Abstract
Dalla autonoma nozione giuridica di “paesaggio”, emersa e definita per genere e differenza rispetto alle contigue materie dell’urbanistica (governo del territorio) e dell’ambiente, derivano conseguenti regimi giuridici differenziati, in termini di riparto delle competenze, di natura e disciplina degli istituti di tutela – individuazione, pianificazione, gestione del vincolo, sanzioni - e di limiti alla semplificazione procedimentale. L’autonomia della nozione giuridica e la differenza di trattamento giuridico degli istituti non sono frutto di mera sistematizzazione astratta, ma derivano dall’adesione alla realtà dei fenomeni osservati e si traducono in una specifica policy pubblicistica, coerente rispetto a tali specifici presupposti.
La nozione giuridica autonoma di “paesaggio” è emersa in diritto italiano nella prima metà del XX secolo in un contesto culturale idealistico-crociano nel quale le espressioni di eccellenza estetica della forza creatrice della natura (le bellezze naturali) erano considerate e trattate giuridicamente in modo analogo alle espressioni di eccellenza estetica della capacità creatrice dell’uomo (le cose d’arte). Nella tradizione giuridica italiana, dunque, la tutela dei beni paesaggistici è stata impostata sin dalle origini sulla falsariga di quella delle cose d’arte (così la l. 16.7.1905, n. 411, sulla tutela della pineta di Ravenna, la successiva legge “Croce” 11.6.1922, n. 778, sulla difesa delle bellezze naturali, fino alla legge “Bottai” 29.6.1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, “gemella” della l. 1.6.1939, n. 1089, sulle “cose d’arte”: Alibrandi, T., Beni culturali, I) Beni culturali e ambientali, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988, 2; Cartei, G.F., Il paesaggio, in Cassese S., a cura di, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Milano, 2003, II, 2110, nt. 2; ma già D’Amelio, M., La tutela giuridica del paesaggio, in Giur. It., 1912, 129 ss.). Il modello è quello della individuazione di un immobile o della perimetrazione di un’area e dell’assoggettamento al previo controllo autorizzativo, in funzione di controllo di compatibilità, di ogni intervento antropico idoneo anche in astratto a recare pregiudizio ai valori tutelati (questo modello si inquadra oggi nello schema degli artt. 41 e 42 Cost.).
Questa impostazione venne poi arricchita e integrata nella più moderna visione storico-sociale fatta propria dalla Commissione Franceschini (commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio, istituita con la l. 26.4.1964, n. 310, la cui dichiarazione XXXIX della relazione finale propone una peculiare definizione di beni culturali ambientali, nella quale le bellezze naturali diventano paesaggio storico).
Nella seconda metà del secolo scorso è emersa l’esigenza di una visione più ampia, di sistema, del paesaggio, che andasse al di là della pregressa visione elitaria ed estetico-vedutistica, per quanto arricchita in una chiave di lettura storico-sociale e antropologica, che restava imperniata sulla considerazione puntuale e frammentaria di singole aree o di specifici immobili di notevole interesse paesaggistico. Emergeva l’esigenza di accedere a una visione integrata della qualità paesaggistica diffusa di tutto il territorio (anche se, in realtà, già nella l. n. 1497/1939, vi era la previsione, nell’art. 5, dei piani paesistici, introduttivi di una visione di impostazione urbanistica declinata in previsioni di zonizzazione e di disciplina dell’uso antropico di alcune aree vincolate).
La Convenzione europea del paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con l. 9.1.2006, n. 14, estende la nozione di paesaggio a «tutto il territorio delle Parti», compresi «gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani ... i paesaggi terrestri, le acque interne e marine»; considera altresì «sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati».
Il codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 (d.lgs. 22.1.2004, n. 42, e successive modificazioni) ha incluso (art. 2, co. 1) i beni paesaggistici, insieme ai beni culturali, nella più ampia nozione di patrimonio culturale. L’unitarietà dei due complessi normativi era stata del resto recepita già nel previgente testo unico di cui al d.lgs. n. 490 del 1999. Essa trova fondamento nel testo dell’art. 9, co. 2, Cost. (Cecchetti, M., Art. 9, in Bifulco, R., Celotto, A., Olivetti, M., a cura di, Commentario alla Costituzione, Milano, 2006, 217 ss.; Settis, S., Paesaggio, Costituzione, cemento, Torino, 2010, 194 ss., 219 ss.; Id., Architettura e democrazia, Torino, 2017, 11 ss.; Montanari, T., a cura di, Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente, Torino, 2013; Severini, G., Artt. 1-2, in Sandulli, M.A., a cura di, Codice dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Milano, 2012, 3 ss.; critica invece questa assimilazione Stella Richter, P., La nozione di patrimonio culturale, in Foro amm. – CdS, 2004). Il parallelismo (beni culturali – beni paesaggistici) si spinge fino alla configurazione, anche per i beni paesaggistici, di una nozione di “valorizzazione”, anche se, nella parte III del codice di settore dedicata al paesaggio, la valorizzazione assume un significato diverso rispetto a quello che essa riveste nel campo dei beni culturali (Casini, L., La valorizzazione del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2014, 385 ss.)
La Corte costituzionale se, da un lato, nel dirimere conflitti di competenza tra lo Stato e le Regioni, ha introdotto riflessioni e concetti utili alla distinzione (sentenze 21.12.1985, n. 359; 27.6.1986, n. 151; 22.5.1987, n. 183; 28.7.1995, n. 417; 23.7.1997, n. 262), dall’altro lato ha sempre posto l’accento sulla necessaria unitarietà e sintesi di visione (con la sentenza 26.11.2002, n. 478, richiamando le precedenti sentenze 1.4.1998, n. 85 e 27.7.2000, n. 378, la Corte ha affermato che «la tutela del bene culturale è nel testo costituzionale contemplata insieme a quella del paesaggio e dell’ambiente come espressione di principio fondamentale unitario dell’ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo e tali forme di tutela costituiscono una endiadi unitaria»). Più di recente, a partire dalla sentenza 7.11.2007, n. 367 (seguita da una coerente serie numerosa di pronunce successive: 30.5.2008, n. 180; 27.6.2008, n. 232; 29.5.2009, n. 164; 17.3.2010, n. 101; 4.6.2010, n. 193; 22.7.2011, n. 235; 23.11.2011, n. 309; 23.3.2012, n. 66; 13.6.2013, n. 139; 18.7.2013, n. 211; 24.7.2013, n. 238; 11.7.2014, n. 197; 18.7.2014, n. 210; 17.4.2015, n. 64; 5.6.2015, n. 99; 29.1.2016, n. 11; 16.9.2016, n. 210; 11.5.2017, n. 103), la Corte ha meglio distinto i diversi campi di materia («Sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientali (fruizione del territorio), che sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni. La tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali»). In plurime sentenze ha altresì qualificato in termini di norme di grande riforma economico-sociale le previsioni del codice in tema di aree vincolate ex lege (art. 142), di co-pianificazione paesaggistica (art. 143), di preminenza gerarchica del piano paesaggistico (art. 145) e di autorizzazione paesaggistica (art. 146).
In dottrina, il punto di partenza della discussione sulla nozione giuridica di paesaggio è costituito dal fondamentale saggio del Giannini del 1973 dal titolo «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici (Giannini, M.S., «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 15), che (forse per primo) ha posto il tema della polisemia della nozione di “ambiente” (in senso ampio e metagiuridico), nei suoi tre aspetti (che oggi) indicheremmo con i termini paesaggio, ambiente, urbanistica.
La distinzione concettuale tra paesaggio, ambiente e urbanistica-edilizia non è questione solamente teorico-definitoria, ma ha ricadute applicative rilevanti (sul regime sostanziale e processuale degli istituti giuridici rientranti nell’uno piuttosto che nell’altro ambito di materia) e nasce dalla realtà delle cose e dei fenomeni sociali osservati. Essa si lega a due diversi orientamenti generali circa il ruolo del diritto pubblico nelle tematiche lato sensu ambientali: una prima visione, più specifica e conservativa, fondata sul modello della tutela in senso proprio (modello dell’eccezione del patrimonio culturale); una seconda visione, più generica e orientata all’idea della crescita e dello sviluppo, fondata sul modello della gestione sostenibile dello sviluppo del territorio. La tensione dialettica tra queste due diverse visioni (che, peraltro, non sono opposte, ma complementari) si cristallizza nella definizione delle categorie giuridiche fondamentali della materia, ossia nella distinzione tra paesaggio (rilevanza paesaggistica dell’intero territorio, ivi inclusi i paesaggi urbani, compromessi e degradati e le everyday areas) e beni paesaggistici (porzioni territoriali e/o marine che esprimono un notevole interesse paesaggistico, appositamente selezionate con specifico provvedimento o per legge) nella dialettica tra piano e vincolo (tutela dinamica, tutela statica), sullo sfondo della questione centrale di quale modello di diritto amministrativo (di quale policy pubblica) sia da prediligere nella cura degli interessi pubblici ambientali e, in particolare, paesaggistici (consensualismo, localismo, legittimazione politica delle scelte vs. autoritatività, centralismo, legittimazione tecnica delle scelte). Il modello “vincolistico”, incentrato sulla tutela, non esclude necessariamente la crescita, ma pone la questione della “qualità” della crescita, di quale sia in realtà la crescita “giusta”, rispettosa dell’identità di paesaggi italiani (la cui buona conservazione costituisce in sé il presupposto per un crescita di qualità).
Il primo modello (quello della tutela in senso proprio) è costruito sull’idea della tutela come regime speciale del bene, secondo il paradigma che recente dottrina ha presentato come paradigma dell’eccezione del patrimonio culturale (Severini, G., Artt. 1-2, in Sandulli, M. A., a cura di, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., 31 ss.). Il secondo modello (della gestione sostenibile dello sviluppo del territorio) tende, invece, a risolvere il problema della salvaguardia del paesaggio nell’ambito di una gestione integrata del territorio, nella quale lo sviluppo tenga nel debito conto l’esigenza di protezione del paesaggio (il paesaggio tende a diventare un aspetto del governo del territorio; Stella Richter, P., I principi fondamentali del diritto urbanistico, Milano, 2002, 142; Cugurra, C.-Ferrari, E.-Pagliari, G., a cura di, Urbanistica e paesaggio, Atti dell’VIII Convegno nazionale AIDU, Parma, 18-19 novembre 2005, Napoli, 2006; Torregrossa, G., La tutela del paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n. 431, in Riv. giur. ed., 1986, II, 7; Cavallo, B., Profili amministrativi della tutela ambientale: il bene ambientale tra tutela del paesaggio e gestione del territorio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, 397). Tale ultimo modello può, in taluni casi, tendere a sfociare in una visione panterritorialista, sospinta nella sostanza dal regionalismo e impostata culturalmente sull’idea del Predieri (Predieri, A., Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969; Id., Paesaggio, in Enc. Dir., XXXI, Milano, 1981, 514), ancorché recepita in modo parziale, del paesaggio come forma del territorio (l’idea guida del paesaggio come “forma del territorio” creata dalla comunità umana che vi è insediata, con una continua interazione della natura e dell’uomo, infatti, se da un lato mostra di considerare il paesaggio un fenomeno della cultura, lì dove per l’appunto il paesaggio è inteso come forma visibile del territorio, in contrapposizione all’ambiente come sostanza invisibile, dall’altro ha però fornito le basi concettuali per la linea di pensiero panurbanistica, dominante nella seconda metà del secolo scorso, attraverso l’idea per cui «la regolazione del paesaggio e del territorio è generale e globale»).
Per una corretta comprensione di questa tematica occorre ricordare che la ragione primigenia dell’affermarsi di una disciplina speciale paesaggistica è sempre stata costituita dal bisogno sostanziale e concreto di una tutela (conoscenza, conservazione, protezione) di parti del territorio di speciale interesse sovraurbanistico minacciate da trasformazioni potenzialmente incompatibili; in altri termini, la logica interna della tutela paesaggistica, dal 1905 (l. n. 411/1905 di tutela della pineta di Ravenna), al 1922 (legge “Croce” n. 778/1922), al 1939 (legge “Bottai”, n. 1497/1939) e fino alla legge “Galasso” del 1985 (d.l. 27.6.1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella l. 8.8.1985, n. 431), che è stata, come è noto, anche una reazione al “condono” edilizio della legge n. 47 del 1985, è sempre stata quella della eccezione del patrimonio culturale, come deroga al regime di libertà-proprietà di diritto privato di uti - frui del bene in funzione di protezione del valore di interesse generale in esso contenuto, e ciò mediante l’esercizio di una sorta di dominio eminente pubblico (Giannini, M.S., I beni pubblici, Roma, 1963, nonché Id., I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, 20 ss.), mediato da un atto d’autorità di riconoscimento del valore e di imposizione del connesso titolo pubblico sul bene (Carpentieri, P., Regime dei vincoli e Convenzione europea, in Cartei, G.F., a cura di, Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2007, 135 ss.).
La distinzione tra urbanistica, ambiente e paesaggio è dunque radicata nei fatti e nei concetti prima che nel diritto, ancorché possa apparire – soprattutto all’osservatore non giurista – controfattuale, perché in apparente contraddizione con l’unitarietà olistica del dato fenomenico di natura: il territorio è uno, e uno dovrebbe essere il suo regime giuridico. La distinzione è ad esempio criticata da chi (Settis, S., Architettura e democrazia, cit., passim; Id., Paesaggio, Costituzione, cemento, cit., 194 ss., 219 ss.), volgendo dall’esterno il suo sguardo alla materia, rileva che «il vizio di origine dell’ordinamento italiano ... è il mancato raccordo tra tutela del paesaggio e leggi urbanistiche». La distinzione può altresì apparire in contrasto con le esigenze di semplificazione favorevoli allo sviluppo e alla crescita, poiché il principio di differenziazione, con la distribuzione delle competenze tra i diversi livelli di governo, può determinare aggravi burocratici indesiderati, non sempre risolvibili con gli strumenti dell’autocertificazione, del silenzio-assenso e della conferenza di servizi. Il tema della dialettica (conflittuale) tra tutela e semplificazione amministrativa costituisce una costante irrisolta delle ultime legislature (in tutte le legislature, almeno a partire dalle riforme della fine degli anni ’90 del secolo scorso, tra le quali è sufficiente ricordare la legge così detta “Bassanini”, dal nome dell’allora Ministro della Funzione pubblica (l. 15.5.1997, n. 127), che introdusse per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico il silenzio-assenso nella materia del patrimonio culturale, istituto poi espunto da questo settore di materia dal codice del 2004 e oggi, sia pur con limiti e in varia guisa, riammesso dalla l. 7.8.2015, n. 124).
E tuttavia la distinzione e l’autonomia giuridica della nozione di paesaggio (e del connesso regime giuridico), nella logica delle tutele parallele per interessi differenziati (Cerulli Irelli, V., Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, 389 e 427 ss.; Urbani, P., Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in Le Regioni, 1986, 665; Id., Ordinamenti differenziati e gerarchia degli interessi nell’assetto territoriale delle aree metropolitane, in Riv. giur. urb., 1990, 609), appaiono preferibili nell’attuale dibattito nella materia, per le diverse ragioni che si indicheranno nei successivi paragrafi. Peraltro, occorrerebbe avviare una critica adeguatrice di questa linea teorica, nel senso che gli interessi differenziati meritano e richiedono, sì, tutele distinte e autonome, ma non necessariamente parallele, nel senso che le diverse tutele differenziate devono in qualche modo incontrarsi e dialogare tra loro nella ricerca di un punto di sintesi unitaria: In tal senso appare fecondo l’indirizzo evolutivo indicato da recente dottrina (Chirulli, P., Urbanistica e interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, in Dir. amm., 2015, 51 ss., 109 ss.) di una tecnica dell’integrazione scalare tra le pianificazioni, nel quadro di una pianificazione territoriale integrata, verso un nuovo punto di equilibrio tra urbanistica e interessi differenziati.
È dunque agevole comprendere, venendo al secondo profilo, come lo studio dell’autonomia della nozione giuridica di paesaggio e della sua distinzione per genere e differenza specifica dall’urbanistica-governo del territorio e dall’ambiente costituisca una pre-condizione per la comprensione dei regimi giudici differenziati che da tale nozione e distinzione derivano come conseguenze logiche. A tal fine è utile considerare partitamente la distinzione rispetto alla nozione di urbanistica e rispetto alla nozione di ambiente.
La distinzione tra paesaggio e urbanistica-governo del territorio (nonostante la persistenza della visione panurbanistica) è ormai stabilizzata. Essa ha dovuto superare la spinta “panterritorialista”, sviluppatasi sull’abbrivio della normativa degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, che ha avuto un suo momento di forte propulsione nello sforzo di accorpamento delle materie compiuto in occasione della realizzazione del pluralismo autonomistico regionale. Il d.P.R. 24.7.1977, n. 616, attuando il principio sancito dall’articolo 1 dalla legge delega 22.7.1975, n. 382, ha tentato, come è noto, al fine di razionalizzare i trasferimenti e le deleghe regionali, di raggruppare le funzioni amministrative in “settori organici”. In tal modo la materia dei “beni ambientali” finì per essere collocata nel settore organico dell’assetto ed utilizzazione del territorio (così la rubrica del titolo V del citato d.P.R. n. 616/1977). È da notare che negli anni ’70 non era ancora nato il Ministero dell’ambiente (istituito con l. 8.7.1986, n. 349) e non era ancora maturata la consapevolezza dell’autonomia del diritto dell’ambiente. Inoltre l’art. 80, d.P.R. n. 616/1977 ha forgiato, in questo contesto, la nota nozione estesa di “urbanistica” come inclusiva delle funzioni amministrative relative alla «disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente». Questa impostazione onnicomprensiva è transitata, pur con talune incertezze e contraddizioni, nel d.lgs. n. 112/1998 e, suo tramite, nel nuovo Titolo V della Costituzione del 2001. La legge “Galasso” del 1985 (d.l. 27.6.1985, n. 312), soprattutto con la scelta di puntare sui piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesaggistici, collegati geneticamente al modello dei piani territoriali di coordinamento regionali previsto dall’art. 5 della legge urbanistica del 1942, oltre che con la nota introduzione del criterio “geografico” di protezione del paesaggio, aggravò la tendenza unificatrice. Un altro “formante” di notevole rilievo nella linea territorialista è costituito dal contributo dei “tecnici” (non giuristi, gli urbanisti, architetti e ingegneri), che hanno sempre posto al centro della loro riflessione l’idea per cui il territorio è uno e unica deve essere la sua disciplina (secondo la massima aurea “dell’un territorio, una autorità”: Stella Richter, P., I principi del diritto urbanistico, Milano, 2006, 26 ss.). Ma ormai è chiaro che il paesaggio non è un mero aspetto del governo del territorio e si distingue dall’urbanistica (che è fruizione del territorio). Lo ha ribadito la Corte costituzionale in numerose sentenze (In particolare, nella già citata sentenza n. 309/2011). Lo impone, peraltro, la Convenzione europea del paesaggio del 2000, che obbliga gli Stati aderenti al riconoscimento giuridico di una autonoma nozione di paesaggio.
Anche rispetto alla nozione di ambiente la distinzione appare ormai chiara. Il codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 ha definitivamente superato l’ambigua locuzione “beni ambientali” usata dalla legislazione precedente (e, purtroppo, anche dal nuovo Titolo V della Costituzione).
È già a livello pregiuridico, delle scienze sociali, che la distinzione tra paesaggio e ambiente si è andata chiarendo e solidificando, con approcci metodologici estesi nei più ampi settori della geografia, della storia, della semiotica (Clementi, A., a cura di, Interpretazioni di paesaggio, Roma, 2002; Scazzosi, L., a cura di, Politiche e culture del paesaggio (esperienze internazionali a confronto), Roma, s.d., ma 1999; Turri, E., Antropologia del paesaggio, Milano, 1974; Id., Semiologia del paesaggio italiano, Milano, 1979; Tosco, C., Il paesaggio come storia, Bologna, 2007). Queste indicazioni hanno reso chiaro che il paesaggio è qualcosa che attiene, per così dire, alla res cogitans, più che alla res extensa, alla semiosfera, più che alla ecosfera, riguardando la comprensione identitaria del contesto, più che la tutela delle matrici ambientali. Il paesaggio si collocherebbe (volendo operare un richiamo alla nota teoria dei tre mondi di Popper: Popper, K. R.: I tre mondi. Corpi, opinioni e oggetti del pensiero, Bologna, 2012) nel “mondo 3” (il mondo dei contenuti oggettivi di pensiero), piuttosto che nel “mondo 1” (il mondo degli oggetti e degli stati fisici). Questa impostazione si è inoltre efficacemente coniugata con la specificità della realtà del paesaggio italiano, che è soprattutto paesaggio storico, fortemente antropizzato, in cui l’opera dell’uomo si lega indissolubilmente alla natura. Ed è questo peculiare aspetto che differenzia nettamente l’esperienza del paesaggio italiano rispetto ai modelli ambientali e territorialisti dei paesi nordeuropei e anglosassoni (diversità di approccio testimoniata dalla stessa «diversa matrice terminologica neolatina – paesaggio, paysage, paisaje», dal neolatino pagus, «che sottolinea i caratteri del luogo costruito – e germanico-anglosassone – landscape, landshaft, landscap, etc., come luogo in cui una società è insediata e trae le proprie risorse»). In realtà questa distinzione ricorre soprattutto tra la visione nordamericana (American Wilderness; sistema, introdotto da Theodore Roosevelt, dei National Parks, dei National Monuments e delle National Forests) rispetto a quella più in generale europea (anche in Germania è invero radicata e molto risalente nel tempo l’idea dei Denkmaler der Natur, der Kunst, der Geschiste, dove i monumenti della natura sono posti sullo stesso piano di quelli della cultura e della storia: su tali profili cfr. Settis, S., Architettura e democrazia, cit., 31 ss.; la prima legge francese di tutela del paesaggio, 21.4.1906, si riprometteva di organiser la protection des sites et monuments naturels de caractere artistique). Le definizioni di “paesaggio” e di “beni paesaggistici” contenute negli articoli 2 e 131 del codice, incentrate sui valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici espressi dal territorio, mostrano una chiara consapevolezza di queste importanti acquisizioni degli studi extragiuridici sulla nozione di paesaggio.
Resta vero che alcuni segmenti di materia “ambientale”, ascritti, nell’ordinamento giuridico italiano, a competenze diverse da quella dedicata al patrimonio culturale, quali la valutazione d’impatto ambientale e la disciplina delle aree naturali protette, si pongono obiettivamente lungo la linea di confine tra “ambiente” e “paesaggio” e intercettano porzioni e profili di rilevanza propriamente paesaggistica. Così come, d’altra parte, in diritto unionista europeo (dove l’Unione ha una competenza “forte” in materia di ambiente, ma non ha una competenza diretta in materia di patrimonio culturale e di paesaggio) vi è una significativa tendenza a sovrapporre i due campi di materia. E tuttavia la stessa Corte di Giustizia dell’UE ha di recente avuto modo di affrontare questo nodo e di scioglierlo con grande chiarezza, nel senso della distinzione, anche nel diritto europeo, delle due nozioni (C. giust. UE, X, 6.3.2014, causa C-206/13).
L’idea pre-giuridica dell’unitarietà inscindibile in rerum natura del territorio come forma visibile (dell)e matrici ambientali (unità inscindibile tra forma e sostanza, tra concetto e contenuto fenomenico) rende, per chi non opera nel diritto, non agevole cogliere fino in fondo il senso della distinzione. Così come sembra resistere alla distinzione l’idea olistica e sistemica che tende metodologicamente a riunire, unificare (ma, alle volte, anche a confondere) in un unico insieme coeso e interdipendente i fenomeni osservati. Ma la distinzione risiede già nelle cose, nel “mondo 1”, nell’oggettivo, e non (solo) “nel mondo 3”, nell’intersoggettivo; essa, inoltre, in ambiente giuridico, trae origine dal principio di legalità come principio di organizzazione e di divisione (weberiana) del lavoro e delle competenze.
La “riscoperta” della radice culturale del valore paesaggistico sembra in definitiva costituire la linea ricostruttiva più feconda nella duplice direzione, da un lato, della più profonda comprensione del senso e del carattere proprio del paesaggio italiano nella costante “rilettura” che ne hanno fatto le arti figurative e letterarie del Paese, dall’altro lato, della (conseguente) riaffermazione di regole e tutele “speciali” (anche sul piano delle competenze) per la gestione del territorio paesaggisticamente rilevante.
Il senso più profondo della distinzione “paesaggio-ambiente” può essere esplicitato nella differenza di prospettiva tra i punti di vista della prima e della terza persona, per cui l'ambiente costituisce la prospettiva della terza persona – le cose, il mondo fisico che descriviamo in modo oggettivo – mentre il paesaggio rappresenta la prospettiva della prima persona – il significato del territorio per come lo percepiamo in modo soggettivo (Scruton R., Il volto di Dio, Milano 2013, 37, in particolare cap. V, Il volto della terra, 113 ss.). Il paesaggio è il significato che io-noi percepiamo nel territorio, per le sue caratteristiche significanti (come bene evidenziato nella stessa definizione data dall’art. 131 del codice di settore). Il paesaggio ha una sua sintassi, una sua grammatica (uno dei compiti fondamentali del piano paesaggistico dovrebbe consistere proprio nel definire le regole della sintassi e della grammatica di un paesaggio). La nozione giuridica di paesaggio nasce, dunque, non (solo) per un atto positivo d’autorità normativa (lex), ma come prodotto della confluenza e della sintesi di diverse tradizioni e nozioni metagiuridiche sul tema e vanta pertanto profonde radici epistemiche e logiche, oltre che storiche (ius).
Vi sono, come anticipato, importanti conseguenze applicative che derivano dall’acquisita autonomia della nozione giuridica di paesaggio per genere e differenza rispetto ai settori confinanti dell’urbanistica e dell’ambiente-ecosfera, nonché dalla sua netta connotazione culturale.
In primo luogo il principio di differenziazione. Iscritto nell’art. 118 Cost., esso implica il riconoscimento del principio del contraddittorio applicato alla dialettica tra beni-interessi-funzioni pubblici e si sintetizza nel rilievo della necessità di garantire una distanza minima del decisore rispetto all’agone politico locale. Il principio di prossimità vale, infatti, per l’erogazione di beni e servizi ai cittadini, ma non per le funzioni di tutela (Carpentieri, P., Principio di differenziazione e paesaggio, in Riv. giur. ed., 2007, 3., 71 ss.). Le scelte di tutela paesaggistica non sono negoziabili nello scambio politico di breve periodo, ma esigono la lungimiranza del lungo periodo (che spesso solo l’oggettivazione tecnica può assicurare; da qui la dialettica non risolta tra tecnica e politica, in questa materia). Il metodo applicativo del principio di differenziazione si articola nella compartecipazione necessaria dello Stato in tutti e tre i momenti fondamentali attraverso i quali si declina la funzione di tutela del paesaggio: individuazione (dichiarazione, vincolo), pianificazione e gestione/controllo (autorizzazioni, sanzioni). L’idea sottesa a questo principio è che il paesaggio si pone in un certo senso come “costituzione” del territorio (Marzuoli, C., Il paesaggio nel nuovo Codice dei beni culturali, in Aedon, Rivista di arti e diritto on line, n. 3/2008), in quanto sua “invariante strutturale”. Come tutte le costituzioni la “Carta del paesaggio” (i piani paesaggistici) deve prevedere un valore rinforzato e procedure aggravate di modifica.
Il principio di differenziazione si traduce in una distinzione delle competenze: in Italia l’urbanistica-governo del territorio è materia regionale, l’ambiente fa capo a un apposito Ministero, nonché a una pluralità di enti territoriali e locali (comuni, province, ARPA, Aziende sanitarie locali), il paesaggio spetta alla competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Questa “frammentazione” è criticata da alcuni, perché genera complicazioni contrarie ai principi di semplificazione, ma è necessaria per governare in modo razionale la complessità del reale.
Il principio di differenziazione si lega altresì al principio di sussidiarietà orizzontale, che incoraggia e riconosce la partecipazione della cittadinanza attiva, che assume un ruolo essenziale nella tutela del paesaggio.
Negli anni ’90 del secolo scorso si era affermata l’idea che il piano paesaggistico, come tutela dinamica e integrale del territorio, potesse e dovesse superare nel suo insieme sistematico la logica dei vincoli, imperniata sull’individuazione e la dichiarazione di interesse pubblico di definite porzioni di territorio, caratterizzate da qualità paesaggistiche speciali.
Questo approccio, secondo il quale il paesaggio non era altro che un aspetto del governo del territorio-urbanistica, era storicamente legato a una visione di urbanistica di espansione, nella quale il problema era quello di garantire la qualità paesaggistica dello sviluppo e della crescita dell’edificato. Questa impostazione risulta oggi superata, prima ancora nei fatti che nelle teorie, poiché l’acquisita consapevolezza dell’esaurimento del suolo inedificato, risorsa scarsa e non riproducibile per eccellenza, ha imposto un cambio di passo verso un’urbanistica e un’edilizia orientate prevalentemente alla rigenerazione urbana e alla riqualificazione di territori compromessi e degradati (periferie urbane), volta cioè al recupero e al più razionale utilizzo del gray field. In questa nuova visione, il paesaggio, lungi dal costituire un aspetto laterale dell’urbanistica, diviene il perno attorno al quale ruota l’intera pianificazione e programmazione dello sviluppo antropico dei territori.
In questo mutato contesto si inquadra perfettamente l’idea secondo la quale il piano, lungi dal riassorbire e dal superare i vincoli, ne costituisce lo strumento di sistematizzazione, di razionalizzazione, di coordinamento. Il vincolo è in linea di massima irretrattabile nel suo nucleo valutativo di merito: allorquando la tutela abbia dichiarato il valore paesaggistico di determinati territori, tale accertamento non è suscettibile di arretramento e di riesame o revoca (salvo l’annullamento per motivi di illegittimità e salve le misure di semplificazione connesse al piano paesaggistico che qualifichi tali aree e immobili come compromessi e degradati: art. 143, co. 4, del codice di settore).
Il vincolo dichiara l’intrinseco valore di interesse generale della porzione territoriale considerata. Non ha natura espropriativa, ma conformativa. La sua natura giuridica, più che alla teorica delle limitazioni pubbliche della proprietà privata, si riferisce alla coesistenza di un titolo pubblico con quello utile privato (con possibili riferimenti alla teorica dei beni comuni; parte della dottrina parla di “diritto al paesaggio”: Cortese, W., a cura di, Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, Atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007, Napoli, 2008). Il vincolo assoggetta le trasformazioni antropiche (che possano arrecare pregiudizio a tale valore) al regime di controllo autorizzativo in funzione di verifica di compatibilità (o di conformità al piano) dell’intervento. Le violazioni – sia solo formali (omessa autorizzazione), sia sostanziali (effettivo pregiudizio arrecato al bene vincolato) – sono sottoposte a sanzioni amministrative (pecuniarie e reali: ripristino dello stato dei luoghi, presidiata, dal 2004-2006, dalla severa previsione di divieto di sanatoria postuma) e penali (contravvenzione, nei casi minori, delitto nei casi più gravi, puntiti con pena congiunta, pecuniaria e detentiva).
Il regime autorizzatorio, in forza di un’apposita previsione inserita nell’art. 146 del codice dalla riforma del 2008 (d.lgs. 26.3.2008, n. 63), si differenzia in una procedura ordinaria (art. 146) e in una procedura semplificata per gli interventi di lieve entità (allegato 1 al d.P.R. 9.7.2010, n. 139, ora sostituito dall’allegato B al d.P.R. 13.2.2017, n. 31, che ha aggiunto anche una casistica – allegato A – di interventi irrilevanti o di minima entità sottratti alla previa autorizzazione paesaggistica e sottoposti a un controllo ex post).
In secondo luogo è importante svolgere alcuni corollari applicativi della nozione giuridica di paesaggio riguardo alla logica formale delle decisioni di tutela e, quindi, riguardo ai limiti di applicabilità in questo campo degli strumenti di semplificazione e di autocertificazione. In sintesi: la distinzione tra paesaggio e ambiente-ecosfera aiuta a comprendere, tra l’altro, perché i provvedimenti (autorizzativi) afferenti alla prima materia (patrimonio culturale) non sono autocertificabili e non tollerano il silenzio-assenso, mentre quelli afferenti alla seconda materia (ambiente) sono invece normalmente autocertificabili e assentibili per silentium: la spiegazione è contenuta nel fatto che i primi operano nel quadro logico-linguistico proprio delle scienze umane, fatto di giudizi di valore opinabili (non autocertificabili), che vivono nello spazio logico delle ragioni (Sellars, W., Empirismo e filosofia della mente, 1956, trad. it. di E. Sacchi. Torino, 2004; Searle, J. R., Creare il mondo sociale, Milano, 2010); i secondi operano nel quadro logico-linguistico proprio delle scienze esatte, descrittive del “mondo 1”, quello delle cose e dei fatti, attenendo alle matrici ambientali: essi predicano stati delle cose ed eventi del mondo fisico e usano il linguaggio e la logica descrittivi della fisica, della chimica, della biologia. Si tratta di un limite logico e linguistico, prima ancora che giuridico: è possibile autocertificare fatti, non opinioni.
Queste notazioni devono valere naturalmente “in linea di massima”, posto che, non c’è dubbio, ben può accadere che nel campo ambientale emergano questioni “opinabili”, implicanti giudizi tecnico-discrezionali di compatibilità, e in quello culturale questioni “certificabili”, implicanti meri accertamenti vincolati di conformità; resta peraltro sottinteso che la distinzione tra “scienze esatte” e “scienze deboli”, come quella storicistica tra “scienze della natura” e “scienze dello spirito”, distinzione in realtà superata nel dibattito filosofico (si veda, ad esempio, Putnam, H., Fatto/valore; fine di una dicotomia, trad. it. di G. Pellegrino, Roma, 2004), è qui richiamata solo per il profilo euristicamente ancora fecondo che da essa può utilmente trarsi ai fini di una migliore comprensione della logica formale interna del sillogismo che viene ad essere costruito nelle une - accertamenti tecnici - e nelle altre - scelte interpretative opinabili - decisioni amministrative.
Tuttavia, l’art. 3 della recente l. 13.8.2015, n. 124 sembra estendere anche ai così detti “interessi sensibili” il silenzio-assenso tra pubbliche amministrazioni (in realtà la riforma del 2015 riguarda solo i concerti interistituzionali fra pubbliche amministrazioni, ma non anche le procedure finalizzate al rilascio di titoli autorizzativi a privati, ancorché richiesti tramite sportelli unici: Cons. St., Commissione speciale, parere 13.7.2016, n. 1640).
La riforma della conferenza di servizi – ad opera della medesima legge n. 124 del 2015 e del conseguente decreto delegato 30.6.2016, n. 127 – ha infine spostato in periferia la soluzione dei conflitti, autorizzando l’autorità procedente (o il rappresentante unico di governo) a superare anche il dissenso dell’autorità preposta alla gestione di interessi “sensibili”, tra cui quelli inerenti la tutela del patrimonio culturale, e gravando il Ministro di settore dell’onere di opporsi alla decisione e di portare l’affare al Consiglio dei Ministri. È dubbio a questo punto che si possa ancora predicare la primarietà e assolutezza di questi valori-interessi: la legge ha abdicato alla gerarchizzazione e ha demandato il bilanciamento al livello di singolo affare amministrativo, della singola procedura e, dunque, alla discrezionalità (a questo punto non più tecnica) del rappresentante unico e dell’autorità procedente.
Costituzione, art. 9; d.lgs. 22.1.2004, n. 42, recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio; d.l. 27.6.1985, n. 312, convertito, con modificazioni, nella l. 8.8.1985, n. 431; l. 9.1.2006, n. 14, di ratificata ed esecuzione della Convenzione europea del paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000; d.P.R. 13.2.2017, n. 31.
Alibrandi, T., Beni culturali I) beni culturali e ambientali, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988; Amorosino, S., Introduzione al diritto del paesaggio, Roma-Bari, 2010; Assini, N., Urbanistica e tutela dell’ambiente nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Giur. cost., 1983, 1058; Barbati, C., Il paesaggio come realtà etico-culturale, in Aedon. Rivista di arti e diritto on line, al sito http://www.aedon.mulino.it, n. 2/2007; Bermejo Latre, J. L., La Pianificazione del Paesaggio, San Marino, 2002; Cartei, G.F., La disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, 1995, 2 e ss.; Id., Il paesaggio, in Cassese, S., a cura di, Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Milano, 2003, II, 2110 ss.; Id., a cura di, Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2007, 135 ss.; Cavallo, B., Profili amministrativi della tutela ambientale: il bene ambientale tra tutela del paesaggio e gestione del territorio, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, 397; Carpentieri, P., La nozione giuridica di paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2004, 405 ss.; Id., Regime dei vincoli e Convenzione europea, in Cartei, G.F., a cura di, Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2007, 135 ss.; Casini, L., La valorizzazione del paesaggio, in Riv. trim. dir. pubbl., 2014, 385 ss.; Cecchetti, M., sub art. 9, in Bifulco, R.-Celotto, A.- Olivetti, M., a cura di, Commentario alla Costituzione, Milano, 2006, 217 ss.; Cerulli Irelli V., Pianificazione urbanistica e interessi differenziati, in Riv. trim. dir. pubbl., 1985, 389 e 427 ss.; Chirulli, P., Urbanistica e interessi differenziati: dalle tutele parallele alla pianificazione integrata, in Dir. amm., 2015, 51 ss.; Clementi, A., a cura di, Interpretazioni di paesaggio, Roma, 2002; Cortese, W., a cura di, Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, Atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007, Napoli, 2008; Cugurra, C.-Ferrari, E.-Pagliari, G., a cura di, Urbanistica e paesaggio, Atti dell’VIII Convegno nazionale AIDU, Parma, 18-19 novembre 2005, Napoli, 2006; D’Amelio, M., La tutela giuridica del paesaggio, in Giur. It., 1912, 129 ss.; Giannini, M.S., «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, 15; Grisolia, M., Bellezze naturali, in Enc. Dir., V, Milano, 1959, 80 ss.; Küster, H., Piccola storia del paesaggio, trad. it. di C. D’Alessandro, Roma, 2010; Immordino, M., La dimensione «forte» della esclusività della potestà legislativa statale sulla tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del 2007, in Aedon. Rivista di arti e diritto on line, n. 1/2008; Montagna, A., Paesaggio, in Enc. Giur. Treccani, Roma, 2007; Parpagliolo, L., La difesa delle bellezze naturali in Italia, Roma, 1923; Piperata, G., Paesaggio, in Barbati, C.-Cammelli, M.-Casini, L.-Piperata, G.-Sciullo, G., Diritto del patrimonio culturale, Bologna, 2017, 243 ss.; Predieri, A., Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano, 1969; Id., Paesaggio, in Enc. Dir., vol. XXXI, Milano, 1981, 514; Scazzosi, L., a cura di, Politiche e culture del paesaggio (esperienze internazionali a confronto), Roma, s.d., ma 1999; Sciullo, G., Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, in Aedon. Rivista di arti e diritto on line, n. 3/2008; Settis, S., Architettura e democrazia, Torino, 2017; Id., Paesaggio, Costituzione, cemento, Torino, 2010, 194 ss., 219 ss.; Severini, G., Artt. 1-2, in Sandulli, M.A., a cura di, Il codice dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Milano, 2012, 3 ss. e 31 ss.; Stella Richter, P., I principi fondamentali del diritto urbanistico, Milano, 2002, 142; Id., La nozione di patrimonio culturale, in Foro amm. – CdS, 2004; Torregrossa G., La tutela del paesaggio nella legge 8 agosto 1985, n. 431, in Riv. giur. ed., 1986, II, 7; Tosco, C., Il paesaggio come storia, Bologna, 2007; Turri, E., Antropologia del paesaggio, Milano, 1974; Id., Semiologia del paesaggio italiano, Milano, 1979; Urbani, P., Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in Le Regioni, 1986, 665; Id., Ordinamenti differenziati e gerarchia degli interessi nell’assetto territoriale delle aree metropolitane, in Riv. giur. urb., 1990, 609.
Attribuzione: [Public domain], attraverso Wikimedia Commons