Padova
L'unica menzione dantesca di P. ricorre in Pd IX 46, dove viene sottolineata la sconfitta subita dalla città guelfa per opera dei ghibellini di Vicenza e del loro alleato Cangrande della Scala, vicario imperiale, nell'autunno del 1314 (Villani IX 63).
L'esigenza di una diretta documentazione sulla presenza di D. a P. sembra essere soddisfatta quando nel 1748, in " Novelle Letterarie di Firenze " (col. 361), viene notificata l'esistenza di un atto notarile rogato il 27 agosto 1306, una cui copia del 1335 è conservata nell'archivio Papafava a P., dove tra i testimoni figura un " Dantinus quondam Alligerii de Florentia et nunc stat Paduae in contracta Sancti Laurentii ". Sulla base di questo documento si ritenne di aver raggiunto la prova della dimora del poeta a Padova. A convalida della tesi servono le asserzioni del Boccaccio, di Benvenuto, del Serravalle, nonché la sicura conoscenza di D. sulla città e il territorio di P. (If XV 7-9), sull'origine dei Padovani (Eg I 28, Pg V 75) e sul loro dialetto (VE I IX 4, XIV 5). Ma da alcune pergamene trovate all'archivio comunale di Verona da G. Da Re, si apprende che un " Dantinus " omonimo e contemporaneo del padovano (quindi verosimilmente identificabile con lui) viveva a Verona dopo la morte di D., per cui il documento del 1306 perde il suo valore determinante per dimostrare un soggiorno di D. a P. (cfr. la voce DANTINO). Quindi prescindendo dalla prova documentaria è necessario trovare gli elementi inconfutabili capaci di determinare il soggiorno padovano di Dante. Punti fermi rimangono le testimonianze biografiche citate dal Gloria a commento del documento del 1306, e l'innegabile conoscenza di P. e dintorni dimostrata da Dante. Se il dialetto (VE I IX 4, XIV 5), l'origine frigia (Eg I 28), la discendenza da Antenore (Pg V 75), la dilagante usura (v. SCROVEGNI, Rinaldo degli) sono argomenti la cui trattazione può essere condotta anche attraverso una conoscenza indiretta, la precisa descrizione delle disposizioni idrauliche (If XV 7-9), che vengono prese a modello per rappresentare gli argini dell'Inferno, e delle zone bonificate da Francesco il Vecchio da Carrara (Pg V 82-84) invitano a credere in una presenza visiva. Si resta però sempre nel campo della probabilità, e ipotesi sono pure il momento cronologico e i motivi che conducono D. in Padova. Benvenuto nel suo commento a Pg XI presenta D. e Giotto in un dialogo ben localizzato nel tempo e nello spazio, dando origine alla convinzione della compresenza dei due grandi fiorentini in P., ma una presunta amicizia fra i due non è sufficiente a spiegare la presenza del poeta nella città veneta. Secondo il Belloni e il Cosmo, D. si reca a P. con Agnese del Dente, per divergenze ideologiche con Alboino, dopo la morte di Bartolomeo della Scala marito della donna (7 marzo 1304), ipotesi nata forse dal legame che si era voluto vedere tra D. e il casato padovano degli Scrovegni, da cui discendeva la donna per parte di madre. Più probabile sembra invece il richiamo del centro culturale o tramite il trasferimento di dottori bolognesi a P., come afferma il Gloria, o in seguito all'atmosfera d'intolleranza verso i Fiorentini bianchi creatasi a Bologna, come afferma lo Scartazzini. Il margine per la supposizione rimane sempre largo; si può però affermare che, se il poeta è stato a P., ciò dev'essere avvenuto nel periodo di tempo compreso tra l'inizio del 1304 e la fine del 1306.
P. è città di origine antichissima; la leggenda ne pone la fondazione intorno al 1184 a. C., per opera dell'eroe troiano Antenore: da qui il nome di Antenori attribuito da D. ai Padovani (Pg V 75). Fu centro neolitico di notevole importanza, come attestano cospicui rinvenimenti archeologici nel suo territorio; e in età romana la città, di cui abbiamo notizia dal IV secolo a. C., divenne il centro più importante del Veneto. Durante i primi secoli del Medioevo P. andò gradatamente declinando; in epoca longobarda fu distrutta e nei secoli VII-IX il centro della vita municipale divenne Monselice. In epoca ottoniana P., grazie alla sua tradizione cittadina mai scomparsa, divenne fulcro del ricostituito comitato. Nei primi decenni del sec. XII troviamo nella città le prime magistrature comunali e da questo momento il progredire della sua autonomia non subisce interruzioni, nonostante i tentativi di Federico Barbarossa. Anzi contro l'imperatore P. nel 1164 aderì alla lega veronese e poi nel 1167 a quella lombarda. Con l'affermarsi della signoria ezzeliniana la città fu inserita nella marca trevigiana, ma il suo sviluppo non subì per questo interruzioni; dal 1260 estese il suo dominio su Vicenza. Nel 1307 vi troviamo podestà Vitaliano del Dente (v.); la città si oppose quindi validamente ai tentativi scaligeri di assorbimento nonché alla discesa di Enrico VII. Fu tuttavia sconfitta due volte da Cangrande che le contestava il possesso di Vicenza (1314, 1317); dal 1318 cadde sotto la signoria dei da Carrara che mantennero il potere, pur con alterne vicende, per tutto il secolo. Nel 1406 infine P. fu assorbita dal dominio veneziano.
Pur essendo tendenzialmente guelfa, P. non presenta mai una linea ideologica costante: il ghibellino è un dissidente e acquista personalità di avversario solo quando viene strumentalizzato dall'alleato imperiale per inasprire la lotta interna e trovare un campo meno preparato a resistere. Nella città veneta D. vede un'altra Firenze: un formicolio di opposizioni ha rotto la tranquillità e per sedare gl'interni antagonismi si ricorre all'esilio, al bando d'intere famiglie, si arriva alle inevitabili esterne silidarietà partigiane, al di sopra di ogni patriottismo. Ma a dettare lo sdegno non è solo la questione politica, in particolare l'irriducibile ostilità che oppose P. a Cangrande e a Enrico VII, poli dell'interesse dantesco: determinante è anche il carattere sociale che la città presenta (v. SCROVEGNI). La potenza sovvertitrice del commercio e del guadagno ha portato nobili e non nobili al culto della ricchezza, di quelle maladette ricchezze (Cv IV XIII 9) naturalmente... vili (X 10), disgiunte... e lontane da nobilitade (XI 1), degenerando quindi nell'usura. È significativo infatti che fra gli usurai D. collochi due Padovani: Rinaldo degli Scrovegni e Vitaliano del Dente (If XVII 64-69).
Particolarmente fervida fu la vita culturale di P.: fin dal 1222 esisteva il primo nucleo della sua famosa università e contemporanei di D. furono Lovato de' Lovati, Albertino Mussato (v.) e Aldobrandino Mezzabati (v.). L'interesse per lo studio può aver spinto D. al desiderio di un rapporto diretto con il cenacolo padovano, ma non possiamo affermarlo con certezza: egli rimane al di fuori di ogni influenza ed è da escludere la possibile relazione tra il giudizio universale giottesco e il poema di D., come si può vedere dagli ampi studi del Billanovich e del Folena.
La fortuna di D. nella città non risulta pertanto notevole da un punto di vista letterario: gl'imitatori non mancano, ma la radicale diversità tra la cultura del poeta fiorentino e quella padovana ostacolarono una reale possibilità di rilevanti influenze. Sempre presente è comunque il culto per D., e lo dimostrano le celebrazioni tenute nella città nell'anniversario della morte del poeta, nel 1865, che diedero origine a una copiosa produzione letteraria vitalizzata dagli studi del Gloria. Merito particolare nella diffusione dell'opera di D. in P. va alla Società Dantesca Padovana; sono da segnalare inoltre gli studi del Lazzarini, del Billanovich, e della scuola d'italianistica dell'ateneo patavino di V. Branca (G. Padoan, A.E. Quaglio, ecc.).
A P. fu esemplato un codice, oggi conservato nella biblioteca Nazionale di Parigi, ital. 530; il copista si nomina con la sola iniziale " A. ", segnando la data in cui terminò il lavoro: " anno Domini MCCCCXI, die decima mensis iulii ".
Tra i manoscritti custoditi nelle biblioteche padovane citeremo il n. 2, particolarmente interessante dal lato testuale, e due miniati, i numeri 9 (del sec. XIV, anch'esso filologicamente importante) e 67 (più notevole figurativamente, degl'inizi del sec. XV) della biblioteca del seminario arcivescovile. Delle stampe della Commedia edite a P. si possono ricordare quella di Donato Pasquardi (1629), una " delle sole tre edizioni della Divina Commedia pubblicate nel secolo XVII " (Mambelli, Annali n. 54), preceduta da quella vicentina (1613) pubblicata " ad instantia di Francesco Leoni libraio in Padova "; e, più notevole di tutte, quella di Giuseppe Comino (tre volumi, 1726-27), che riproduce corretto il testo approntato nel 1595 dagli accademici della Crusca.
Cospicuo il lascito del letterato A. Palesa (v.) alla biblioteca del museo Civico: 110.000 volumi, tra cui 4113 sono d'interesse dantesco.
Bibl.- G. Pelli, Memorie per servire alla vita di D.A. ed alla storia della sua famiglia, Firenze 1823²; P. Selvatico, Visita di D. a Giotto nell'Oratorio degli Scrovegni, in D. e P. - Studi storico-critici, Padova 1865, 101-193; A. Gloria, Sulla dimora di D. in P. - Ricerche critiche, in D. e P. - Studi storico-critici, ibid. 1865, 1-29; C. Leoni, D. - Storia e poesia, Venezia 1865; E. Morpurgo, I prestatori di danaro al tempo di D., in D. e P. - Studi storico-critici, Padova 1865, 193-234; G. Dalla Vedova, Gli argini della Brenta al tempo di D., ibid., 75-100; A. Bartoli, Della vita di D.A., Firenze 1884 (Storia della letteratura italiana, V); G. Da Re, Dantinus q. Alligerii, in " Giorn. stor. " XVI (1890) 334-340; A. Gloria, D.A. in P., ibid. XVII (1891) 358-366; V. Imbriani, Studi danteschi, Firenze 1891; G.A. Scartazzini, Dantologia. Vita ed opere di D.A., Milano 1894²; Bassermann, Orme 447-454 e passim; V. Rossi, Studi danteschi e mussattiani, in " Bollettino del Museo civico di P. " XV (1912) 257-264; A. Belloni, Dantino veronese e Dantino padovano, Verona 1915; A. Moschetti, Questioni cronologiche giottesche, in " Atti e Memorie R. Accad. Scienze Lettere Arti in Padova " n.s., XXXVII (1920-1921) 181-200; A. Belloni, Sul tempo della dimora di D. a P., ibid. n.s., XXXVIII (1922) 63-68; ID., Nuove osservazioni sulla dimora di D. in P., in " Nuovo Archivio Veneto " n.s., XLI (1922) 40-80; U. Cosmo, Vita di D., Bari 1949²; G. Folena, La presenza di D. nel Veneto, in " Atti e Memorie Accad. Patavina di Scienze Lettere ed Arti " LXXVIII (1965-1966) 483-505; G. Billanovich, Tra D. e Petrarca. Umanesimo a P. e a Verona e umanesimo a Avignone, in Atti del congresso internazionale di studi danteschi, Firenze 1966, 349-376; G. Petrocchi, La vicenda biografica di D. nel Veneto, in D. e la cultura veneta, a c. di V. Branca e G. Padoan, Firenze 1966, 13-27 (poi in Itinerari danteschi, Bari 1969, 119-141); I. K. Hyde, Padua in the Age of D., New York 1966.
Lingua. - La parlata dei Padovani è menzionata dapprima in VE I IX 4, a esemplificare, nel confronto con quella dei Pisani, la differenza fra i dialetti della metà di ‛ destra ' e della metà di ‛ sinistra ' dell'Italia (aliter Paduani, et aliter Pisani locuntur). Più distesamente se ne parla in XIV 5: il padovano è individuato come sottospecie di quel volgare troppo rudemente aspro, vocabulis accentibusque yrsutum et yspidum (§ 4), che si contrappone al viceversa troppo molle e femmineo romagnolo.
Abbracciando entro questa categoria i dialetti - in sostanza - del Veneto di terraferma (con aggiunta del Bresciano), D. schizza qui un panorama rapido ma per lo più molto preciso di quelle parlate, prodotto certo anche di esperienza viva e diretta, non solo mediata e letteraria. Così anche per il padovano, definito dalla sua caratteristica di ridurre (‛ sincopare ') i participi in -atum e gli astratti (denominativa) in -atem fino all'esito, rispettivamente, -ò ed -è.
Il fenomeno è puntualmente attestato già nei documenti trecenteschi di padovano, così quelli diretti e ‛ ingenui ' come quelli parodistici e ‛ riflessi ' (Libro agregà de Serapiom, sonetto di Guerzo di Montesanto - o Nicolò de' Rossi? -; sonetto di Marsilio da Carrara al Vannozzo e risposta di questi, ecc.), ed è poi tipico del pavano rustico e ruzantesco. Si tratta anzi precisamente di un tratto che individua e isola il padovano-pavano rispetto agli stessi restanti dialetti del Veneto, in cui l'evoluzione dalla base latina si arresta ad -ào, -àe o giunge fino ad -à. Il mercò, " mercato ", con cui D. esemplifica il primo fenomeno (per l'altro cita bontè) ha anzi un esatto riscontro nel " marchòo " (in rima con altre voci simili) del sunnominato sonetto di Guerzo da Montesanto (o di Nicolò de' Rossi) Ser Çuanino, eo sì me è ben pensoo. Si noti poi che, a sottolineare il carattere barbaristico del fenomeno, D., oltre a calcare la mano sul rilievo estetico negativo (turpiter sincopantes), impiega appunto la categoria retorico-grammaticale della sincope, in cui si usava inquadrare tutta una serie di ‛ errori ' di lingua, simmetricamente opposta all'apocope di cui subito dopo è fatto carico ai Trevigiani.
Proprio di P. è tuttavia l'unico (unum) poeta di tutta la zona che secondo D. abbia tentato di staccarsi (nitentem divertere) dal dialetto materno per tendere al volgare curiale (VE I XIV 7): Aldobrandino padovano (v. MEZZABATI, ALDOBRANDINO).
Bibl.-F. D'Ovidio, Sul trattato ‛ De vulg. Eloq. ' di D.A., in Versificazione romanza. Poetica e poesia medievale, II (Opere di F.D'O., IX Il), Napoli 1932, 310-311; Marigo, De vulg. Eloq. 119-120. Per -ò, -è come tratto specifico del padovano antico: G.I. Ascoli, Saggi ladini, in " Arch. Glottol. It. " I (1873) 431-432; R. Wendriner, Die paduanische Mundart bei Ruzante, Breslau 1889, 5; G. Ineichen, Die paduanische Mundart am Ende des 14. Jhdts auf Grund des Erbario Carrarese, in " Zeit. Romanische Philol. " LXXIII (1957) 77; ID., El libro agregà de Serapiom, Venezia-Roma 1966, II 367; M. Corti, Emiliano e veneto nella tradizione manoscritta del ‛ Fiore di virtù ', in " Studi Filol. It. " XVIII (1960) 43; ID., Una tenzone poetica del sec. XIV in veneziano, padovano e trevisano, in D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 137; A. Stussi, Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, Pisa 1965, XXXV-XXXVI.