PORCARI, Paganello
– Nacque intorno al 1140 da Ugolino del fu Paganello dei domini di Porcari, famiglia della media aristocrazia del territorio lucchese. La casata, le cui più antiche tracce risalgono agli albori del X secolo, in una prima fase non ebbe interessi patrimoniali a Porcari, centro della Piana lucchese appollaiato su un colle isolato posto sulla via Francigena, appena fuori dalle Sei Miglia. Le più precoci zone di radicamento furono quelle situate all’imbocco della Media Valle del Serchio (San Pietro e San Cassiano a Vico) e, più a settentrione, alla confluenza dello stesso fiume con il torrente Lima (Corsena, presso Bagni di Lucca).
All’inizio del secolo XI i da Porcari, benché da decenni afferissero alla clientela episcopale e fossero tra i grandi benefattori del Capitolo, a differenza dell’élite aristocratica cittadina non possedevano castelli né detenevano in livello dal vescovato il patrimonio e le decime di una pieve. Il salto di qualità avvenne nella seconda metà del secolo quando, dopo l’ingresso nel seguito dei Canossa, rilevarono la curtis incastellata di Porcari, di originaria pertinenza fiscale. Nei primi due terzi del XII secolo tale complesso patrimoniale fu trasformato dall’omonimo nonno di Paganello, il più importante vassallo matildico del versante toscano, in una curia signorile che si estendeva dalle Pizzorne all’antico lago di Sesto. Il dominato, all’interno di un generale progetto di riordino della marca di Tuscia, fu in seguito raccordato da Federico Barbarossa a uno dei distretti che aveva sottratto alle ingerenze della civitas di Lucca: la curia di Pescia Maiore.
Paganello prese le redini della famiglia, ora strutturata in una consorteria signorile (la domus Paganelli), alla morte del nonno, negli anni Settanta, assieme al fratello Ildebrandino e allo zio Ermanno. La casata, inserita in una fitta trama di reti consortili con altre famiglie dell’aristocrazia rurale e legata per via vassallatica al Comune di Genova e ai vescovi di Luni e Lucca, esercitava la propria influenza dal golfo della Spezia alla Valdinievole. Faceva parte di un soggetto politico composito che approfittò del sostegno e della legittimità fornita dall’Impero (fra il 25 e il 30 gennaio 1178 Paganello e lo zio Ermanno furono a Lucca e Pisa nel seguito del Barbarossa) per dialogare su un piano di sostanziale parità con i comuni cittadini e le dinastie comitali. Il 5 marzo 1185 Barbarossa inquadrò le casate signorili e le comunità rurali di Versilia e Garfagnana, variegato gruppo che includeva i domini de casa Porcaria, in un distretto amministrato dal marchese Guglielmo di Parodi. Quando Enrico VI, il 30 aprile 1186, confermò ai lucchesi la giurisdizione sulle Sei Miglia, assicurò ai signori versiliesi e garfagnini delle isole d’immunità. Fu da una posizione di forza che Paganello decise pertanto d’impegnarsi nella vita politica cittadina di Lucca, affiancando le famiglie della militia alla guida del Comune: nel 1187 egli fu il primo podestà della città.
La famiglia non giocava però sul solo scacchiere lucchese. Ogerio Pane ricorda come, sempre nel 1187, Paganello avesse condotto i domini di Vezzano e gli altri signori della Lunigiana all’assalto del castello genovese di Portovenere, stringendo alleanza con Pisa (il suo ingresso nella consorteria vezzanese era avvenuto per via femminile, forse tramite la moglie). Bernardo Maragone racconta sia della partecipazione di un Ermanno di Paganello, con buona certezza lo zio di Paganello, alle delegazioni pisane inviate al Barbarossa nel 1158 e nel 1175; sia delle doppie nozze celebrate nel 1178 dallo stesso Ermanno, fattosi cittadino pisano, con una da Ripafratta, e di suo figlio Guelfo a Roma con la principessa bizantina Eudossia, vedova di Oddo Frangipane. Paganello dovrebbe inoltre essere identificato con il Paganello del fu Ugo di Pagano de Pisa che nel 1164, sempre secondo Maragone, recuperò Cagliari, caduta nelle mani del giudice d’Arborea Barisone. Sebbene a cavallo fra XII e XIII secolo sia possibile individuare un ramo più vicino a Lucca (quello di Paganello) e un ramo più vicino a Pisa (quello di Ermanno) la coesione della stirpe non era in discussione: le diverse strategie spaziavano su un unico ampio orizzonte.
Paganello fu il primo esponente di una tradizione podestarile che, dopo l’improvvisa morte di Enrico VI, divenne per la casata la più compiuta espressione della tradizionale vocazione sovra-comunale: i da Porcari dovevano, infatti, la propria fortuna alla dedizione a un potere (incarnato prima dai marchesi, poi dagli imperatori) capace di coordinare e superare le singole realtà locali. Nella prima metà del XIII secolo vi furono podestà porcaresi in tutte le principali civitates della Toscana centro-settentrionale: Lucca, Pisa, Firenze, Pistoia, Siena, Volterra. Paganello fu podestà a Firenze nel biennio 1200-1201, durante la delicata fase delle guerre di Semifonte, e a Pistoia nel biennio 1206-1207. Il cugino Guelfo ricoprì tale incarico a Pisa nel biennio 1203-1204.
D’altra parte Paganello continuò a impegnarsi su tutti i fronti: in città, in campagna, sul mare. Nel Porcarese, mantenne il controllo del suo dominato signorile. In Lunigiana, con il figlio Ugolino, si trovò nuovamente a capo del consorzio dei da Vezzano (il primo fu podestà nel 1202; il secondo nel 1203). Nel Tirreno comandò un contingente di navi pisane che, nel 1205, faceva guerra di corsa in danno dei genovesi (in questo caso Ogerio Pane potrebbe, tuttavia, far riferimento al giovane cugino Paganello del fu Ermanno). A Lucca, la cronachistica tramanda il ruolo di primo piano della sua casata nelle convulse vicende politiche cittadine. Il nipote Ingherramo, figlio del fratello Ildebrandino, fu podestà nel 1200; lo stesso Ildebrandino nel 1201. Ancora Ingherramo, nel 1203, si pose alla testa del neonato movimento popolare che cacciò i milites dalla città, guidandolo nella battaglia di Montecatini. Nel 1208 o 1209 (in ciò non concordano Tolomeo e Sercambi) Paganello diede avvio a un crescendo di violenze che, culminate con l’uccisione del podestà e la distruzione di Porcari, si conclusero solo in seguito all’intervento di Ottone IV. Dopo questi eventi scompare dalla scena documentaria. Assieme agli altri consorti, ne raccolsero l’eredità e le sfide politiche, nel secondo decennio del Duecento, i tre figli: Orlandino, Ugolino e Gherardo detto Cavicchia.
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