti del mutare dei tempi e dei valori. Un atto del genere da parte del pontefice fu il logico preludio alla soppressione definitiva della Compagnia di Gesù, decretata il 21 luglio 1773.
Dal tempo dell’arresto di Nicolò, il fratello Marco rimase solo nella gestione dell’azienda e sottoscrisse le edizioni solo con il suo nome. La condanna di Nicolò portò a un deciso ridimensionamento dell’attività (nel 1762 fu quasi un crollo), ma Marco, sia pure con maggiore prudenza, non abbandonò il percorso compiuto insieme con Nicolò: non mancarono negli anni successivi opere di Mamachi o a cura di Bottari. Dal 1771 Marco dedicò volumi ad Almada tornato a Roma, ma anche all’ambasciatore spagnolo Tomás Azpuru, anch’egli su posizioni nettamente antigesuitiche. Nel 1764 si sposò con Clementina Nadini, da cui ebbe molti figli.
Morti Clemente XIV e il re portoghese Giuseppe, placatesi le polemiche seguite alla soppressione dei gesuiti, Nicolò lasciò gli incarichi in Portogallo e tornò a Roma (6 dicembre 1778). L’anno successivo sembra privo di edizioni, che ripresero nel 1780 recando regolarmente, dalla fine di quell’anno, l’indicazione «nella stamperia Pagliarini» o simili. Mentre la libreria in piazza Pasquino era sempre gestita da Barluzzi, i fratelli investirono parte delle ricchezze portoghesi di Nicolò nella costruzione di un nuovo edificio in vicolo de’ Leutari (i lavori furono eseguiti dal 1780 al 1785), al posto dei locali della tipografia e di altre tre case adiacenti già acquistate. L’edificio di quattro piani, tuttora esistente, ospitò tipografia, magazzino e l’abitazione ai piani superiori. Nel 1782 Marco, rimasto vedovo, si risposò con Cecilia Cappelli, dalla quale ebbe altri due figli. Tramite l’ambasciatore spagnolo José Nicolás de Azara, fu dichiarato «stampatore di S. M. Cattolica» e pubblicò edizioni con questo titolo nel 1789. Accanto a rilevanti opere di archeologia, tra cui spiccano quelle di Winckelmann, e di storia della stampa (grandi lavori sugli incunaboli del bibliotecario della Casanatense Giovan Battista Audiffredi), uscirono dalla tipografia testi di vario genere, tra cui molti libri illustrati su Roma, alcuni a cura del nipote Giuseppe Antonio Guattani.
Marco morì a Roma il 28 settembre 1791, dopo aver fatto testamento; fu sepolto nella tomba di famiglia in S. Lorenzo in Damaso.
Negli anni seguenti l’attività, ancora gestita da Nicolò insieme con i nipoti, produsse edizioni di rilievo (nel 1791 il classico saggio di Esteban Arteaga sull’influsso arabo nelle nascenti letterature romanze, dal 1792 i nove volumi di Luigi Cardella sulle biografie dei cardinali, nel 1793-94 saggi storico-critici sull’Ariosto e sul Tasso, nonché importanti testi archeologici di Ennio Quirino Visconti), ma sempre più spesso in collaborazione con altri librai-editori non solo di Roma, ma anche di Londra e Lisbona. Nel 1794 morì il fido cognato Barluzzi, la cui autonoma attività fu proseguita dai figli.
Nicolò morì per un colpo apoplettico il 7 dicembre 1795.
Secondo il suo ultimo testamento (del dicembre 1791), erede diretto dell’azienda divenne il nipote Tommaso, posto alla guida degli altri fratelli. Nato nel 1767, questo Tommaso junior fu ancora abbastanza attivo, pubblicando opere archeologiche di Carlo Fea e di Visconti, testi di letteratura, matematica, scienze, in particolare la traduzione italiana del celebre trattato medico di John Brown. Nel 1797, costituitasi la Repubblica Romana, abbandonò la sottoscrizione «nella stamperia Pagliarini» per adottare quella voluta dal nuovo regime «presso il cittadino Tommaso Pagliarini», o simili. Pubblicò anche opere di aperta adesione agli ideali giacobini (norme giuridiche, saggi economici e politici, il poema Bonaparte in Italia dell’improvvisatore Francesco Gianni, un’edizione del Principe di Machiavelli. Al ritorno del governo pontificio riprese l’anodina sottoscrizione precedente, che rimarrà definitiva.
La precoce morte di Tommaso a Roma l’11 ottobre 1802 tolse i parenti da ogni imbarazzo.
Già dal 1799 spicca la quantità di opere di soggetto religioso uscite dalla tipografia, fra cui un’opera apologetica sulla S. Sede del futuro pontefice Gregorio XVI. Mentre gli ultimi e inesperti figli di Marco vivevano ancora nella casa di proprietà al vicolo de’ Leutari, nell’appartamento sopra la libreria in piazza Pasquino era subentrato ai Barluzzi il «mercante di libri» Pier Paolo Montagnani, al quale vanno fatte risalire alcune delle edizioni stampate a nome Pagliarini di questi anni, tra cui quelle sulle antichità romane di cui si occupava Guattani. Tra le ultime rilevanti opere uscite dalla tipografia è la Storia dell’Università degli studi di Roma del giurista Filippo Maria Renazzi, in quattro volumi (1803-06), dedicata dall’autore al cardinale Stefano Borgia, rappresentante della linea più intransigente nel Sacro Collegio. L’attività della tipografia cessò di fatto nel 1808; successiva all’annessione di Roma all’Impero napoleonico è solo una riedizione del 1810 sui rioni della città, in vista del riordinamento amministrativo. All’epoca la famiglia Pagliarini era ormai quasi estinta; restavano vedove e affini.
L’ingente patrimonio librario andò disperso in breve in più rivoli. La «libreria di Pallade» in piazza Pasquino dopo un secolo di esistenza ospitava nel 1809 un rigattiere e pochi anni dopo sarà stabile sede del ricco argentiere Vincenzo Bugarini. Quanto alla tipografia, il riordino delle attività editoriali stabilito dal governo napoleonico ne conferma l’esistenza, indicandovi nel 1811 come «successore» Michele Ajani, ma con gestione di Carlo Mordacchini, che aveva sede a Torre Argentina e sarà uno dei più attivi stampatori del primo Ottocento romano. Almeno dal 1825 la tipografia dei Pagliarini fu in possesso di un altro notevole stampatore, Giovanni Battista Cannetti, che vi tenne stamperia e libreria fino alla metà del secolo. Infine, l’edificio Pagliarini in vicolo de’ Leutari rimase indiviso tra gli eredi fino al frazionamento del 1820-22, con il migliore appartamento a disposizione del duca Francesco Sforza Cesarini, proprietario del teatro Argentina; ivi il duca ospitò alcuni compositori, tra cui Gioacchino Rossini (1815-16), che vi scrisse la partitura del Barbiere diSiviglia, come indica un’iscrizione in facciata.
Un bilancio sulla loro attività qualifica i Pagliarini tra i maggiori editori del Settecento romano, con pubblicazioni rilevanti per la storia della cultura e di pregevole veste grafica e libraria, in molti casi uscite a loro spese. Fin dalle prime fasi ambirono a un respiro europeo, mantenendo solidi contatti con le piazze editoriali di Parigi, Londra, Amsterdam, e dando voce ad alcuni protagonisti dei lumi settecenteschi nei più svariati campi del sapere (da Fontanini a Lancisi, da Stay a Boscovich, da Bottari a Mengs, da Winckelmann ai nuovi archeologi Fea e Visconti). Anche sotto il profilo quantitativo la loro produzione editoriale appare di tutto rispetto; Marcelli (2007), elenca 630 edizioni cui si può aggiungere qualche altra decina di testi, in una serie ultrasecolare comprensiva di splendidi volumi in grande formato, di opere in più tomi, di apparati iconografici d’alta qualità. Magnifiche tavole ornano testi di medicina e di antiquaria (tra essi l’opera di Giovanni De Vita sulle ricchezze altomedievali di Benevento, 1754-64, e quella di Paolo Antonio Paoli sulla riscoperta di Paestum, 1784); di grande interesse appaiono le tavole sui lavori del famoso capomastro Nicola Zabaglia (1743) e quelle delle Vite del Vasari a cura di Bottari (1759-60). Significativi furono quindi i rapporti dei Pagliarini con molti incisori; tra essi il nome famoso di Giuseppe Vasi, della cui immensa serie di stampe i Pagliarini pubblicarono sei dei dieci volumi tra il 1754 e il 1759. Per bellezza, Marcelli segnala la Raccolta di componimenti poetici per la monacazione di una figlia del conte Niccolò Soderini (1753), con 41 incisioni. Quanto ai generi, poco sotto il 30% del totale si collocano i testi teologici, morali e religiosi, quasi al 20% i classici, le lettere e la poesia, sopra al 15% i testi di antiquaria e storia dell’arte come pure quelli di storia civile ed ecclesiastica e di discipline affini (biografie, numismatica, araldica, sfragistica). A livello inferiore, ma pure consistente, giungono i testi scientifici e quelli di diritto, economia o politica; una sorprendente presenza hanno quelli di scienze librarie (bibliografia, storia della stampa, archivistica, cataloghi); un residuo 5% comprende infine generi molto vari (filologia, testi di lingua, filosofia, relazioni). A parte vanno ricordati i periodici: le Notizie letterarie oltramontane (pubblicate dal 1742, intitolate Giornale de’ letterati dal 1745 al 1760), i Monumenti antichi inediti (1784-89, più un volume nel 1805), antesignani delle riviste archeologiche ottocentesche, le Memorie per le belle arti (1785-88).
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