pace
" Concordia e stabilità di rapporti " fra due stati o popoli o città o fazioni politiche, opposto a " guerra ": dimmi se Romagnuoli han pace o guerra (If XXVII 28); Cerca, misera, intorno da le prode / le tue marine, e poi ti guarda in seno, / s'alcuna parte in te di pace gode (Pg VI 87); da tua terra insieme presi [Catalano dei Malavolti e Loderingo degli Andalò eletti podestà dai Fiorentini] / ... per conservar sua pace (If XXIII 107); e, con tono ironico, in parole indirizzate a Firenze, tu ricca, tu con pace e tu con senno! (Pg VI 137, e v. Pd XVI 147).
Il concetto di p., politica o latamente civile, è centrale nell'opera di Dante. Le esperienze biografiche, l'incontro diretto col tormentato panorama dei suoi tempi e l'approfondirsi della meditazione culturale convinsero presto il poeta della necessità di una p. universale la quale consentisse all'umano consorzio di realizzare il suo fine precipuo, presso a poco com'era avvenuto nel momento perfetto della storia: Né il mondo mai non fu né sarà sì perfettamente disposto come allora che a la voce d'un solo, principe del roman popolo e comandatore, fu ordinato, sì come testimonia Luca evangelista. E però [che] pace universale era per tutto, che mai, più, non fu né fia, la nave de l'umana compagnia dirittamente per dolce cammino a debito porto correa (Cv IV V 8). Condizione felice, strettamente collegata, nel pensiero dantesco, all'idea di un solo principe, governante tutti i popoli: già nel Convivio, con ricchezza di determinazioni, è presentato il quadro di un mondo guidato da un unico monarca, lo quale, tutto possedendo e più desiderare non possendo, li regi tegna contenti ne li termini de li regni, sì che pace intra loro sia, ne la quale si posino le cittadi, e in questa posa le vicinanze s'amino, in questo amore le case prendano ogni loro bisogno, lo qual preso, l'uomo viva felicemente: che è quello per che esso è nato (IV IV 4).
Ma il testo che più estesamente e più compiutamente affronta il tema della p. universale, è la Monarchia (v., e cfr. anche IMPERO), la cui trattazione è così correlata alla grande disputa che oppose, in nome della difesa della p., i sostenitori della supremazia papale sui principi della terra (cfr. Egidio Romano De ecclesiastica potestate, ediz. Scholz, Weimar 1929, 175: " Primo ergo agemus de pace, propter quam praecipue debet se intromittere Ecclesia ") e gli apologisti del potere civile, da Enrico IV a Walram di Naumburg, da Pietro Crassus a Federico II che nel Liber augustalis esordiva affermando: " Il re farà tutto ciò che è in suo potere per conservare ai popoli la pace e assicurare la giustizia ai popoli pacificati " (ediz. Carcani, Napoli 1786, 2), a Giovanni da Viterbo, Orfino da Lodi, Paolino Minorita, Marsilio da Padova e altri filosofi e teorici della politica e del diritto (cfr. G. de Lagarde, La naissance de l'esprit laïque au déclin du moyen age, III, Le defensor pacis, Lovanio-Parigi 1970, specialmente pp. 63-66). Della Monarchia è da citare almeno l'affermazione che annovera inter alia bona hominis potissimum il vivere in p. (I XI 14) e, ancor meglio, il seguente brano: manifestum est quod pax universalis est optimum eorum quae ad nostram beatitudinem ordinantur. Hinc est quod pastoribus de sursum sonuit non divitiae, non voluptates, non honores, non longitudo vitae, non sanitas, non robur, non pulcritudo, sed pax; inquit enim caelestis militia: ‛ Gloria in altissimis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis '. Hinc etiam ‛ Pax vobis ' (I IV 2-3).
L'importanza di questo passo sta nel trasferimento alla p. tra gli uomini di una connotazione fortemente religiosa, presentando la fonte biblica in una chiave particolare. In effetti è difficile separare nella problematica dantesca sulla p. la componente religiosa da quella sociale e politica: il rapporto reciproco di armonia e concordia fra i popoli della terra è sempre visto a specchio dell'armonia celeste, della p. paradisiaca: si tratta, com'è chiaro, di una concezione non reperibile nella civiltà greca, dove la p. (είρήνη) si accompagna quasi sempre con la nozione di sicurezza nella vita pubblica (ἡσυχία) e implica tranquillità, prosperità e ricchezza (v. Pseudo Plat. Definitiones 413 a; Filemone fr. 71 Comicorum Atticorum Fragmenta 496 s., Plat. Leges I 628 c), né in quella latina, che colora la p. di una tinta politico-morale e la pone a premessa di libertà, di sicurezza giuridica, giusta l'esemplare modello della pax augusta: " Nomen pacis dulce est, et ipsa res salutaris: sed inter pacem et servitutem plurimum interest: pax est tranquilla libertas: servitus malorum omnium postremum " (Cic. Phil. II 44); " iam Fides et Pax et Honos Pudorque / Priscus et neglecta redire Virtus / Audet " (Orazio Carmen saeculare 57-59).
È solo con l'Antico Testamento, specie coi profeti, che la p. come accordo fra i figli di Dio viene considerata dono futuro di Jahvé ed elevata a momento dell'attesa escatologica: il parvulus che nascerà a redimere il mondo sarà " princeps pacis " (Is. 9, 6) e assicurerà la p. del regno. In via subordinata la p. è il benessere, la salute del corpo e dell'animo, donde le numerose formule di saluto in cui il vocabolo appare.
Nel Nuovo Testamento, accanto ai vecchi significati si afferma, soprattutto con i testi paolini, il nuovo senso di equilibrata serenità d'animo (Paul. Rom. 15, 13) talora rapportabile a uno stato di pacificazione con Dio, a un rapporto con Dio libero da turbamenti spirituali: in ogni caso attuazione della promessa di Dio agli uomini da lui salvati, come testimoniano le espressioni " Deus... pacis " (Hebr. 13, 20), " rex pacis " (7, 2), " evangelii pacis " (Ephes. 6, 15), e l'approfondito senso del saluto neotestamentario, in cui la p. augurata è la p. di Cristo.
Fra i padri della Chiesa la definizione fondamentale della p. appartiene a s. Agostino: " pax omnium rerum tranquillitas ordinis " (Civ. XIX 13), sovrano e stabile ordinamento per il quale nell'universo ogni cosa si adatta al posto e all'ufficio voluti da Dio; da lui passa alla scolastica (cfr. Tomm. Sum. theol. I 103 2 e 3), con la precisazione che mentre la concordia " importat unionem appetituum diversorum appetentium ", la p. invece " supra hanc unionem importat etiam appetituum unius appetentis unionem " (II II 29 1) e ha dunque valore più complesso. Con la scolastica il concetto di p. si articola definitivamente nella duplice area di rapporto armonico del singolo con gli altri (prima di tutti con Dio) e del singolo con sé stesso, fermo restando che le due aree interferiscono frequentemente tra di loro.
Naturalmente quando D. parla della pax romana, è sorretto, per la sua filosofia della storia, da una visione provvidenziale e messianica: nelle vicende dell'aquila imperiale l'opera di Augusto che puose il mondo in tanta pace (Pd VI 80) da far serrare il tempio di Giano si avvera a suo giudizio in funzione di un disegno soprannaturale e in modi anch'essi soprannaturali (cfr. Mn I XVI 1-2); così come Cesare aveva preso il segno del comando presso al tempo che tutto 'l ciel volle / render lo mondo a suo modo sereno (VI 55-56).
A maggior titolo la tranquillitas ordinis agostiniana, la salute perfetta dell'umana famiglia, è ordinata nella Monarchia a fini trascendenti e fatta coincidere nel Convivio col bene supremo, il più aderente all'essenza dell'uomo e il più richiesto alla sua perfezione (v. Cv III VI 8). E pertanto non v'ha p. senza giustizia, che è attributo per eccellenza divino: questa vertù che nuda e fredda giace / levala su vestita del tuo velo / ché sanza lei non è in terra pace (Rime CV 14: per il carattere divino della giustizia, cfr. i vv. 3-4 per lei ti priego che da te non fugge, / Signor). E così se l'epistola V, tutta intonata ad alta oratoria biblica e intarsiata di moduli scritturali, contiene l'augurio di p. Universis et singulis Italiae Regibus et Senatoribus almae Urbis nec non Ducibus Marchionibus Comitibus atque Populis, e s'inaugura con un versetto paolino interpretato come annuncio profetico della p. imminente (" Ecce nunc tempus acceptabile, quo signa surgunt consolationis et pacis ", V 1), d'altra parte il nostalgico ritratto che Cacciaguida dipinge della sua Firenze, momento ideale agli occhi di D., presenta come primo motivo la vita pacifica di quel popolo ‛ sobrio e pudico ': Fiorenza... si stava in pace (Pd XV 99).
La nozione di p. quale effetto dell'atto speculativo rivolto alla verità, che certi interpreti moderni risolvono nella sfera naturale (raggiungimento per mezzo dell' ‛ operatio propriae virtutis ' [cfr. Mn III XV 7] della beatitudine riservata a questa vita), può anch'essa arricchirsi di una connotazione religiosa se si considera che la filosofia è primamente in Dio e secondariamente nelle intelligenze create: quando Amore fa de la sua pace sentire... che non vuol altro dire se non quando l'uomo è in ispeculazione attuale, però che de la pace di questa donna [la filosofia] non fa lo studio [sentire] se non ne l'atto de la speculazione (Cv III XIII 7, e cfr. § 3). In particolare è fonte di p., e p. essa stessa, la teologia, cui viene accostato per similitudine il cielo empireo: Lo Cielo empireo per la sua pace simiglia la Divina Scienza, che piena è di tutta pace; la quale non soffera lite alcuna d'oppinioni o di sofistici argomenti, per la eccellentissima certezza del suo subietto, lo quale è Dio. E di questa dice esso a li suoi discepoli: " La pace mia do a voi, la pace mia lascio a voi ", dando e lasciando a loro la sua dottrina, che è questa scienza di cu' io parlo (Cv II XIV 19: si noti l'adattamento a livello morale delle parole di Cristo e si veda Pd II 112).
Più strettamente religioso è il carattere della p. annunciata dalla buona novella e offerta agli uomini dal sacrificio di Cristo, per il quale sacrificio cessò l'ira divina e il Padre celeste si riconciliò con i discendenti di Adamo dopo una lunga e dolorosa attesa (quindi la molt'anni lagrimata pace di Pg X 35), mentre a ogni peccatore fu dato, attraverso la penitenza, di purgare la colpa e ottenere il perdono del creatore.
Al di sopra della ‛ beatitudine de lo intelletto ', raggiungibile in terra (v. Cv IV XXII 6) e della quiete dell'animo nell'assoluzione sacramentale (v. Pg XIII 124), in ogni caso motivi di p. temporanea e insidiata da mille pericoli, splende agli uomini la pienezza della p. celeste, punto culminante cui tende l'itinerario ascetico dantesco come già l'Itinerarium bonaventuriano: " quam pacem evangelizavit et dedit Dominus noster Iesus Christus; cuius praedicationis repetitor fuit pater noster, Franciscus, in omni sua praedicatione pacem in principio et in fine annuntians, in omni salutatione pacem optans, in omni contemplatione ad exstaticam pacem suspirans " (Itinerarium, prol. 1).
Questa p. sovrannaturale consiste nella visione di Dio (Vn XXIII 8, e cfr. 26 70; Pd XXX 102 Lume è là sù che visibile face / lo creatore a quella creatura / che solo in lui vedere ha la sua pace) e nel perfetto adeguamento della volontà personale alla volontà del Padre: 'n la sua volontade è nostra pace (Pd III 85), " tanto ha pace la voluntà nostra, quanto ella vuole quello che vuole Iddio " (Buti), adeguamento che è tutt'uno con la perfetta beatitudine: di qui il sospiro dantesco per quella pace (Pg V 61) che gli si fa cercare dietro a' piedi di Virgilio, e di qui certe formule proprie della seconda cantica - O anime sicure / d'aver, quando che sia, di pace stato (XXVI 54); Nel beato concilio / ti ponga in pace la verace corte (XXI 17); quinci si va chi vuol andar per pace (XXIV 141) -, la designazione del Paradiso terrestre quale ‛ arra ' d'etterna pace (XXVIII 93), e i moduli similari che segnano il destino di Boezio (ed essa [l'anima] da martiro / e da essilio venne a questa pace, Pd X 129) e di Cacciaguida (e venni dal martiro a questa pace, XV 148), imperniati sul contrasto martirio-pace. Vedi anche, nello stesso senso, Vn XXXI 10 16 (dove la condizione di p. è estesa agli angeli), Pg III 74, XI 7 (parafrasi del Pater noster), XV 131, XVI 17, XXI 13 (saluto di eco scritturale), XXX 9, Pd XXVII 8, XXXI 17, XXXIII 8, e, per un'anticipazione eccezionale del godimento celeste in terra in virtù di un'estasi contemplativa, Pd XXXI 111.
Nella sfera dei valori religiosi rientrano le occorrenze di Pd XI 80 dietro a tanta pace / corse e, correndo, li parve esser tardo, dove si allude a Bernardo di Quintavalle, primo discepolo di s. Francesco, ansioso di toccare il porto di p. offerto dalla regola del santo (si ricordino le già citate parole dell'Itinerarium di s. Bonaventura, dov'è esplicito cenno alla p. francescana), e di Pg XXVII 117 quel dolce pome che per tanti rami / cercando va la cura de' mortali, / oggi porrà in pace le tue fami, dove l'espressione ‛ porre in p. ' equivale a " estinguere ", " saziare ", ma s'innesta contestualmente nel processo al bene e alla felicità, prefigurati qui dall'Eden e da Beatrice.
Ad altra zona semantica si colloca la qualificazione della lupa come bestia sanza pace (If I 58), che da un lato rappresenta l'irrequietezza dell'animale, " la quale dice essere animale senza pace, per ciò che la notte e 'l dì sempre sta attenta e sollicita a poter predare e divorare " (Boccaccio), dall'altro, con valore causativo, si riferisce ai continui e fieri travagli che l'avarizia (simboleggiata dalla lupa) produce in chi ne è vittima: Promettono le false traditrici [le ricchezze]... di torre ogni sete e ogni mancanza, e apportare ogni saziamento e bastanza... poi che... sono adunate, in loco di saziamento e di refrigerio danno e recano sete di casso febricante intollerabile; e in loco di bastanza recano nuovo termine, cioè maggiore quantitade a desiderio, e, con questa, paura grande e sollecitudine sopra l'acquisto. Sì che veramente non quietano, ma più danno cura... (Cv IV XII 5).
Assai vario ed esteso è il complesso delle occorrenze in cui il vocabolo appartiene al linguaggio amoroso, poiché il rapporto amata-amante in figura di guerra, ostilità, o, all'opposto, di p., e la presentazione della donna come fonte di p. sono elementi comuni nella tradizione lirica volgare (e del resto in quella classica).
Valgano gli esempi di Dino Frescobaldi (" Entro 'n quel punto ogni vizio fu morto / ch'io tolsi lume da cotanta pace ", Quest'altissima stella 12-13), Cino (" e le parole sue son vita e pace ", L'alta speranza 48; " per tua grande vertute / or m'hai tu posto d'ogni guerra in pace ", Quando potrò io dir 2-3; " In vostra signoria sì son distretto, / che morte e vita m'è qual più vi piace, / pur ch'abbia in sul finir la vostra pace ", Mille volte richiamo 7-9), Angiolieri (" non trovo con Becchina pace ", I' ho tutte le cose 3).
Lo stilnovismo dantesco accentua il senso di beatitudine e quiete spirituale spirante dalla donna, la dolcezza onesta e soave di cui il poeta parla in Vn XXVI 3. L'Amore stesso fa sentire la sua forza serenatrice (Cv III Amor che ne la mente 26), ma apportatori di p. sono particolarmente gli occhi - ne li occhi porta la mia pace (Rime XC 60); " Nostro lume porta pace "! / " Noi darem pace al core, a voi diletto " / diceano a li occhi miei / quei de la bella donna alcuna volta (LXVII 14 e 15) - e il volto: fa che li annunzi un bel sembiante pace (Vn XII 14 42). Qui il significato di p. è assai vicino a quello di " perdono ", anche per effetto del verso precedente: e s'elli per tuo prego li perdona. Ma l'uso di p. per " perdono ", specie in formule come ‛ dar p. ', ‛ render p. ' e simili, è normale nella lingua antica: " se di ciò farai la tua possanza, / pace ti renderò de la primaia " (Pieraccio Tedaldi O crudel Marte 13-14); " E deletto veder donna che porta / a suo segnor fede amorosa e pura, / e che dà pace " (Guittone Tanto sovente 55-57); " omo di sua ofesa render pace " (Chiaro Davanzati Donna ciascun fa canto 18); " e poi li rendé pace / sì come troppo agravata cosa " (Guinizzelli Tegno de folle 'mpres' 15-16); " I' m'ho onde dar pace, e debbo e voglio " (Angiolieri). Con questo valore, per il quale v. G. Contini (in " Lingua Nostra " II [1940] 123-124) il vocabolo figura in Rime LXVIII 35 e se de suo peccar pace no i rende; CIII 78 e poi le renderei con amor pace; CIV 104 far mi poterian di pace dono.
Altrove ha piuttosto il senso di " serenità ", come in Rime CVI 69 corre l'avaro, ma più fugge pace, o If V 92 noi pregheremmo lui de la tua pace: così pare dar da intendere la frase di Francesca, che però suppone un sottofondo religioso (se fosse amico il re de l'universo) e potrebbe volgersi a un'interpretazione più specifica, dove p. sia la salvezza dell'anima e quindi la liberazione dalle sofferenze infernali: " che la pace ti concedesse ", chiosa il Boccaccio; e il Buti: " della tua salute "; allusivo il commento del Torraca: " ella sa che sia non aver mai pace ". Più precisi Casini-Barbi: " per la tua pace, perché egli ti perdonasse ". Per il Mattalia p. " è il contrario di affanno, travaglio, e la parola sottolinea, per contrasto, tanto il motivo del tormentoso travaglio delle anime quanto, più da lontano, il motivo dell'amore affanno, contenendo così anche l'augurio che l'anima del poeta possa andar sempre esente dai rapinosi affanni e turbamenti d'amore ". Poco dopo Francesca presenta il luogo della sua nascita, prossimo alla marina dove 'l Po discende / per aver pace co' seguaci sui (V 99), e in genere gli esegeti riportano questa serena immagine alla stessa nostalgia di p. che aveva mosso il sentimento della donna, grata al pietoso visitatore, verso una preghiera a lei eternamente negata.
A parte i sintagmi compresi negli esempi già citati, ricorderemo ‛ far p. ' per " deporre lo stato d'inimicizia ", " riconciliarsi ", in senso medio (Rime LI 8), o, in senso causativo, " far riconciliare " altri tra loro: Ancor sì m'intrametto in far mogliazzo, / altr'or fo paci, altr'or sì son sensale (Fiore CXXII 2, unico esempio di plurale; di tipo simile ma più complessa la costruzione di XVI 12 Le buone donne fatt'hanno far pace / tra me e te); ‛ trovar p. ', ancora nel significato di " riconciliarsi " (XXXVI 3); ‛ invitare a p. ', " invitare a riconciliazione " (Rime CVI 107); ‛ porre in p. ', " acquietare ", " soddisfare " (Pd IV 117); ‛ darsi p. ', " rassegnarsi " (Rime dubbie XVI 20); ‛ morire in p. ', " morire serenamente, appagato ": Gentil mia donna, mentre ho de la vita, / per tal ch'io mora consolato in pace, / vi piaccia agli occhi miei non esser cara, Rime LXVI 13: cfr. Lapo Gianni Donna se 'l prego 66 " voi rimarrete al mondo, mia nemica: / io sconsolato me n'andrò in pace "); v. anche Cv IV XXVIII 4. Analogo è ‛ soffrire in p. ' (Vn XIX 8 24).
‛ Con buona p. ' - corrispondente al latino cum bona pace (cfr. per es. Livio XXI XXIV 5) - vale " col pieno beneplacito ", " senza suscitare dissensi o avversioni ": nel quale [il seno di Firenze] con buona pace di quella, desidero con tutto lo cuore di riposare l'animo stancato e terminare lo tempo che m'è dato (Cv I III 4); più intensa la variante con tutta pace (Pg II 99).