OTTONI
(o Attoni). – Famiglia di Matelica (Macerata), città su cui impose la propria signoria dal secolo XIV al 1578.
Il nome deriva dal patronimico «Atto», diffuso nell’area appenninica umbro-marchigiana nei secoli XI-XIII. Gli Attoni erano un lignaggio capillarmente irradiato in quest’area e diviso in numerosi rami: vari esponenti si fregiavano del titolo comitale per dimostrare l’acquisizione di poteri a livello locale.
Non è possibile tracciare una genealogia prima del secolo XII poiché le attestazioni documentarie sono lacunose e le omonimie frequenti. Fino alla fine del XV secolo membri della famiglia erano designati soltanto attraverso il patronimico, seguito eventualmente dalla designazione «de Mathelica». Il nome Ottoni appare nelle fonti soltanto dopo il 1508 (Acquacotta, 1839, p. 287), coniato, in assonanza con quello della stirpe imperiale, per dare lustro alla famiglia e in seguito per rivendicare, in modo fantasioso, un’investitura da parte degli imperatori sassoni.
Dopo la destituzione dalla signoria, nel 1578, gli Ottoni commissionarono al falsario Alfonso Ceccarelli di Bevagna la stesura di un atto apocrifo, secondo cui nel 962 l’imperatore Ottone I avrebbe concesso alla famiglia l’autorità su Matelica per i servizi a lui prestati e la possibilità di fregiarsi del suo stesso nome, abbandonando quello di «da Ponte» (ibid., p. 189).
Il più antico esponente identificabile è il conte Attone di Morico. Nel 1162, insieme ai suoi tre figli, egli dovette riconoscere l’autorità del Comune di Matelica e concedergli la giurisdizione sugli uomini e su alcuni castelli fino a quel momento sottoposti alla propria signoria territoriale. Negli anni successivi la dinastia tentò di riconquistare la piena autorità su Matelica attraverso ripetute azioni militari. Le lotte fra i signori e la comunità culminarono nel 1203 con la distruzione del centro a opera di una coalizione stretta tra i primi e i camerinesi.
Nel 1209 l’imperatore Ottone IV concesse la ricostruzione di Matelica e assegnò i proventi delle gabelle per metà al Comune e per metà alla dinastia. Gli esponenti di quest’ultima seguirono allora una diversa strategia politica negoziando gli spazi di potere: nel 1213 Attone di Guarniero fece atto di sottomissione al Comune, giurando obbedienza e ricevendo in cambio un indennizzo in denaro. La comunità vedeva di buon grado l’inserimento della stirpe nel Comune e il conferimento di cariche, considerate garanzia d’integrazione e di pace sociale. I signori conquistarono posizioni di rilevo istituzionale: nel 1246 Alberto di Attone rivestì la carica straordinaria di capitano del Comune guidando l’esercito comunale, sotto le insegne dell’imperatore Federico II, contro la città di Camerino. Due anni dopo, al tramonto della potenza sveva nelle Marche, la fedeltà di Matelica alla Chiesa e gli accordi di pace con Camerino furono giurati nel palazzo di Alberto, che pronunciò il giuramento per primo. Nel 1258, alla ripresa delle ostilità divampate durante il regno di Manfredi, il titolo di capitano del Comune fu conferito unitamente ad Alberto e a Bartolo de Mathelica. L’ascesa fu coronata dalla nomina a podestà di Federico di Alberto nel 1276 e di Corraduccio di Bartolo l’anno seguente. Nella vivace dialettica politica e sociale di Matelica, Federico si schierò dalla parte dei populares.
L’egemonia su Matelica si rafforzò nel primo Trecento grazie a Borgaruccio di Federico, la prima personalità politica della famiglia assimilabile a quella di un signore cittadino. Dopo la sua uccisione nel corso di un tumulto popolare, alla fine del 1339 o all’inizio del 1340, i nipoti Corrado e Guido riuscirono presto a rientrare a Matelica e a restaurare l’autorità della dinastia: nel 1343 papa Clemente VI accusò i nipoti di Borgaruccio de Mathelica di aver riaffermato il loro potere tirannico, e i da Varano di Camerino di averne consentito il rientro. Durante le legazioni del cardinale Albornoz gli Attoni consolidarono la loro preminenza su Matelica. Nel 1357 Corrado e Guido riuscirono a farsi riconoscere dalla comunità il risarcimento dei danni subiti: il cardinale legato concesse loro l’usufrutto a vita di sei mulini e di alcuni terreni del Comune; inoltre accordò loro alcune entrante spettanti alla Chiesa in cambio di aiuti militari. L’egemonia assunse in quegli anni forme istituzionali: una riformanza comunale, nel 1358, prescrisse che la carica di gonfaloniere, la più alta magistratura cittadina insieme a quella dei priori, spettasse di diritto ai discendenti maschi di Borgaruccio (Luzzatto, 1909, p. 279). Si trattava di un potere ancora privo di legittimazione dall’alto se, nel 1371, il cardinale legato Anglic de Grimoard, in una relazione sulle condizioni politiche della Marca, annotava che Matelica era di fatto in mano di Francesco di Guido, senza però sapere a quale titolo (Theiner, 1862, II, p. 537). La validazione papale giunse nel febbraio 1394 attraverso la concessione da parte di Bonifacio IX del vicariato apostolico su Matelica per dieci anni, fatta unitamente a Guido, Corrado, Federico e Ranuccio e rinnovata poi nel 1404.
Dalla metà del Trecento vari membri degli Ottoni, al pari di altri signori dell’Appennino centrale, militarono negli eserciti delle maggiori potenze italiane. Durante la guerra degli Otto santi, che oppose il papato a una lega capeggiata da Firenze (1375-78), Francesco de Mathelica nel settembre 1377 sconfisse presso Tolentino le truppe papali guidate da Rodolfo da Varano, meritando l’investitura a cavaliere da parte del capitano di ventura Lutz von Landau. Nel 1402 Corrado mise in luce le sue doti militari in un torneo, indetto a Cesena da Andrea Malatesta, alla testa di 32 cavalieri. L’anno seguente fu al servizio di Gian Galeazzo Visconti, combattendo a Bologna contro Giovanni Bentivoglio, per poi passare, dopo la morte del duca di Milano, al soldo di Baldassarre Cossa, legato papale. Morì durante un’operazione militare nel 1404 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco in Bologna. Federico militò invece nel 1404 per la Repubblica di Venezia, e poi, nel 1410, al servizio di Giorgio Ordelaffi di Forlì.
Gli Ottoni fecero poi parte dell’esercito papale durante il pontificato di Martino V: nel 1424 questi incaricò Guido e Federico di riportare l’autorità della Chiesa su Cingoli; lo stesso anno Federico combatté nella battaglia dell’Aquila, ove perse la vita Andrea Fortebracci (Braccio da Montone). Durante l’occupazione della Marca da parte di Francesco Sforza, nel 1433, gli Ottoni inizialmente lo appoggiarono. Federico combatté contro la Chiesa nel 1442 a Recanati e l’anno seguente a Tolentino; tuttavia, dopo aver subito un assedio a Cingoli, si arrese e chiese la riconciliazione con il papa. Gli accordi di pace, stipulati nel settembre 1443 con il commissario apostolico Lotto Sardi, vescovo di Spoleto, prevedevano la conferma del vicariato apostolico su Matelica, la remissione dei debiti e la concessione di esazioni doganali.
Nel 1462 scoppiò a Matelica una rivolta contro i signori, che emarginò la discendenza di Guido: dei suoi tre figli, Francesco fu imprigionato e fatto morire in una rocca sul monte S. Vicino, Borgaruccio fuggì in Toscana e Gaspare, abate commendatario dell’abbazia di Roti, venne a patti con il popolo. Poiché la rocca in cui fu imprigionato Francesco era di proprietà della dinastia si può ipotizzare che la rivolta popolare fosse stata sobillata dal ramo familiare di Ranuccio, che riuscì a imporre la propria egemonia. I figli di Ranuccio, Antonio e Alessandro, gestirono il potere a Matelica fino al 1485 promuovendo interventi urbanistici. Dopo la loro morte si raggiunse, nel 1487, un accordo sulla ripartizione dei beni e del governo cittadino: il dominio spettava in indiviso a tutti i membri della famiglia, l’esercizio del potere era affidato al più anziano, mentre gli altri avrebbero beneficiato di elargizioni in denaro. Fu dunque designato signore Ranuccio di Antonio, che si fece riconoscere il vicariato da Innocenzo VIII. Un anno più tardi stipulò con la città di Camerino un accordo che pose fine a una disputa secolare sui confini.
Il potere della famiglia su Matelica subì un’interruzione fra il luglio 1502 e l’agosto 1503, allorché Alessandro VI investì Giovanni Borgia, di appena cinque anni, del Ducato di Camerino, nei cui confini fu inclusa Matelica. Dopo la morte del papa, Ranuccio rientrò in città e nel 1508 ratificò nuove leggi statutarie. Combatté quindi per la Chiesa contro l’esercito di Carlo VIII presso Reggio Emilia e morì a Modena nel 1510. Gli succedette nel governo di Matelica il cugino Giovanni, che assunse il potere nonostante fosse presbitero: questi promosse numerosi interventi urbanistici, fra cui la costruzione di logge nella pubblica piazza nel 1511. Nel primo Cinquecento il numero dei membri della famiglia era aumentato e risultò pertanto arduo accertare chi fosse il più anziano destinato a governare la città, secondo gli accordi del 1487: le continue rivendicazioni giunsero a papa Paolo III, che nel 1534 emanò un breve per porre rimedio alla questione. Gli Ottoni (ora così definiti) trovano un accordo due anni dopo, convenendo di istituire un registro familiare delle nascite, redatto da un notaio e conservato dal guardiano del convento di S. Francesco: in quell’anno si contavano 17 maschi nella famiglia.
Nel corso del Cinquecento le crescenti rivalità interne per la primazia si associarono alle rivolte della comunità locale. La lotta per il potere fra Antonio Maria e Antonio catalizzò gli scontri cittadini per molti anni. Nel 1547 si giunse a una prima transazione fra gli Ottoni e un sindaco del Comune: i signori rinunciavano a ogni ingerenza sulle nomine nei consigli in cambio della restituzione dei beni loro confiscati due anni prima, dopo una rivolta. Negli anni successivi, gli uomini di Matelica si appellarono continuamente al papa e ai governatori della Marca per chiedere la destituzione degli Ottoni dalla carica di vicari e l’esilio dalla città, ma sia Paolo III, nel 1548, sia Giulio III, nel 1551, confermarono agli Ottoni il titolo di vicari. Seguirono tuttavia altre sommosse: nel 1559 Antonio Maria dovette fuggire da Matelica e l’anno successivo il papa inviava un commissario per sanare i dissidi fra gli Ottoni e la comunità. Nell’agosto 1563 Pio IV investì nuovamente Antonio Maria del vicariato, in cambio di un censo di 10.000 scudi d’oro. Due anni dopo gli uomini di Matelica intentarono un altro processo dinanzi al papa, esprimendo l’auspicio di tornare sotto il diretto governo della S. Sede. Nel corso delle indagini svolte dalla curia per rilevare eventuali abusi di potere da parte degli Ottoni, Pirro fu imprigionato a Roma per ordine del governatore della città Alessandro Pallanteri. Alla fine del processo, però, nell’agosto 1570, il cardinale Giovanni Albani, incaricato di pacificare Matelica, confermò le precedenti disposizioni papali. Nel 1572 Gregorio XIII liberò Pirro e confermò di nuovo il vicariato agli Ottoni, imponendo una riconciliazione con la comunità. Non furono le resistenze locali, bensì le insolvenze finanziarie nei confronti della Camera apostolica a provocare la destituzione dal potere. Nel 1578 la Camera apostolica, in seguito ai mancati pagamenti, dichiarava gli Ottoni decaduti dal governo di Matelica, che ritornò sotto la diretta autorità della Sede apostolica. Terminava così, nel dicembre 1578, la plurisecolare signoria degli Ottoni su Matelica.
Dopo la destituzione dal vicariato, alcuni membri della dinastia tentarono invano di ristabilire il loro potere sulla città, sia supplicando il papa sia cercando di sobillare la popolazione. La famiglia si estinse nel 1737, quando Girolamo Ottoni morì a Roma senza eredi.
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