PADOVANINO
. Alessandro Varotari, detto il P., pittore, nacque a Padova il 14 aprile 1588; morì nel 1648. Fu fratello minore di Chiara, anch'essa pittrice e alunna del padre, anch'egli pittore (veronesiano seguace del Montemezzano): Dario. Di questo non poté essere discepolo Alessandro, troppo giovane: egli seguì invece il tizianesco Damiano Mazza, da cui ereditò l'attaccamento sincero alla tradizione cinquecentesca veneta, attaccamento notevole nel periodo di disorientamento pittorico nel quale visse. La discendenza dal Mazza è palmare nella prima opera del P.: l'Incredulità di S. Tommaso della chiesa degli Eremitani a Padova, firmata e datata 1610. Nel 1614 il pittore si trasferisce a Venezia, dove dipinge lungamente, sempre seguendo la sua vena tradizionale, opere stimatissime, ma alquanto vuote di forma e convenzionali di colore; nelle ultime, in più, si nota solo un disquilibrio provocato dalle nuove tendenze rinnovatrici che si facevano largo nella pittura veneziana. Invero, dopo la sua attività padovana (chiusasi con il suo capolavoro: le Nozze di Cana, del 1622, oggi all'Accademia di Venezia) l'arte del P. si affiochisce: le carni si fanno sempre più rosee e più vuote: la tonalità tizianesca troppo arrossata divien sorda per l'incapacità del pittore di modularla, cioè di renderla espressiva. Ciò si nota nell'Astronomia della Biblioteca Marciana (1635), nella Giuditta del Museo di Vienna, ampie figure di donne senza sangue, dai grandi occhi bovini, dalle vesti gonfie di vacuità. Nella chiesa degl'Incurabili dal 1635 in poi Alessandro dovette cimentarsi col genovese Strozzi e col vicentino Maffei, ambedue apportatori di nuovi interessi pittorici; nel 1644 compiè ivi il grande ovato con la Parabola delle Vergini sagge e folli (unica parte rimasta del complesso smembrato), dove il P., non che superare i competitori, ci appare caduto ormai in una squallida inespressività. Altre tendenze dovevano rinnovare la pittura veneta: ad esse il Varotari rimase estraneo, perché tenacemente avvinto alla tradizione, priva oramai di germi fecondi, fino alla morte.
Tuttavia occorre riconoscere alla fedeltà del Padovanino il merito di aver salvato l'arte sua e in gran parte quella veneta del primo Seicento dalle aberrazioni che si notarono altrove. Inoltre dai suoi esempî uscirono in parte alcuni pittori quali il Liberi, Pietro Vecchia, il Carpioni e anche il Forabosco, che diedero alla pittura barocca del Veneto non pochi notevoli accenti.
Bibl.: G. Fiocco, La pittura venez. del Seicento e Settecento, Verona 1929; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, vii, Milano 1934, pp. 286-310.