outsourcing
<àutsoosiṅ> s. ingl., usato in it. al masch. – Termine che identifica la scelta di un’impresa di affidare all’esterno (nel Paese o all’estero), in maniera non episodica, lo svolgimento di un’intera funzione produttiva o di singole fasi di essa, e può riguardare anche semilavorati, processi produttivi completi o servizi (per es., pratiche di rimborsi medici, ticketing, servizio clienti, redazione di cartelle radiologiche, ecc.). Con il processo di o. l’azienda tende a concentrare le risorse su una serie di ‘competenze di base’ (core competencies) nelle quali è in grado di raggiungere una posizione di preminenza, e ad affidare all’esterno tutte le attività per le quali l’organizzazione non ha una vocazione imprenditoriale o specifiche esigenze strategiche e non dispone di particolari capacità. I benefici che l’azienda tende a conseguire tramite l’o. sono la riduzione del rischio, la diminuzione dei costi diretti, il contenimento degli investimenti e il conseguimento di una maggiore flessibilità gestionale. Possono essere soggette a o. sia attività a basso valore aggiunto sia attività a maggiore valore aggiunto. Nel primo caso l’impresa persegue obiettivi legati al recupero di efficienza, mentre nel secondo si prefigge scopi legati al miglioramento dell’efficacia dei suoi processi e prodotti. La scelta di ricorrere all’o. richiede un’attenta valutazione del ruolo strategico dell’attività o del processo in questione, delle performance che l’impresa ottiene e del mercato dei possibili fornitori. L’azienda deve valutare la scelta coerentemente con le risorse di cui dispone e sulle quali intende concentrare i propri vantaggi, ed evitare il rischio di perdere competenze apparentemente poco utili per il perseguimento del vantaggio competitivo ma che in un momento successivo possono dimostrarsi indispensabili per il conseguimento dello stesso (v. ).