PICCINATO, Ottorino
PICCINATO, Ottorino. – Nato a Cerea (Verona) il 30 aprile 1890, figlio di Giuseppe e di Ermellina Piatti.
Laureatosi in giurisprudenza nel 1913, esercitò la professione di avvocato. Sposò Egle Pozzani (1889-1979), maestra elementare, da cui ebbe cinque figli: Ada, Elena, Giuseppe, Benita, Ermellina detta Cillina.
Interventista, combatté nella prima guerra mondiale come sottotenente nel 9° reggimento artiglieria.
Iscritto ai Fasci di combattimento il 26 dicembre 1920, il 15 maggio 1921 fu eletto deputato nel collegio di Padova-Rovigo nelle liste dell’Unione nazionale come fascista, ma pochi mesi dopo la sua elezione, diventato nel frattempo membro del Direttorio provinciale fascista, fu oggetto di accertamenti in merito a illegalità e violenze commesse durante la campagna elettorale. Una commissione parlamentare di inchiesta, formata da Raffaele Zegretti della Democrazia sociale, dal popolare Giambattista Bosco Lucarelli, dal deputato socialista Domenico Maiolo e nominata dalla Giunta delle elezioni, si insediò a Padova il 25 gennaio 1922 e lavorò per quattro mesi ascoltando più di cento testimonianze. La notizia dei lavori della commissione peggiorò il clima già rovente e la reazione all’annullamento delle elezioni fu violenta: più di 10.000 camicie nere in armi, provenienti da Padova, Venezia, Belluno e dal Friuli, mentre altre da Ferrara erano pronte a partire, invasero e occuparono Rovigo dal 19 al 22 maggio 1922, tenendo pubblici comizi, organizzando cortei, commettendo gravi violenze, distruggendo sedi di leghe e partiti, addirittura lanciando bombe a mano. La polizia non oppose resistenza. Il nuovo prefetto fu costretto a invocare lo stato d’assedio in tutta la provincia, ma sottovalutò la situazione, cosicché l’esercito arrivò il 23 maggio a conclusione dei fatti. Fu l’intervento dello stesso Piccinato a fermare l’assalto, ma il 30 giugno la Camera annullò la sua elezione: 177 furono i voti a favore della sua decadenza dalla carica di deputato, 15 i contrari e 39 gli astenuti. Giacomo Matteotti fu accusato di essere uno degli ispiratori dell’iniziativa parlamentare.
L’attività sediziosa di Piccinato non si interruppe: per l’arresto di alcuni fascisti il 7 agosto fu protagonista di alcune minacce al prefetto di Padova che arrivò a chiedere, con la «massima urgenza», un rinforzo di duecento carabinieri (Telegramma del prefetto, 7 agosto 1922, in Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero degli Interni, Direzione generale Pubblica Sicurezza, Affari generali e riservati, Cat. 1922, b. 141, f. G1: Fascio Padova 34 Pontelongo).
A ottobre partecipò alla marcia su Roma ponendosi al comando della legione polesana con Vincenzo (Enzo) Casalini (primo finanziatore del fascismo polesano) e Gino Finzi (organizzatore nell’autunno del 1920 del primo nucleo fascista di Badia Polesine, fratello minore di Aldo). Dal 20 gennaio all’11 dicembre 1923 fu segretario federale di Padova e, per appianare i debiti del Fascio, la commissione finanziaria del Partito nazionale fascista (PNF) padovano da lui presieduta impose una tassazione del 2% sulle proprietà e sulle rendite, una decisione che suscitò la viva disapprovazione dello stesso Benito Mussolini: «Solo lo Stato ha diritto imporre tassazioni coattive non già un partito politico che deve vivere con fede entusiasmo disinteresse gregari. […] desistere metodi che ricordano troppo da vicino altri infamata memoria. […]» (Telegramma di Mussolini al prefetto di Padova, 23 marzo 1923, in Saonara, 2011, p. 235).
Tornato a Rovigo, fu candidato nella Lista nazionale con Casalini, Casalicchio e Aldo Finzi e fu di nuovo eletto deputato nel 1924 (carica che rivestì fino al 1929). Durante la XXVII legislatura fu membro delle commissioni Finanze, Lavori pubblici, Giustizia e Affari di culto e della Giunta permanente per le elezioni.
In occasione della crisi successiva al rapimento e all’assassinio di Matteotti, Piccinato si dimostrò un «fervente e appassionato fascista» per «avere costantemente manifestato sentimenti di sicuro attaccamento al Governo nazionale di cui è seguace fedele e disciplinato» (Nota riservata del prefetto di Rovigo, in Pirani, 1989, pp. 115 s.) dichiarando che «non si tratta di delitto politico e sarà un gran bene se le opposizioni le quali sul delitto hanno inscenata la più bassa speculazione se ne tacessero» (Chinaglia, 2008, pp. 126-127).
Nel frattempo, con gli agrari Vittorio Pelà, Giovanni Roveroni e altri 41 soci, Piccinato, il 1° febbraio 1922, aveva fondato la Società anonima essiccazione tabacchi (SAET), volta ad allestire vivai di piante da tabacco da cedere agli agricoltori, dalla quale si ritirò, con un’indennità di 400.000 lire, nell’autunno 1925. Le poco chiare operazioni finanziarie legate alla società furono oggetto di una pesante denuncia, tra gli altri, dell’ex sodale Aldo Finzi che accusò Piccinato di essere stato «un volgare imboscato di guerra», un «bovaio» sul Monte Tesoro in Valpolicella, un «profittatore» e «un essere spregevole», di avere usato la carica di deputato per aderire alla SAET e di non avere mai versato la propria quota al capitale sociale (Lettera di Aldo Finzi, 24 gennaio 1926, in Bellinetti, 1985, pp. 142-144).
Oltre ai reati finanziari, gravò su Piccinato l’accusa di essere il mandante dell’assassinio del militante socialista Antonio Rossini, ucciso in un’imboscata a Fiesso Umbertiano, presso Rovigo, la sera del 29 aprile 1922.
Presidente della commissione esecutiva reggente la Federazione di Rovigo (27 gennaio - 9 marzo 1925), fu nominato segretario federale rimanendo in carica fino al 3 agosto dello stesso anno. Il 17 marzo 1927 divenne podestà di Fiesso Umbertiano, che trasformò in una sorta di «feudo personale […] ove gli abusi di potere, gli illeciti amministrativi e i clientelismi non si contavano» (Belluco, 1985, p. 84); il 5 luglio dell’anno seguente, tuttavia, fu rimosso perché «inviso presso la popolazione» – ma non all’arciprete di Fiesso Umbertiano, che lo definì «uomo di belle idee» (Scaranari, 1985, p. 43) – per avere apportato radicali cambiamenti urbanistici nel piccolo centro tra il 1925 e il 1933. La deposizione da podestà non gli impedì di essere nominato, nel maggio 1928, cavaliere di Gran croce dell’Ordine della Corona d’Italia e membro del comitato provinciale per l’edizione dell’opera omnia di Gabriele D’Annunzio.
Nel 1928, in corrispondenza della chiamata a Roma di Casalini come sottosegretario alle Finanze, ripresero vita le tensioni locali: per la seconda volta Piccinato fu segretario federale di Rovigo (13 gennaio 1930 - 24 maggio 1934), incarico che fu legato alle dinamiche interne e alle profonde tensioni tra i ‘casaliniani’ e i ‘marinelliani’ che caratterizzavano da sempre il fascismo rodigino e che di fatto «sanciva l’intervento in prima persona di Marinelli […], intervento foriero di nuove, drammatiche crisi e tensioni che caratterizzeranno gli anni ’30 […]» (Belluco, 1985, p. 84). Piccinato descrisse a Mussolini una situazione politica «caratterizzata da una particolare dolorosa crisi di animo, da un senso di afflosciamento» dovuta a suo dire a «una esagerata mania di accentramento nelle mani di un uomo degno, ma che vuole allontanate dalle funzioni direttive tutti coloro che hanno un po’ di fosforo nel cervello», ossia Casalini (Relazione di Piccinato, in Baù - Furio - Monaco, 2011, p. 144).
Alla fine di gennaio del 1933 incentivò la costituzione del sindacato fascista Belle arti e assunse la presidenza della prima mostra sindacale d’arte polesana nel febbraio 1934.
Eletto di nuovo deputato (28 aprile 1934 - 2 marzo 1939) si occupò – come membro delle commissioni Grazia e Giustizia, Agricoltura e Foreste, Finanze, Comunicazioni, Affari interni, di commercio e di normativa sugli albi professionali – di riordino del regio esercito e di riforma delle circoscrizioni comunali.
Nel 1938 la figlia Ada si rivolse a Mussolini per far fronte all’isolamento politico in cui era caduto il padre che, l’anno prima, si era trasferito a Milano: «una freddezza sconcertante anche da parte delle autorità locali che con ostilità [...] dimostrarono più volte di dimenticare che mio padre era pur sempre il galantuomo fervente fascista» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario 1922-43, b. 2140, f. 539.764: Lettera di Ada Piccinato, Rovigo 28 giugno 1938). A Milano, dove fu presidente della società Genepesca, Piccinato tentò di svolgere la professione di avvocato, ma i risultati furono probabilmente deludenti anche per «i riflessi della guerriglia polesana» (ibid.) sulla sua attività.
Nonostante l’elezione a consigliere nazionale della Camera dei fasci delle corporazioni (23 marzo 1939 - 2 agosto 1943) e contemporaneamente a membro della corporazione del vetro e della ceramica, la sua carriera politica andò scemando.
Sebbene proprietario di numerosi beni immobili – tra cui una villa liberty a Fiesso Umbertiano del valore di circa 250.000 lire che nel dopoguerra entrò a far parte dei beni requisiti dell’ex PNF, fu poi messa all’asta il 20 marzo 1947 e venduta a privati, dopo un tentativo della parrocchia locale di trasformarla nella Casa della dottrina cristiana; un’altra a Viserba del valore di circa 100.000 lire e un appezzamento di terreno edificabile a Ferrara per circa 6000 lire – le richieste di aiuto continuarono. Fu lo stesso Piccinato a rivolgersi a Mussolini chiedendogli «un incarico di sequestratario di beni nemici o quella qualunque [sic] mansione di Vostra fiducia» (Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario 1922-43, b. 2140, f. 539.764: Lettera di Piccinato a Mussolini, 11 giugno 1942). Un anno prima, con decreto ministeriale del 12 marzo 1941, la Società anonima trattamento acque potabili, con sede a Milano, era stata sottoposta a sequestro e Piccinato era stato nominato sequestratario per continuare la gestione dell’esercizio delle attività.
In suo favore, perché «sempre disciplinato e fedele» (ibid., Lettera di Acerbo a De Cesare, 11 giugno 1942), si mosse anche Giacomo Acerbo.
Nell’ultima fase della guerra Piccinato tornò ad amministrare il comune di Fiesso Umbertiano: al 2 aprile 1945 era podestà fascista della cittadina. Il 25 maggio 1945 il Comitato di liberazione nazionale di Fiesso lo dichiarò decaduto: posto agli arresti domiciliari insieme ad altri sedici dirigenti locali del Partito fascista repubblicano, fu costretto ad allontanarsi dal Polesine con foglio di via emesso dalla Questura di Rovigo.
Vissuto diversi anni a Milano, vi morì il 24 maggio 1963 e fu sepolto a Cerea.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Gabinetto Bonomi, Ordine Pubblico, b. 6, f. 63; ibid., Direzione generale pubblica sicurezza, Affari generali e riservati, Cat. 1922, b. 141, f. G1: Fascio Padova 34 Pontelongo; Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario 1922-43, b. 2140, f. 539.764; Fiesso Umbertiano, Archivio comunale, Atti comunali, bb. 102, 145, 300; Pratiche varie, Classi di leva, b. 19; Fiesso Umberiano, Archivio privato Marco Chinaglia - Ottorino Piccinato, Federazione Polesana dei Fasci di Combattimento Rovigo, cc n.n.; Il Gran Consiglio nei primi cinque anni dell’era fascista, Roma-Milano 1927, p. 47; E. Savino, La nazione operante, Profili e figure, Milano 1934, p. 342; V.R. Vicentini, Il movimento fascista veneto attraverso il diario di uno squadrista, Venezia 1935, p. 261; Gazzetta ufficiale, 89, 14 aprile 1941, p. 1521; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere, Torino 1966, p. 189; M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d’Italia, Roma 1973, ad ind.; I. Bizzi, Da Matteotti a Villamarzana. 30 anni di lotte nel Polesine (1915-1945), Treviso 1975, pp. 122; 132-142; 146-148; M. Bellinetti, Squadrismo di provincia: nascita dei fasci di combattimento in Polesine (1920-1921), Rovigo 1985, pp. 138, 141-144; O. Belluco, Il partito nazionale fascista in Polesine (1920-1939), ibid., in Atti del X convegno di storia polesana… 1984, a cura dell’Associazione Culturale Minelliana, Rovigo 1985, pp. 71-92; C. Scaranari, Vita parrocchiale in epoca fascista. Cronaca di Mons. Eraclio Mazzocco, Fiesso Umbertiano 1916-1939, ibid., pp. 27-45; E. Gentile, Storia del partito fascista. 1919-1922. Movimento e milizia, Roma-Bari 1989, pp. 290 s., 383; B. Pirani, I protagonisti. Lotte sociali in Polesine 1902-1952, Rovigo 1989, pp. 115 s.; V. Zaghi, L’eroica viltà. Socialismo e fascismo nelle campagne del Polesine, 1919-1926, Milano 1989; Civiltà del lavoro industriale nel Polesine (1870-1940), a cura di M. Zunica, Rovigo 1991, pp. 242-246; P. Mazzucchi, Cronaca di Castelguglielmo (1866-1932), a cura di A. Mazzetti, Rovigo 1995, pp. 484-85, 487, 498 s., 575-577, 767-772; M. Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista. 1919-1922, Milano 2003, ad vocem; L. Scalco, Storia economica del Polesine: dalla prima guerra mondiale alla società post-industriale (1915-2001), III, Rovigo 2004, pp. 57 ss.; M. Chinaglia, Dalla caduta di Venezia ai giorni nostri: Fiesso nell’età contemporanea, in Fiesso Umbertiano. Momenti di storia, arte e vita sociale, a cura di E. Zerbinati, Monselice 2008, pp. 93-138; A. Baù - A.M. Furio - C. Monaco, Il Veneto nel rapporto di Mussolini ai segretari federali (1930), in Venetica, 2011, n. 23, pp. 125-178; C. Saonara, Una città nel regime fascista. Padova 1922-1943, Venezia 2011; V. Zaghi, “Di crisi in crisi”: il Partito nazionale fascista in Polesine, in Venetica, 2011, n. 23, pp. 71-91; A. Rondina, Giovanni Marinelli. Una carriera nell’ombra del regime, Adria 2014, pp. 89-91, 237 s.