DELLA TORRE, Pagano
Figlio di Iacopo e nipote di Martino, detto il Gigante, conte di Valsassina, ci sono ignoti il luogo e l'anno di nascita. Il D. è nominato nelle fonti per la prima volta nel 1226 quando ebbe inizio la sua partecipazione alla vita pubblica milanese. In quell'anno i Comuni padani ostili a Federico II strinsero tra loro una lega in funzione antimperiale e, per consolidare l'intesa, Milano e Brescia, entrambe avverse allo Svevo, nel medesimo anno si scambiarono i podestà: a Milano venne Lanfranco "de Poncarali" e a Brescia resse tale carica il Della Torre. In questa veste il D. si recò a Verona per cercare di porre termine ad una controversia sorta tra Rizzardo conte di San Bonifacio e il Comune di Mantova da una parte e Ezzelino da Romano e il Comune di Verona, di cui Ezzelino era podestà, dall'altra. Durante la podestaria del D. venne iniziata a Brescia la costruzione del nuovo palazzo dei broletto e della piazza antistante, per la cui realizzazione il Comune dovette procedere ad acquisti ed espropri di case e terreni.
All'inizio del 1229 giunse a Milano il cardinale Goffredo di San Marco, che subito dopo si recò a Bergamo con l'incarico di porre termine alle violente lotte intestine divampate in città, tra la fazione dei Rivola e della Cuminella da una parte e quella dei Colleoni dall'altra: questi ultimi, a quanto pare, erano stati cacciati dalla città. Il cardinale, per riportare la calma e ristabilire l'ordine, fece eleggere come podestà il D., reduce dalla positiva prova data di sé a Brescia. I Colleoni, però, ripresero la lotta e il 19 maggio ottennero una vittoria sugli avversari tra Ponte S. Pietro e Brembate. Il 6 giugno il D. si impadronì di Mapello, ma pochi giorni dopo, il 22 dello stesso mese, i Colleoni, alleati con i Suardi un tempo loro rivali, fecero irruzione nei borghi cittadini, assaltarono l'altura di Santo Stefano, oggi Fortino, e la saccheggiarono. Il D. fu quindi costretto alla fuga, né fece più ritorno in città; la fazione vincitrice scelse come podestà un altro milanese, Rubaconte da Mandello.
Il 18 dic. 1234 il D. appare tra i sottoscrittori dell'alleanza tra Milano e il re dei Romani Enrico, figlio primogenito di Federico II, che si era ribellato al padre.
L'episodio è attribuito dal Fiamma al 1231 e dal Calco al 1233 con evidente errore di entrambi, dal momento che la ribellione di Enrico a Federico ebbe inizio solo a partire dal 1234. Il trattatoache prevedeva anche l'adesione di altre città, impegnava i Milanesi ad obblighi di fedeltà nei confronti di Enrico, alla difesa della sua persona, del suo onore e della sua corona in tutto il territorio lombardo, ma li esentava dal pagamento di tributi e dall'obbligo di fornire truppe fuori dai confini della regione. Esso consentiva loro inoltre di mantenere, senza modificarle, le alleanze contratte precedentemente, e, in primo luogo, quella che comunemente è detta lega lombarda, stretta, come si diceva, in funzione antimperiale. In cambio, Enrico prometteva ai collegati che avrebbe difeso sia Milano sia le città sue alleate, e che non avrebbe concluso alcuna pace senza la loro approvazione. Insieme con il D. sottoscrissero il trattato esponenti d'elle più importanti famiglie milanesi del momento, ad ulteriore conferma del prestigio sociale e politico di cui il D. godeva.
Gli eventi però non volsero a favore di Enrico e dei suoi alleati; Federico II, infatti, avuta rapidamente ragione del figlio, rivolse la propria vendetta contro le città che si erano collegate con il ribelle. Pertanto i podestà di Milano, Lodi, Novara, Alessandria, Como, Treviso, Padova, Bologna, Brescìa, Faenza e Ferrara si radunarono a Brescia, nel novembre del 1235, per rinnovare gli accordi della lega lombarda, accordi che furono conclusi nel palazzo del vescovo di quella città, Gualla. L'egemonia politica di Milano sull'area -interessata dalla lega si manifestava, tra l'altro, con la presenza di cittadini milanesi come podestà nel maggior numero possibile di città padane. Tra loro troviamo il D. il quale in quell'anno fu nuovamente podestà di Brescia. Il pontefice Gregorio IX si adoperò allora per giungere ad una composizione del contrasto tra gli alleati di Enrico e l'imperatore e a tale scopo chiamò presso di sé gli ambasciatori delle città della lega. Il tentativo trovò non poche difficoltà, ma Gregorio IX non desistette: ancora all'inizio del 1236 egli teneva presso di sé, a Viterbo, gli inviati di Brescia, Mantova, Cremona, Pavia, Parma, Forlì, Rimini, Modena, Milano. Tra gli ambasciatori presenti in Curia era il D. che rappresentava Milano. Non riuscendo a raggiungere alcun risultato, gli oratori abbandonarono la corte pontificia, e sia l'imperatore sia le città si prepararono alla guerra.
Gli scontri armati ebbero inizio pochi mesi dopo e proseguirono in modo episodico fino al termine dell'estate del 1237, quando Federico II sferrò l'attacco decisivo, culminato nella vittoria degli Imperiali a Cortenuova il 27 nov. 1237, alla quale seguì la vendetta dello Svevo, che, dopo averlo catturato ed esposto al pubblico ludibrio, fece uccidere (tra gli altri) il podestà di Milano Pietro Tiepolo, conte di Zara, figlio del doge di Venezia, Iacopo Tiepolo. Il D. si mise in luce proprio in margine a questa vicenda. Egli, infatti, accorse in aiuto dei Milanesi e presso Pontida raccolse i resti dell'esercito disperso e lo fece riparare in Valsassina, dove possedeva vasti feudi col titolo di conte, ereditato nel 1216 dal padre. Si racconta che egli si prodigò qui in ogni modo nei confronti dei rifugiati: fece curare i feriti, provvide tutti con generosità di ciò di cui avevano bisogno e li fece riacc.ompagnare a Milano. Tale gesto non fu dimenticato dai Milanesi che, come risulta dalla storiografia coeva e da quella successiva, mostrarono a lungo profonda fedeltà verso la famiglia Della Torre.
Per questo motivo, quando nel 1240, in seguito alle discordie interne tra la parte nobiliare e la parte popolare, quest'ultima pretese di darsi un capo che la guidasse e la proteggesse, il D. fu messo a capo della Credenza di S. Ambrogio, carica che rimase a lungo appannaggio della sua famiglia e che costituì la prima tappa sulla strada che condusse i Della Torre ad insignorirsi di fatto della città. Secondo il Fiamma, solo dopo la nomina a podestà del Popolo il D., che come dei resto era usanza diffusa, abitava nelle proprie terre in Valsassina, si trasferì a Milano.
Mentre il D. ricopriva la carica di capo della Credenza continuarono gli scontri tra i nobili da una parte e il popolo dall'altra. Entrambe le fazioni si raggrupparono intorno a nuclei di famiglie- che a loro volta si erano scelte un capo. Infatti, a fianco del D. si erano schierate le famiglie dei da Soresina, dei Crivelli, dei Pirovano, mentre aderivano all'altra parte i Visqonti, i Biraghi e altre famiglie nobili guidate dall'arcivescovo, il neoeletto Leone de Perego, succeduto al defunto Guglielmo Ruzzoli. I contrasti erano vivaci al punto che, scoppiata una nuova guerra con Pavia (il Giulini pone, però, quest'episodio al 1241 dopo la morte del D.), il popolo si rifiutò di impegnarsi nello scontro a fianco dei nobili. Costoro, che dapprima parvero riuscire vittoriosi, furono poi sopraffatti dai Pavesi, il che convinse i popolani ad intervenire anche se ormai tardivamente, ossia quando i Pavesi si erano già risolti ad abbandonare il campo portando con sé i prigionieri.
Per quanto riguarda l'opera di riorganizzazione interna della città, spetta al D. il merito di aver dato significativo incremento alla redazione del catasto, nel quale si sarebbero dovuti comprendere tutti i proprietari fondiari, laici ed ecclesiastici. In tal modo egli intendeva rendere possibile una più equa ripartizione dei gravami fiscali ed eliminare così uno dei motivi di maggiore malcontento popolare che era all'origine di aspre lotte intestine.
Il D. morì il 6 genn. 1241 e fu sepolto nel monastero di Chiaravalle, dove erano sepolti anche i suoi genitori e dove in seguito riposarono anche altri membri della sua famiglia.
Di lui si ricordano sei figli: Ermanno, Napoleone, detto Napo, signore di Milano, sconfitto dai Visconti nella battaglia di Desio e da questi ultimi catturato e fatto morire; Francesco, che fu spesso al fianco di Napo nelle vicende politiche milanesi; Caverna, Pagano e Raimondo, che fu vescovo di Como e dal 1273 patriarca di Aquileia.
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