PAESTUM (Pesto)
Detta dai Greci Poseidonia, dagl'Italici Paistom e Poistos, dai Romani Paestum, situata nella parte più orientale del golfo di Salerno (ant. golfo Poseidoniate), a 9-10 km. dalla foce del Sele (ant. Silaros), nel territorio della Lucania e al confine settentrionale della regione che nel sec. IV a. C. si usò chiamare Magna Grecia, fu una delle più ricche e fiorenti colonie greche dell'Italia meridionale lungo la costa occidentale del Tirreno. La sua fondazione da parte dei Greci di Sibari si dovette al bisogno che i Sibariti ebbero di aprirsi una via commerciale fra lo Ionio e il Tirreno attraverso la dorsale dell'Appennino, evitando il giro di circumnavigazione della costa calabra e lo stretto di Messina. Lao, colonia anch'essa di Sibari, rappresentò il primo sbocco del commercio sibaritico sulla sponda del Tirreno; Poseidonia, non lontana da un fiume navigabile, quale era, nel suo ultimo corso, il Silaros, e nel mezzo di una pianura ricca ma paludosa, in condizioni cioè singolarmente analoghe a quelle della madrepatria, segnò l'ultima stazione del commercio di Sibari verso le popolazioni italiche dell'Enotria e verso i Tirreni di Etruria che, nel secolo VII-VI, non potendo avere libero sbocco nel golfo di Napoli, s'eran0 spinti, per la gola di Cava e di Vietri, nell'agro che si disse in seguito Picentino, fino alla sponda del Silaros. Sorta da esigenze del commercio marittimo, tale carattere essa mantenne in tutta la sua lunga vita di città greca, italica e romana.
L'origine della città va collocata verso il principio del sec. VI a. C. Ma è indubbio che la fondazione della città fosse preceduta dall'impianto d'una fattoria commerciale sulla sponda sinistra e presso la foce del Silaros, e che le condizioni malariche del terreno inducessero poi i primitivi coloni a spostare il centro abitato più verso oriente, su un banco calcareo leggermente eminente sulla pianura e sul litorale, lungo il corso di un altro minore fiume (fiume Salso o Capofiume). Dall'impianto primitivo sul Silaros si sviluppò il porto marittimo e fluviale della città e presso di esso sorse il tempio di Era Argiva, che diventò presto uno dei più grandi e venerati santuarî dell'Italia antica: circa 50 stadî separavano la città dallo Heraīon e dal suo emporio sul fiume.
Alcuni storici (E. Pais) ritengono che, avendo i Trezenî partecipato alla fondazione di Sibari ed essendo stati poi espulsi dagli stessi Sibariti, ai profughi Trezenî si debba il primo impianto di Poseidonia; altri (E. Ciaceri), seguendo più fedelmente la tradizione storiografica, che fa di Poseidonia una colonia achea di Sibari, non dà all'eventuale partecipazione dei Trezenî il valore di elemento preponderante.
Del periodo della colonia greca (VI e V sec. a. C.) unica testimonianza sono i resti monumentali della città (mura, templi), gli scarsi avanzi dello Heraīon venuti in luce nel 1934 e la monetazione; ma l'essere sopravvissuta alla distruzione di Sibari (anno 510 a. C.) e l'avere mantenuto, anche dopo la battaglia di Cuma (anno 474) e il conseguente arretramento degli Etruschi, la sua funzione di grande emporio agricolo e marittimo di tutta la pianura del Sele e della Lucania, contenuta solo, per una maggiore espansione verso mezzogiorno, dalla rivalità della già amica e alleata Velia, mostra che alla fortuna della città dovette contribuire un lento processo di assimilazione fra coloni greci e popolazioni italiche.
Divampato, negli ultimi decennî del sec. V, il vasto movimento di unificazione etnica delle stirpi italiche contro le colonie greche della Campania e della Lucania, anche Poseidonia (verso l'anno 400 a. C.) cadde in potere dei Lucani, che iniziarono il rafforzamento e la graduale trasformazione della cinta murale della città e ne italicizzarono il nome in quello di Paistos o Paistom. La riscossa degl'Italioti federati contro gl'Italici e la prima vittoriosa incursione di Alessandro il Molosso, re dell'Epiro, contro Sanniti e Lucani fino al Sele, dette nuovamente la città in potere dei Greci, ma per poco: ché, vinto e ucciso Alessandro nel paese dei Bruzî, tornò Paestum in pieno e incontrastato dominio dei Lucani (331-330 a. C.). A questo secondo assoggettamento si deve riferire la notizia di Strabone, che accenna a un mutamento della costituzione interna della città (VI, 254).
Poco più di un secolo dopo, quando, con la partenza di Pirro dall'Italia e con la resa di Taranto, si poteva considerare ormai chiusa la lotta con l'elemento greco e finito il duello mortale con i Sanniti, Roma si affrettò a fondare a Paestum una colonia latina (273 a. C.), sottraendone il territorio alla lega lucana, ma con nessun altro onere all'infuori di quello di fornire in caso di bisogno un contingente di navi e di marinai alla flotta romana (socii navales). La fedeltà serbata dalla città durante i più gravi momenti delle guerre puniche guadagnò a Paestum la riconoscenza di Roma, tanto che quando, dopo la lex Iulia, forse anche Paestum divenne municipium o quando, come sembra, nell'età sillana, fu ridotta da colonia latina a colonia cittadina, essa mantenne unica il privilegio di battere moneta di bronzo fino al tempo di Augusto e di Tiberio.
Nel tardo impero è ancora attestata la floridezza della città per il commercio di cereali e di olî che vi affluivano dalla pianura e dai monti. Ma la malaria, che alcuni geologi (De Lorenzo) attribuiscono a fenomeno di subsidenza del litorale pestano, finì per ricacciare nuovamente le popolazioni italiche sui monti: e Paestum, dopo aver vissuto nell'età barbarica una grama vita di città semideserta, con una piccola comunità cristiana raccolta intorno al tempio di Cerere, venne saccheggiata e distrutta nelle incursioni dei Saraceni del sec. IX: i superstiti si rifugiarono sulle vicine pendici dell'Alburno, nella località che prese nome dalla sorgiva dell'acquedotto antico Caput aquae (Capaccio), e il centro politico e commerciale della regione si trasferì a Salerno e ad Amalfi.
Monumenti. - Le mura. - La cinta murale si svolge presso che intatta per un perimetro di 4700 metri, e costituisce una delle più grandiose e meglio conservate opere di fortificazione che presentino le città greche della Magna Grecia e della Sicilia. Solo di recente le mura di Paestum sono state messe completamente in luce e rese visibili e percorribili in ogni loro parte. Più chiaramente dei templi e dei monumenti pubblici della città, esse documentano con la presenza di più cortine murarie, addossate l'una all'altra, di torri a pianta circolare, semicircolare e quadrata, con le modifiche più radicali subite dalle porte, i due periodi della vita della città: greco l'uno, anteriore alla fine del secolo V, lucano l'altro dei secoli IV-II a. C., in cui, dall'effimera riconquista di Alessandro il Molosso alle guerre puniche, l'opera di rafforzamento e di parziale rifacimento dovette essere viva e intensa. La cinta murale si svolge in forma di un pentagono, con il lato minore volto verso la linea della costa, lungo il margine di un terrazzo formato da un banco calcareo, tagliato o verticalmente o a scarpata in modo da accrescere la difesa delle mura; al piede di queste correva un fossato; la cortina murale è intramezzata da torri ed è attraversata da numerose postierle di età greca e lucana. Delle 4 porte che si aprono in corrispondenza delle due arterie principali della città, la Porta Sirena, così denominata dall'emblema che decora la chiave d'arco, conserva ancora l'antico fornice intatto di età lucana la Porta Marina, più massiccia e più possente di difese, offre nelle torri circolari del sec. V e nei bastioni rettangolari del sec. III la più chiara documentazione delle due fasi struttive della fortificazione pestana.
I templi. - Paestum sopravvive nel mondo della cultura e dell'arte soprattutto per la meraviglia dei suoi tre templi, ancora emergenti dall'austera solitudine della pianura del Sele entro la cerchia delle mura; innanzi alla mutila rovina del tempio di Apollo a Metaponto, all'isolata colonna di Era Lacinia a Crotone, essi costituiscono il più organico complesso architettonico che sia rimasto nelle città della Magna Grecia e, insieme con i templi della Sicilia, una delle più alte e possenti espressioni dell'architettura greca nelle colonie di Occidente. Infine, per quanto più particolarmente riguarda le forme struttive e architettoniche del tempio greco, i tre templi di Poseidonia vengono a rappresentare tre periodi dello sviluppo dell'architettura dorica in Italia, dall'età del pieno arcaismo (la cosiddetta Basilica), alla piena maturità dello stile dorico (Tempio di Posidone), attraverso una fase intermedia (Tempio di Cerere). I due templi maggiori s'elevano singolarmente l'uno accanto all'altro, nel mezzo di una grande piazza (l'antico témenos); il terzo, minore, isolatamente, nel settore nord-occidentale e su una lieve eminenza del terreno.
La costruzione è tutta ricavata dal travertino locale, più duro e grigio negli edifici arcaici della basilica e del tempio di Cerere, più tenero e di una calda patina dorata nel tempio di Posidone: elementi delle cornici e della sima sono invece tratti da materiale più tenero, arenario, simile al poros usato nell'età arcaica in Grecia.
La Basilica, così impropriamente denominata dai primi studiosi e disegnatori del sec. XVIII per la quasi totale sparizione dei muri della cella, del frontone e della trabeazione e per l'aspetto basso e uniforme che offre il suo colonnato, è il tempio più arcaico della città, dedicato probabilmente anch'esso a Posidone. È un periptero con 9 colonne sul fronte (enneástylos) e 18 sui lati (largh. 24,35, lungh. m. 54): la cella (m. 13,52 × m. 40,27) ha ben conservato il pronao, meno riconoscibile l'opistodomo, dove da alcuni si vedrebbe anche un ádyton comunicante con il naós; in corrispondenza del numero dispari delle colonne sul fronte, la cella è bipartita da un colonnato centrale, in parte conservato e destinato a sostenere il culmine del tetto. I caratteri arcaici della costruzione risultano soprattutto, planimetricamente, dalla relativa scarsa prevalenza della lunghezza sulla larghezza, dall'ampiezza dell'ambulacro che divide la peristasi delle colonne dai muri della cella (m. 4,03) e, architettonicamente, dalla limitata altezza delle colonne (m. 4,68), dalla strettezza dell'intercolunnio (m. 1,54), dall'espediente arcaico del colonnato mediano a sostegno delle travature del tetto e, carattere ancora più evidente, dall'accentuato rigonfiamento del fusto della colonna (éntasis) e dalla forma emisferica schiacciata dell'echino del capitello. Singolare particolarità, fra tutti i monumenti dell'architettura dorica, offre qui e nel tempio di Cerere il collarino del capitello, profondamente incavato e decorato di foglie baccellate e talvolta contornate sulla curva dell'echino da una fascia di fiori di loto e di rosette. A m. 9,10 dal fronte si elevano ancora i resti del grande altare, in forma di rettangolo allungato (m. 21,50 per m. 6,26). Negli scavi del 1912 si raccolsero molti elementi della decorazione fittile: la costruzione viene attribuita alla metà del sec. VI a. C.
Il Tempio di Cerere è così denominato dalla scoperta di statuette fittili in terracotta che si ritiene rappresentino questa dea. È un piccolo, elegante periptero esastilo (di 6 × 13 colonne), che continua, in forme più mature, la naturale evoluzione struttiva e architettonica della Basilica (largh. m. 13,14, lungh. m. 31,52); conserva peraltro, a differenza della Basilica, sui lati corti, parte della trabeazione e dei frontoni con pioventi a cassettoni. La cella (m. 7,82 × 23,63), preceduta da un assai profondo pronao, e ad unico vano senza navata, non ha opistodomo; la colonna (m. 5,89) offre nel collarino del capitello la stessa decorazione a foglie baccellate che si osserva nella Basilica; a m. 29,80 dal fronte è la grande ara di tipo arcaico. Gli scavi del 1928-29 hanno messo pienamente in luce la grande ara e lo stereobate del tempio e ricuperato parte della stipe; lungo i lati di nord e di est affiorano rozze costruzioni dell'abitato medievale di Paestum con materiali e pezzi architettonici raccolti da varî edifici. Età: ultimi decennî del sec. VI a. C.
Più armonicamente possente e grandioso, con la trabeazione, il coronamento e i frontoni intatti nella linea della peristasi, con le strutture anch'esse presso che integre della cella, il Tempio di Posidone viene concordemente considerato come l'esempio più perfetto dell'architettura dorica templare in Italia e in Grecia. La calda coloritura che ha assunto naturalmente al sole e agli agenti atmosferici il travertino poroso delle colonne e della trabeazione, al di sopra del travertino freddo e grigio dello stereobate, mentre non lascia rimpiangere gli splendenti marmi dell'Attica e delle isole greche, fa di questo tempio una delle meraviglie del paesaggio monumentale dell'Italia meridionale.
È un grande periptero esastilo su 14 colonne di lato; resta quasi eguale la larghezza frontale rispetto all'enneástylos (m. 24,14), ma cresce notevolmente in proporzione la lunghezza (m. 59,88): ampio è ancora l'ambulacro tra il colonnato del periptero e la cella (m. 3,30), ma è cresciuta l'altezza della colonna (m. 8,89) e la sua rastremazione, mentre quasi del tutto sparita è la caratteristica éntasis del fusto; l'echino del capitello, non più emisferico, comincia ad assumere la forma regolare di un tronco di cono, senza peraltro la rigida geometralizzazione delle forme doriche più tarde; l'intercolunnio, più arioso, si apre per l'ampiezza di m. 2,43. La cella, composta di pronao, naós e opistodomo, ha il naós diviso in tre navate da due colonnati a doppio ordine, su cui venivano a poggiare le capriate del tetto. Addossati allo stereobate, sul fronte orientale, sono gli avanzi di una gradinata semicircolare e, poco discosto, affiorano i resti di un'ara per sacrifizî, di proporzioni minori delle are della Basilica e del Tempio di Cerere. La costruzione è attribuita alla metà del sec. V a. C.
Il Foro italico. - Mentre l'area sacra, in cui si elevano i due maggiori templi, ci offre un'immagine grandiosa di quel che era la città greca dei secoli VI e V, a poca distanza più a nord, all'incrocio delle due arterie principali del cardine e del decumano (che ricorrono sullo stesso allineamento del piano regolatore greco), la grande e ariosa piazza del Foro italico con il suo porticato, i suoi edifici pubblici e con l'innumerevole serie delle sue taberne allineate sotto i portici, rispecchia nettamente il diverso carattere della città italica e romana, quale si venne formando dal tempo della conquista lucana 1400 a. C.), e, soprattutto, dall'insediamento della colonia latina (273). Orientato con l'asse maggiore da est a ovest, con edifici pubblici e sacri al centro dei lati maggiori, e forse anche lungo i lati minori, esso risulta più grande del foro di Pompei (largh. m. 57; lungh. m. 150). Centro religioso del Foro era il cosiddetto Tempio della Pace su alto podio, con colonne di ordine corinzio e capitello composito figurato, per forme e orientazione nettamente diverso dai templi greci (sec. III a. C.): la maggior parte delle colonne e dei capitelli venne nell'età normanna trasportata a Salerno e utilizzata in una sala capitolare dell'Episcopio. Accanto al tempio italico, in un edificio circolare a forma di cavea, è da vedere probabilmente l'antico ekklesiastérion della città greca o della prima epoca lucana. Dall'opposto lato del Foro erano gli edifici della Curia italica e romana, e una terma imperiale (sec. III-IV d. C.), e, infine, al di fuori dell'area del Foro, attraversato nel suo mezzo dalla via nazionale, è tuttora riconoscibile il perimetro dell'anfiteatro romano.
Monetazione. - La più completa documentazione della vita politica ed economica di Paestum e dei suoi privilegi di colonia latina è data dalla sua monetazione, che si estende ininterrottamente per ben sei secoli di vita, dalla metà del sec. VI a. C. al regno di Tiberio. Se ne indica qui schematicamente lo sviluppo secondo la classificazione di B. V. Head (Historia numorum, 2ª ediz.).
1° Periodo: anni 550-470: stateri e drammi incusi con la figura di Posidone in atto di vibrare il tridente e l'iscrizione retrograda pos (v. fig., n. 1): simili per tipo alle monete incuse delle altre città achee, se ne differenziano invece nettamente per il peso e il sistema divisionale, in quanto seguono il sistema ponderale di Reggio e delle colonie focesi: in alcune monete una leggenda lungamente discussa dà forse il nome dell'ecista Is dell'achea Elice.
2° Periodo: anni 470-400: in seguito alla distruzione di Sibari, all'immissione di nuovi coloni della madrepatria, e ad un nuovo orientamento politico-commerciale, si abbandona il sistema ponderale focese per quello della città d'origine e delle colonie achee; e dal conio incuso si passa al conio a rilievo con i tipi di Posidone e del toro. Alla leggenda poseidaniatan (v. fig., n. 2, verso), più o meno abbreviata, si accompagna talvolta la discussa leggenda seila (v. fig., n. 2, recto), nella quale si vedrebbe da alcuni l'indicazione delle feste Seilaria così dette dal fiume Silaros. Alla fine di questo periodo appare il nuovo tipo monetale con la testa di Era Argiva, analoga a quella delle monete dello stesso tipo di Neapolis, di Hyria, di Fistelia e derivata dal tipo di Era Lacinia.
3° Periodo: monetazione lucana e romana: con monete ancora argentee e leggenda paistano fra il 300 e il 268; con monetazione bronzea e leggenda pais (in lettere greche e romane e indicazione della valuta secondo il sistema divisionale romano) nel periodo fra il 268 e l'89 a. C.; con le leggende paes e pae e il nome dei duumviri e di altri magistrati municipali, nel periodo fra l'89 a. C. e il regno di Tiberio. Le ultime monete della zecca pestana recano chiaramente indicato il privilegio concesso dal Senato con la sigla P.S.S.C = Paesti signatum senatus consulto. (V. tavv. CLVII e CLVIII).
Scavi e scoperte. - A differenza degli altri grandi centri antichi della Campania, non si ebbero a Paestum, durante il periodo del reame, esplorazioni e scavi metodici, ma solo scoperte fortuite dovute alle prime opere di bonifica e a ricercatori clandestini: fa eccezione il cosiddetto Tempio della Pace, di cui nel 1830 si mise in luce il perimetro e si riconobbero i pochi elementi architettonici superstiti, ancora in situ; nel 1805, ripulendosi l'area intorno ai due templi maggiori per creare fra essi una via di comunicazione, si raccolse una grande quantità di materiali archeologici, dei quali peraltro non si tenne debito conto per lo studio di quegli edifici; nel 1854 a Spinazzo, nell'area della necropoli a sud della città, si scoprì fortuitamente una tomba con dipinti, la cosiddetta Tomba del Guerriero, che è tra i monumenti più preziosi della pittura murale preromana, e altre tombe con armature e vasellame italiota furono segnalate nel 1864. Scavi regolari vennero iniziati nell'area dei templi e lungo il lato meridionale del Foro negli anni 1907-14; sono stati attivamente ripresi dall'anno 1928, con il concorso degli enti locali, in modo da metter pienamente in luce tutto il perimetro delle mura e tutt'intera l'area del Foro; nel 1934 si è iniziata l'esplorazione dello Heraīon presso il Sele.
Bibl.: Riproduzione dei templi in: G. B. Piranesi, Antiquités de la Grande Grèce, Parigi 1804-07; R. Morghen, Sei vedute delle rovine di Pesto, Napoli 1766; P. Paoli, Rovine della città di Pesto detta ancora Posidonia, Roma 1874; C. M. Delagordette, Les ruines de Paestum ou Posidonia... levées, mesurées et dessinées sur les lieux, Parigi 1798; A. Labrouste, Les Temples de Paestum. Restauration exécutée en 1829, Parigi 1877; R. Koldewey e O. Puchstein, Die griechischen Tempel in Unteritalien u. Sicilien, Berlino 1899 (Die Tempel von Paestum, I, pp. 11-34, e II, tavv. II-IV). Per la storia delle scoperte pestane: M. Ruggiero, Degli scavi di antichità nelle provincie di terraferma, Napoli 1888, pp. 459-76, e rapporti varî nel Bull. di Corr. dell'Istituto archeologico e nelle Not. scavi; sono in preparazione studî e relazioni sulle scoperte dell'ultimo ventennio. Monografie e dissertazioni storico-topografiche d'interesse antiquario sono: G. Antonini, La Lucania. Discorsi (parte 2ª, pp. 213-279); discorso 3°, Di Pesto), Napoli 1745; G. Bamonte, Le antichità pestane, Napoli 1819; un vivace capitolo storico e descrittivo è in Fr. Lenormant, À travers l'Apulie et la Lucanie, II, Parigi 1883, pp. 167-224. Per la storia e l'esame critico delle fonti: E. Pais, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, Torino 1894; E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, Roma 1928-33; per il periodo delle origini della colonia greca cfr. A. W. Bywanck, De Magnae Graeciae hist. antiquissima, L'Aia 1912, p. 109; sulla condizione giuridica della città nell'età romana, A. Marzullo, La statua di Marsyas e la colonia latina di Paestum, in Atti Soc. ital. per il progresso delle scienze, Roma 1932; per la topografia: Th. Kluge, Studien zur Topographie v. Paestum, in Class. Philology, IV, p. 57; sui dipinti delle tombe pestane v. soprattutto: F. Weege, in Arch. Jahrb., XXIV (1909), p. 99 segg.; sulla monetazione: R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, Roma 1885, II, pp. 175-78, tavv. CXX-CXXII; B. V. Head, Hist. num., 2ª ed., Oxford 1911, pp. 80-82; e il Catalogue of the Greek Coins in the Brit. Museum: Italy, Londra 1873, p. 265 segg.