OTTONE I il Grande, imperatore e re di Germania
Figlio di Enrico I, nato il 23 ottobre 912, morto a Memleben il 7 maggio 973. Nel 929 sposò Editta, figlia di Atelstano re degli Anglosassoni (morta il 25 gennaio 946) e il 2 luglio 936 successe al padre, che già nel 935 lo aveva designato come futuro re. Contrariamente a quanto aveva fatto il padre, O. si fece ungere e incoronare: la scelta di Aquisgrana, la città di Carlo Magno, per questa cerimonia, è un indizio di quali fossero le ambizioni del nuovo re: favorire il clero come contrappeso ai signori laici, legarsi più strettamente i duchi, che fino allora non avevano verso di lui se non il vincolo feudale e procurare così maggior potenza alla monarchia. Sennonché, durante i due primi decennî del suo regno, questa via si mostrò spinosa, anche a causa di alcune sue misure imprudenti; soltanto con l'esperienza O. divenne quel sommo uomo di stato, al quale la storia ha conferito il titolo di "grande".
In questo primo periodo i maggiori pericoli gli vennero dai principi e dalla sua stessa famiglia. Dapprima fu Tangmaro, suo fratello maggiore ma illegittimo, il quale fu ucciso nel 938; poi il fratello minore Enrico, alleatosi nel 939 con i duchi di Franconia e di Lotaringia. La fortuna arrise a O., poiché uno dei suoi avversarî fu ucciso e l'altro morì di morte naturale, sicché Enrico, rimasto isolato, fu costretto a sottomettersi. Rimaneva preoccupante la questione della Lotaringia che era passata alla Francia. O. si valse contro il re Luigi V dell'opera del suo avversario interno e rivale, il duca di Francia della famiglia capetingia, dal quale, insieme con altri signori francesi, fu riconosciuto sovrano ad Attigny presso Reims, nel 940. Dopo lunghe difficoltà si venne nel 942 a un accordo col re di Francia, rinnovato nel 947 dopo una seconda guerra. Il re di Francia s'adattò alla perdita della Lotaringia, e O. rinunciò a trarre ulteriori conseguenze dalla proclamazione di Attigny. In seguito, anziché aspirare alla costituzione di un regno franco unitario, si contentò di mantenere in Francia l'equilibrio tra le case carolingia e capetingia, nella quale ultima erano entrate per matrimonio le sue sorelle. Questa funzione di arbitro, con la quale O. si garantì la sicurezza a occidente, s'espresse soprattutto nei sinodi tenuti in territorio germanico, a Ingelheim e a Treviri (948). Anche l'influenza della Francia sulla Borgogna venne soppressa. Dopo la morte del re Rodolfo II (937), O. aveva preso presso di sé ed educato, probabilmente in qualità di tutore, l'erede al trono, Corrado. Questi assunse il governo nel 943, ma, dato il contegno ribelle dei suoi vassalli, rimase sempre dipendente da O. Degli stati settentrionali O. non s'occupò che occasionalmente: i particolari della sua azione verso la Danimarca rimangono contestati, per la scarsezza e la contraddittorietà delle testimonianze. L'Oriente invece lo tenne occupato durante l'intera sua vita; e quanto maggiore fu la sicurezza di cui godeva all'interno e verso occidente, tanto più grandiosi divennero i disegni che egli cercò di attuare colà. Due potenti ausiliarî egli ebbe in Ermanno Billung e nel margravio Gero, i quali estesero la sfera d'influenza germanica dall'Elba fino al Mar Baltico, al corso superiore dell'Oder e al confine della Slesia. Entro questo territorio sorsero la marca di Billung sul Baltico e, a mezzogiorno di questa, quella di Gero, che dopo la sua morte (965) fu divisa in cinque margraviati.
Questo cordone confinario, nel quale più tardi penetrò una intensa immigrazione germanica, fu rafforzato con la fondazione di nuovi vescovati, la cui serie s'allineava dai monti della Boemia al Baltico, e di là più oltre fino alla Danimarca, dove sorgevano contemporaneamente, e non senza partecipazione di O., tre vescovati. Il re cercò di riunire le nuove diocesi in un'unica provincia ecclesiastica ma a causa di resistenze ecclesiastiche non riuscì che nel 968 a ottenere l'erezione dell'arcivescovato di Magdeburgo. La nuova organizzazione servì inoltre a intensificare l'opera di cristianizzazione alla quale si aprì allora, tra la Svezia e i Balcani, un immenso campo d' azione. La Boemia era già cristianizzata, e poco dopo la morte di O. ebbe il vescovato di Praga, già da tempo progettato. Dalla Boemia il cristianesimo si propagò nella Polonia, la quale appunto durante il regno di O. s'affermò come stato potente ed esteso. A Poznań fu istituito il vescovato polacco, e nel 963 la Polonia divenne tributaria della Germania, come già aveva fatto la Boemia sotto Enrico I e come aveva confermato nel 950. Tuttavia il suo massimo successo O. l'ebbe con gli Ungari, che dalla fine del sec. VIII erano stati il flagello dell'Europa e contro i quali già Enrico I aveva fatto potenti sforzi. La lotta continuò in forma di scaramucce, finché nel 954 gli Ungari tornarono all'assalto, lusingati dalle difficoltà nelle quali O. s'era trovato nuovamente impigliato in Germania. Causa di queste furono le vicende svoltesi in Italia. Nel 948 O. aveva nominato duca di Baviera suo fratello Enrico, il quale da allora in poi gli rimase fedele. La Svevia era toccata nel 950 a suo figlio Liudolfo e in Lotaringia dominava suo genero, Corrado il Rosso. Poiché O. stesso aveva, oltre a quello della Sassonia, anche il dominio diretto della Franconia, sembrava che al debole vincolo feudale dei duchi si fosse ora sostituita la salda unione della casa di Sassonia. Sennonché i duchi di Svevia e di Baviera nutrivano ambedue la speranza di estendere la loro potenza in Italia, dove si svolgeva una grave crisi interna. Il re Berengario, che O. aveva dapprima appoggiato, aveva catturato la figlia del suo predecessore Lotario, Adelaide, ed essendo questa sorella del re Corrado di Borgogna, protetto di O., il re di Germania fu indotto a intromettersi direttamente nelle contese interne dell'Italia, nelle quali aveva già preso parte Liudolfo, benché senza successo, e ad arrestare Berengario. Fattosi proclamare re d'Italia a Pavia il 23 settembre 951, chiese la mano di Adelaide, con la quale avrebbe guadagnato un titolo alla corona d'Italia. Forse fino da allora O. meditava di recarsi a Roma ad assumervi la corona imperiale, ma finché Alberico manteneva saldo il dominio sulla città e sul papato non era neppure da pensare di mettere a effetto un siffatto disegno. O. del resto dissimulò i suoi intenti anche di fronte a Berengario: rinunziò alla corona d'Italia, e ne diede l'investitura a Berengario, recatosi in Germania, nell'agosto 952. Il maggior profitto ne trasse Enrico di Baviera, al quale Berengario dovette cedere la marca di Verona. Irritato di ciò, Liudolfo di Svevia ottenne l'appoggio di Corrado di Lotaringia, dell'arcivescovo di Magonza e di altri signori, per farsi innalzare al trono. Dal 953 la Germania fu dilaniata dalla guerra civile. Di questa situazione trassero profitto gli Ungari per invadere nel 954 il territorio germanico, trovando appoggio nei ribelli. Ciò richiamò le simpatie verso il re. Liudolfo e Corrado cercarono di ritornare in grazia, e quando nel 955 gli Ungari tornarono, trovarono O. a capo di tutte le stirpi germaniche e toccarono da lui, nella pianura di Lechfeld presso Augusta, una gravissima sconfitta (10 agosto). Da questo momento una nuova era si apre per l'Occidente così a lungo tormentato dagli Ungari. Avendo infatti anche i Bizantini cominciato a respingerli con successo, gli Ungari cominciarono a prendere sede stabile nella pianura ungherese. Poco prima della sua morte O. ricevette un'ambasciata di Ungari, la quale fu segno che quel popolo, fino allora nomade e conquistatore, intendeva d'ora innanzi vivere in relazione pacifica con l'Occidente.
Anche il re Berengario aveva cercato di sfruttare la situazione a proprio vantaggio. La morte di Liudolfo (957) lo liberò da una guerra con l'avversario; ma poiché la sua potenza si faceva sentire anche sul territorio della Chiesa, il papa, che allora era il giovane Giovanni XII, figlio di Alberico (morto nel 954), chiamò in suo soccorso O. Questi, essendo assicurata la pace così in Germania come a oriente, potè varcare le Alpi alla fine del 961, dopo aver fatto incoronare re il figlio O., il maggiore dei figlioli rimastigli.
Il 2 febbraio 962 O. ricevette dal papa la corona imperiale, rimasta vacante da una generazione, e il 13 febbraio confermò i patti degl'imperatori precedenti. Nell'Italia settentrionale Berengario continuava nella sua opposizione, e nel 963 il papa, cui il nuovo imperatore cominciava a dar fastidio e che cercava appoggi a Costantinopoli e in Ungheria, si schierò dalla sua parte. Ma O. lo prevenne, lo fece deporre e fece eleggere Leone VIII (963-965). Berengario, fatto prigioniero, fu condotto a Bamberga, mentre suo figlio Adalberto proseguì per qualche tempo la resistenza senza successo. Morto improvvisamente Giovanni XII nel 964, mentre aveva ripreso la lotta, i Romani continuarono a combattere sotto il papa Benedetto V, ma dopo poche settimane dovettero cedere a Leone VIII. A quest'ultimo successe, in seguito a un'elezione legale, Giovanni XIII (965-972), il quale era imparentato tanto coi Crescenzî quanto con Alberico, e si trovava perciò in mezzo alle fazioni che lottavano per il predominio in Roma. O. dovette tornare in Italia nel 966 per portargli soccorso; procedé con rigore contro il partito nazionale romano e, per assicurare l'avvenire di suo figlio Ottone, lo fece nel 967 incoronare come collega nell'impero. Condizione di questa esaltazione dell'erede imperiale era il matrimonio con una principessa bizantina, ma in relazione con questo desiderio dell'imperatore stava la sua intenzione di togliere ai Bizantini l'Italia meridionale, in modo da riunire sotto il proprio scettro l'intera penisola. A partire dal 967 s'intrecciarono trattative diplomatiche e azioni guerresche in Puglia; finalmente nel 972 un compromesso eliminò il pericolo d'una guerra dichiarata tra i due imperi. L'usurpatore del trono imperiale di Costantinopoli, Giovanni I Zimisce, probabilmente dietro riconoscimento tacito del titolo imperiale, diede sua nipote Teofano in moglie a Ottone II, che aveva sperato di poter impalmare una principessa della dinastia legittima; così ebbe fine la lotta per l'Italia meridionale. Quivi O. s'accontentò che Pandolfo I Testadiferro si costituisse intorno a Benevento una marca sul tipo di quelle che Gero e Hermann Billung tenevano a oriente in suo nome. Nel 972 O. poté ritornare in Germania. Quando, l'anno seguente, egli morì in età di 61 anno, lasciava all'unico figlio sopravvissutogli uno stato pacificato e consolidato così all'interno come all'estero.
Nell'Europa, che ancora una generazione addietro era in pericolo di essere sommersa dalle invasioni degli Arabi, dei Vichinghi, degli Ungari, s'era costituito un blocco compatto, più piccolo sì, ma più duraturo di quello carolingio. All'interno l'anarchia era domata. Al tempo stesso un nuovo impulso fu dato alla cultura. Rifioriscono lo studio delle scienze e la storiografia; l'architettura, la pittura, la poesia cominciano a formarsi un nuovo stile. Si è pertanto parlato di un "rinascimento ottoniano", espressione impropria, cui dovette sostituirsi quella di "cultura ottoniana". Nel campo della legislazione O. non modificò gran che del diritto vigente, salvo in Roma, dove fece valere più che alcun altro imperatore prima di lui i diritti imperiali nell'elezione del papa. La più notevole innovazione fu l'introduzione in Italia del duello, fondato sul concetto del giudizio di Dio. E in Italia il suo dominio affrettò lo sviluppo del feudalismo; O. riconobbe i signori che erano venuti a lui, ma, come in Germania, promosse, a garantire l'equilibrio contro di essi, il potere degli ecclesiastici. Come personalità, O. corrisponde pienamente all'ideale del sovrano della sua età. Negli anni più tardi, a una politica accuratamente ponderata si sostituì talvolta un'audacia frettolosa. Widechindo (II, 36) ha lasciato di lui una descrizione fisica e morale nello stile di Eginardo; la barba corta e piena da lui menzionata è riprodotta anche nei ritratti di O.
Il rinnovamento dell'impero per opera di Ottone I è stato fatto segno a un'aspra critica da parte della posterità: agl'Italiani esso è apparso come l'inizio della dominazione straniera, ai Tedeschi come un traviamento dai compiti nazionali. Considerando l'opera di O. in sé stessa, risulta che egli fu necessariamente condotto a seguire quella via sia dalle idee del suo tempo sia dalla situazione politica da lui trovata. Ciò che egli creò, e che altri per secoli dopo di lui hanno difeso, è divenuto una delle più stabili e più profonde concezioni del Medioevo. Per i due paesi che l'impero riunì insieme, esso è stato una via indiretta verso la costituzione dello stato nazionale dell'età moderna, via che altri popoli non hanno avuto bisogno di percorrere. Non si deve peraltro dimenticare che l'Italia era stata disunita dalle conquiste bizantine e saracene, dalle immigrazioni longobarde e normanne e che la Germania era sorta a regnum Theutonicorum (questo nome non apparve che nel 919) da un fascio di singole stirpi. Né si deve trascurare la circostanza che ambedue i paesi, a causa della loro posizione centrale, venivano a trovarsi permanentemente, a differenza di altri, in una zona pericolosa. Che tuttavia l'idea di un'Italia unitaria e indipendente abbia potuto mantenersi e che le stirpi germaniche abbiano potuto fondersi in un'unità indissolubile è dipeso, e non in ultimo grado, dal fatto che nel vasto ambito dell'idea imperiale s'è potuto mantenere il concetto dello stato italiano e di quello germanico. Talché la via traversa, che ambedue i paesi dovettero percorrere in seguito all'opera di Ottone I, è stata necessaria e feconda.
Fonti: Mon. Germ. Hist., Dipl., I; I. F. Böhmer e E. v. Ottenthal, Regesten des Kaiserreichs, 919-973, 1893
Bibl.: R. Köpke e E. Dümmler, Kaiser Otto d. Gr., Lipsia 1876; K. Hampe, in Meister der Politik, 2ª ed., Stoccarda 1923; W. von den Steinen, Otto d. Gr., Breslavia 1928; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, IV, i, Gotha 1915; A. Visconti, Legislazione di O. I, in Arch. stor. lomb., s. 6ª, LII (1925); A. Hauck, Kirchengechichte Deutschlands, 4ª ed., Lipsia 1920; A. Cartellieri, Weltstellung des deutschen Reiches 911-1047, Monaco 1932; K. Hampe, Das Hochmittelalter, Berlino 1932; P. E. Schramm, Die deutschen Kaiser und Könige in Bildern ihrer Zeit, Ipsia 1928; O. Bögl, Die Auffassung von Königtum und Staat im Zeitalter der sächsischen Könige und Kaiser, Erlangen 1932; E. N. Johnson, The secular Activities of the German Episcopate 919-1024, Lincoln, U. S. A., 1932.