PANNOCCHIESCHI, Paganello
PANNOCCHIESCHI, Paganello (Nello). – Figlio di Inghiramo, apparteneva al ramo della casata Pannocchieschi discendente da Mangiante di Ranieri II Pannocchia e denominato dal castello di Pietra, le cui rovine si trovano 12 km a nord-est di Scarlino.
La prima notizia su di lui risale al novembre 1263, allorché i rappresentanti dei diversi gruppi familiari della casata si sottomisero a Siena e consegnarono in garanzia come ostaggi i loro figli, tra i quali vi era appunto Paganello. Egli sembra ancora minorenne il 10 maggio 1274, quando con il consenso di tre suoi parenti maggiori di 25 anni, essendo già morto il padre, prestò il proprio assenso all’impegno preso da altri due Pannocchieschi di rimettere al Comune di Siena i contrasti con la città di Massa Marittima. Nel 1279 esercitò l’ufficio di podestà di Volterra.
Negli anni precedenti altri membri della casata avevano rivestito la stessa carica per grazia della Chiesa romana e del re Carlo I d’Angiò: il padre di Nello nel 1267 (subito dopo il ritorno di Volterra al guelfismo), Bernardino da Perolla nel 1271, Bernardino da Castiglione nel 1272 e Ranieri Cetra da Travale nel 1273.
Le notizie successive riguardano soprattutto l’attività militare al servizio dei senesi negli anni Ottanta. Tra il settembre 1284 e il febbraio successivo fu anche capitano della lega guelfa. Coinvolto il 26 giugno 1288 nell’agguato teso alle truppe senesi in marcia contro Arezzo dai ghibellini di quella città, comandati da Buonconte di Montefeltro, presso la Pieve al Toppo, sembra che si comportasse poco onorevolmente, lasciando la mischia con i suoi cavalieri.
Al 2 maggio dello stesso anno risale l’accordo che pose fine a una stagione di contrasti e guerre tra Paganello, i fratelli Mangiante e Jacopo, i rami della casata denominati da Castiglion Bernardi e da Travale, le stirpi maremmane dei signori di Rocca Tederighi, di Lattaia, di Buriano e dei conti di Biserno da una parte, e i signori di Sassoforte e i visconti di Trevinano e delle Rocchette dall’altra.
Alla fine degli anni Ottanta passò al servizio della contessa Margherita degli Aldobrandeschi e presto ne divenne l’amante: da questa relazione, durata due anni, nacque un bambino di nome Bindoccio, morto il 1° maggio 1300, la cui epigrafe funebre si conserva nella sagrestia della chiesa di S. Francesco di Massa Marittima.
È in questo contesto che si colloca la vicenda legata alla figura della Pia dantesca (Purgatorio, V, vv. 130-136). Gli antichi commentatori del poema indicarono l’uccisore della donna in Nello della Pietra; gli eruditi successivi hanno costruito una complessa narrazione, attribuendo Pia alla famiglia Tolomei e il suo assassinio alla volontà di Nello di liberarsi della moglie per sposare la contessa Margherita. Ma si tratta di congetture prive di fondamento. In primo luogo non è testimoniata l’esistenza di una Pia nella casata dei Tolomei, e neppure quella di una moglie di Nello con quel nome; inoltre Margherita era sposata con Guido di Monfort, dal 1287 imprigionato a Messina, e non avrebbe potuto quindi contrarre un nuovo matrimonio. Nel tentativo di risolvere il problema, Alessandro Lisini e Giulio Bianchi Bandinelli (1939), con una costruzione macchinosa e poco credibile, hanno identificato il personaggio dantesco con Pia di Ranuccio di Filippo Malavolti, moglie di Bertoldo detto Tollo del fu Gherardo di Gualfredo dei signori di Prata di Maremma, ucciso nel 1285 dai nipoti, e hanno interpretato i versi nel senso che il primo anello, quello della promessa di matrimonio, fosse stato dato alla donna dal procuratore del marito, indicato non si sa perché in Nello Pannocchieschi, e sarebbe stato questi a uccidere la donna dopo la conquista senese di Prata nel settembre 1289. Di Pia in realtà mancano notizie dopo tale data, ma i due autori immaginano, anche in questo caso senza prove documentarie, che ella fosse stata affidata a Nello.
Dai registri del papa Niccolò IV risulta che nell’estate del 1290 Nello, nella sua opera di difesa e rafforzamento della contea aldobrandesca, si era impadronito del castello di Pereta nella valle dell’Albegna, dal pontefice ritenuto spettante alla Chiesa romana, e di lì attaccava terre e uomini del patrimonio di S. Pietro in Tuscia, ricettando nel castello le prede rubate. Il pontefice organizzò un esercito contro Pereta, ma Nello aveva trovato ascolto presso il Comune di Firenze, che sulla questione aveva inviato ambasciatori al papa. La situazione stava diventando pericolosa per Margherita, che preferì avvicinarsi alla Chiesa romana, da cui deteneva la contea di Sovana, e ottenere da Niccolò IV il 10 luglio 1291 un amministratore e protettore nella persona di Benedetto Caetani, cardinale diacono di S. Nicola in Carcere Tulliano e futuro pontefice Bonifacio VIII.
Costui, una volta divenuto papa, ebbe un ruolo importante nelle successive vicende matrimoniali di Margherita, in cui ricompare il nome di Nello. Nel 1296 il pontefice fece sposare alla contessa un suo giovane pronipote, Loffredo detto Conticino, il quale in seguito, desideroso di passare a nuove nozze con la ricca ereditiera Giovanna di Fondi, trovò un pretesto per lo scioglimento del matrimonio, accusando Margherita di bigamia perché, vivente Guido di Monfort, aveva sposato Nello Pannocchieschi. Bonifacio VIII venne ovviamente incontro al desiderio del nipote e pose fine al malassortito matrimonio; poi, dopo la guerra condotta contro gli Aldobrandeschi e la confisca del loro feudo, impose a Margherita il matrimonio con Nello Pannocchieschi, nozze verosimilmente non avvenute, in quanto pare che egli avesse una moglie legittima. A ogni modo Nello approfittò della situazione per attaccare il patrimonio aldobrandesco caduto in potere di Orvieto, ma fu poi costretto ad accettare una pace infruttuosa.
Il 6 febbraio 1293 era stato eletto podestà di Montecastelli Valdera per il Comune di Volterra, ma aveva rifiutato l’incarico. Nel primo semestre del 1313 fu podestà di Lucca.
Per quanto riguarda il patrimonio, i Pannocchieschi detenevano dalla Sede Apostolica proprietà non identificate, di cui è ignota l’epoca di concessione e per le quali versavano un censo. Nel 1192 il loro nonno Ranieri II Pannocchia pagava quattro marabottini; un secolo più tardi, nel 1291, i tre rami della casata affermarono di averne un sesto ciascuno, quindi la metà in totale (non si conosce il destino dell’altra metà) e versarono complessivamente, per i 25 anni passati, 80 lire: Nello e il fratello Mangiante effettuarono il pagamento il 16 febbraio 1291.
Altri documenti si riferiscono a transazioni patrimoniali con rami della casata e all’esercizio di diritti signorili. Il 1° maggio 1287 Nello e il fratello Mangiante comprarono per 700 lire senesi il terzo di un quinto del castello di Gavorrano spettante al terzo fratello, Jacopo detto Giobolo. Il 26 dicembre 1303 Mangiante acquistò per l’ingente somma di 4000 fiorini da Dino di Bernardino da Castiglion Bernardi metà del castello di Pietra e una parte e mezzo delle 60 del castello di Gavorrano, insieme con altre 13 parti che Nello gli aveva donato, e inoltre la giurisdizione sui castelli di Gerfalco, Travale e Fosini. Sul castello di Gavorrano l’intera stirpe dei Pannocchieschi esercitava un’ampia e completa signoria, comprendente anche il diritto di sangue, come risulta da un atto del 4 novembre 1307 che enumera gli aventi diritto: oltre a Nello e al fratello Mangiante (il terzo fratello era defunto), compaiono gli altri due rami della casata, i da Perolla e da Castiglione Bernardi, e i da Travale. Infine, il 18 novembre 1320 sappiamo che Nello aveva prestato 11 lire e 5 soldi a Bernardino del fu Fuccio da Perolla, il quale aveva dato in garanzia la sua quota del castello di Gavorrano, che avrebbe potuto riscattare pagando la somma a Bindino del fu Ranieri da Sticciano, genero di Nello.
Il 9 febbraio 1322, nella camera della pieve di Gavorrano, Nello dettò un lungo e complesso testamento. Il documento offre un’importante serie d’informazioni su di lui, sulle violenze perpetrate, le attività illegittime, la rete degli interessi patrimoniali e dei legami intessuti con vari personaggi ed enti.
Il testatore scelse per la sepoltura la chiesa dei frati minori di Siena, cui lasciò il suo equipaggiamento militare e 1000 lire senesi per costruire una cappella per l’altar maggiore e un onorevole sepolcro per sé sulla facciata della chiesa o in altro luogo acconcio. In espiazione di quanto illecitamente sottratto destinò 1000 fiorini da suddividere tra i frati minori di Siena, di Grosseto, di Castiglione della Pescaia, di Piombino, di Massa e di Montieri, i domenicani di Siena, gli agostiniani di Sestinga, i monasteri di S. Trinità di S. Fiora (per i danni inferti durante la guerra), di Serena (per i danni procurati), di S. Galgano (in risarcimento di beni sottratti), i vescovi di Volterra, di Grosseto e di Massa per la loro porzione canonica, la chiesa di Travale (dove aveva fatto eleggere simoniacamente il rettore), la pieve di Gerfalco, la canonica di S. Nicola e la chiesa di S. Cosma presso Montieri, la pieve e la chiesa di S. Cosma di Gavorrano, le pievi di Pietra e di Perolla (per l’illecita detenzione di beni), l’ospedale della Misericordia di Siena. Istituì inoltre lasciti per gli agostiniani di Gerfalco e per la costruzione della chiesa di S. Andrea nel borgo di Montemassi; destinò all’ospedale di S. Maria di Siena il castello di Tatti per erigere in onore della Vergine e dei ss. Francesco e Lucia un ospedale presso Pentolina da sottoporre all’ente senese. Ancora per beni illecitamente ottenuti Nello aveva ricevuto come penitenza da Napoleone, cardinale diacono di S. Adriano, allora legato papale in Tuscia, di pagare per un anno intero le spese di un cavaliere ben equipaggiato in caso di una nuova crociata in Terra Santa, incarico da Nello affidato agli eredi e fidecommissari, i quali inoltre erano tenuti a risarcire chiunque dimostrasse di essere stato danneggiato e a soddisfare tutti i debiti.
Per quanto riguarda la famiglia, nel testamento Nello ricordò una precedente moglie Nera e previde lasciti per l’attuale moglie Bartala del fu Baldo di Cante della Tosa di Firenze e per un figlio illegittimo, avuto da tale Chiarina da Lucca; al fratello Mangiante destinò i diritti nel castello di Fosini e metà della quota del castello di Gerfalco; del resto del patrimonio – comprendente le quote nel pascolo di Pietra, nei castelli di Travale e Gerfalco, e il castello di Montemassi – nominò eredi le figlie, Bianca ancora minorenne (figlia di Bartala), Fresca, moglie di Bindino da Sticciano, e Francesca, sposata a Manuele conte di Elci. Istituì fidecommissari i rettori degli ospedali di Santa Maria e della Misericordia di Siena, la figlia Fresca, Baschiera di Bindo della Tosa e Neri del fu Ubertino da Gaville, cui affiancò come consiglieri due frati francescani e un monaco cistercense.
Nello era ancora vivo l’11 luglio 1322, quando dettò un codicillo per chiarire alcune questioni ereditarie e istituire qualche piccolo lascito. La sua morte dovette sopravvenire poco tempo dopo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico Comunità di Volterra; Archivio di Stato di Siena, Diplomatico R. Acquisto Gavazzi; Diplomatico R. Acquisto Giustini; Diplomatico Città di Massa; Diplomatico Riformagioni (Massa); G. Milanesi, Documenti intorno alla Pia de’ Tolomei ed a Nello Pannocchieschi, in Giornale storico degli Archivi toscani, III (1859), 5-6, pp. 30-45; Inventario del R. Archivio di Stato in Lucca, a cura di S. Bongi, II, 2, Lucca 1876, p. 312; Codice diplomatico della città d’Orvieto, a cura L. Fumi, Firenze 1884, p. 396; L. Petrocchi, Massa Marittima. Arte e storia, Firenze 1900, p. 159; Les registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, II, Paris 1905, nn. 7260, 7261; R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, II, Berlin 1906, nn. 1381, 1398, 1675, 1678, 1684; Le Liber censuum de l’Eglise romaine, a cura di P. Fabre - L. Duchesne, I, Paris 1910, p. 58a; G. Ciacci, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella Divina Commedia, Roma 1932, II, n. 654; A. Lisini, La Margherita Aldobrandeschi e il cavalier Nello della Pietra, in Bullettino Senese di Storia Patria, XXXIX (1932), pp. 249-283; A. Lisini - G. Bianchi Bandinelli, La Pia dantesca, Siena 1939; Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini, III, Siena 1940, nn. 847, 881, 988; R. Davidsohn, Geschichte von Florenz, Berlin 1896-1929, trad. it. Storia di Firenze, III, Firenze 1957, pp. 497-502; M.L. Ceccarelli Lemut, I podestà e i capitani del Popolo a Volterra dal 1253 al 1300, in Quaderno del Laboratorio Universitario Volterrano, X (2005-06), pp. 23-29.