DEL CARRETTO, Ottone
Di nobile famiglia ligure, nacque in epoca imprecisata da Oddonino, definito da F. Filelfo "uomo prudentissimo", e fu fratello di Giacomo, Spinetta e Pietro, vescovo di Alba.
Di lui, giureconsulto, non si conosce prima del 1456 l'attività svolta presso il duca di Milano, che almeno dall'agosto di quell'anno lo inviò come ambasciatore a Roma presso Callisto III. Il 18 ag. 1456, infatti, lo Sforza, sempre teso ad ottenere il riconoscimento imperiale, gli scriveva a Roma di mettersi a disposizione dell'oratore dell'arcivescovo di Colonia. Ancora con questo fine, due anni dopo, il duca invitò il D., che era allora coadiuvato a Roma da Sceva de Curte, a rivolgersi a Niccolò da Cusa, perché operasse pressioni presso l'imperatore, ma il cardinale avanzò subito controrichieste che lasciarono perplessi gli oratori e insoddisfatto lo Sforza. D'altra parte in quell'anno accaddero sulla scena politica italiana due avvenimenti di notevole importanza: la morte prima di Alfonso di Aragona e quella del papa poi. Alla morte dell'Aragonese il papa Callisto III assunse un atteggiamento nettamente contrario al figlio Ferdinando.
Il 24 di quel mese era giunto a Roma Giovanni Caimi, che lo Sforza inviava all'Aragonese e il papa, come riferiva il D., cercò in ogni modo di convincere gli oratori dell'inopportunità di quest'invio, minacciando anche di ricorrere all'aiuto francese. Del resto già nel maggio, prima cioè della morte di Alfonso, il D. aveva scritto allo Sforza dell'intenzione del papa di privare Ferdinando del regno. Ma a nulla valsero le istanze del pontefice, poiché lo Sforza, che aveva visto intanto con estrema irritazione i Francesi istallarsi a Genova, aveva scelto la via del sostegno all'Aragonese. Trascorsi pochi giorni da questi colloqui il D. dovette comunicare a Milano che anche il papa si era ammalato e avendo scritto il 1° agosto che questo era "in gravissima infermità", il 3 specificava che non c'era "da sperare de la salute sua".
L'orientamento di Milano riguardo all'elezione del nuovo pontefice era senza esitazioni in favore del card. Domenico Capranica, che si riteneva estremamente favorevole allo Sforza e con il quale il D., per incarico del duca, aveva mantenuto relazioni amichevoli e deferenti. Nell'istruzione del 2 agosto al D. lo Sforza faceva in seconda istanza il nome del card. Prospero Colonna e, nel caso che nessuno dei due avesse possibilità di accedere alla tiara, invitava l'oratore ad attenersi alle direttive del Capranica. La candidatura di quest'ultimo però cadde da sé, poiché egli morì otto giorni dopo il papa.
Il D. dovette allora prendere decisioni autonome e mentre informava Milano degli avvenimenti romani, come la partenza dei nipoti del papa defunto, e relativi allo Stato della Chiesa, come l'ingresso del Piccinino nei territori pontifici, egli si orientò immediatamente per Enea Silvio Piccolomini, sia per le probabilità che gli attribuiva di essere eletto, sia per l'orientamento filomilanese che gli riconosceva. Il 20 agosto il D., che aveva con sé a Roma Antonio da Pistoia, con una lunga e dettagliata relazione dava notizia allo Sforza dell'elezione di Pio II, attribuendosene molti meriti. In effetti il papa sembrò subito ben disposto verso il duca di Milano, al cui oratore parlò, il giorno stesso dell'elezione, della sua intenzione di coagulare intorno a sé tutti i principi cristiani per una crociata contro gli Ottomani. Successivamente il D., che per questo fu in relazione diretta con l'oratore milanese a Napoli, Antonio del Treppo, poté comunicare allo Sforza notizie corrispondenti alle sue aspettative riguardo alla politica verso Ferdinando del papa, che nel novembre inviava all'Aragonese la bolla d'investitura.
Quando il 22 genn. 1459 Pio II si mise in viaggio alla volta di Mantova, dove aveva convocato la Dieta, il D. fu uno degli inviati, che con vari cardinali e curiali costituivano il seguito del papa. Con lui si portò a Perugia prima e quindi a Siena. A Firenze furono raggiunti da Galeazzo Maria Sforza, che il padre aveva inviato ad ossequiare il pontefice. Il 30 maggio il D., che era entrato tre giorni prima con il papa a Mantova, dove erano ad accoglierlo Bianca Maria Sforza con altri figli, mandava a Milano una relazione particolareggiata, insieme con Giacomo Antonio Della Torre, vescovo di Modena, che lo coadiuvava, in cui metteva a parte il duca della mancata presenza di sovrani e di inviati a ricevere il papa. Il D. rimase a Mantova fino al gennaio dell'anno dopo, quanto cioè durò la Dieta, ricevendo il duca alla fine di settembre e inviando relazioni su relazioni, copie di discorsi e di documenti a Milano.
Soprattutto egli dovette mantenere la difficile posizione di inviato del principe che si riteneva pieno di buona volontà e vicino al papa più di ogni altro, ma che in realtà faceva un giuoco complicatissimo; lo Sforza infatti non avrebbe mai ammesso di non essere pronto ad aiutare con uomini e con denari e magari con la sua presenza stessa la crociata, ma in effetti non aveva davanti agli occhi che il bene dello Stato milanese e della sua casa, era pieno di diffidenza soprattutto verso i Veneziani ed i Francesi e teneva sempre presenti i problemi del Regno e quelli suscitati dal Piccinino. Mai comunque avrebbe voluto rinunciare al suo ruolo di signore benvoluto dal papa e il D. doveva compiere questo miracolo di equilibrio, perché, come tutti gli oratori sforzeschi, egli era uno strumento, che si voleva abile, ma solo per effettuare la volontà, espressa inoltre molto cautamente, del signore.
Nell'ottobre il D., che dopo Mantova si era trattenuto a Siena per vari mesi con il pontefice, scriveva da Roma insieme con Agostino de Rossi, come Pio II fosse preoccupato delle minacce di Carlo VII di convocare un concilio. Questo atteggiamento antifrancese del papa non poteva che trovare appoggio da parte dello Sforza, il quale continuava ad aiutare Ferdinando d'Aragona contro la spedizione di Giovanni d'Angiò, ma mai ufficialmente e sempre professandosi figlio devoto del re di Francia. Così quando Genova nel 1461 si liberò dei Francesi il duca scriveva al D. che supplicasse il papa di mantenere il segreto sugli aiuti che egli aveva dato ai ribelli. Poco prima l'oratore aveva riferito allo Sforza come il pontefice sperasse di ricevere aiuto nell'impresa contro Sigismondo Malatesta, ma il duca aveva risposto negativamente, ritenendo che tutte le forze dovessero essere concentrate in difesa della causa di Ferdinando d'Aragona.
Con la morte di Carlo VII i rapporti dello Sforza con la Francia divennero più facili, perché il duca aveva con Luigi XI legami di simpatia e di amicizia che risalivano a quando questi era ancora delfino; rimaneva però sempre fra loro la questione del Regno, non potendo Luigi XI non porgere almeno un sostegno politico all'Angiò. Inoltre lo Sforza si trovava a recitare la parte del grande amico sia con Luigi XI sia con Pio II, mentre i rapporti fra questi ultimi due non erano più cordiali, anche perché il re, pur avendo abolito nel novembre 1461 la prammatica sanzione, continuava ad agitare nei confronti del papa lo spauracchio del concilio.
Il D. faceva relazione a Milano dello svolgersi della politica pontificia nei confronti della Francia ed anche dei sentimenti del papa verso il re. Nella primavera del 1462, prima che la battaglia di Troia fugasse i suoi timori, il papa ebbe una vera e propria crisi di coscienza. Fece chiamare il D. ed ebbe con lui un colloquio a cuore aperto. Prospettò all'oratore la situazione che si sarebbe venuta a creare per Milano, Firenze e Venezia nel caso di un attacco francese; illustrò le condizioni non floride né tranquille da tutti i punti di vista dello Stato ecclesiastico e chiese al D. se riteneva che fosse effettivamente opportuno continuare a sostenere re Ferdinando, la cui situazione egli cominciava a credere disperata. Il papa insistette per avere un consiglio dall'uomo, più che dall'ambasciatore e il D., dopo essersi affannato a rafforzare Pio II nelle antiche posizioni, riferì il colloquio al duca e sugli argomenti sciorinati al pontefice. Nei giorni successivi, dopo l'arrivo a Roma di una ambasceria francese, esplicò un'attività frenetica per impedire che potesse trapelare alcun tentennamento del pontefice.
Fu da Petriolo, dove aveva accompagnato il papa, che il D. nell'ottobre 1462 fece relazione particolareggiata della situazione che aveva determinato le vittorie di re Ferdinando a Troia e quella di Federico d'Urbino sul Malatesta al Cesano nei pressi di Senigallia, avvenuta nell'agosto. Nel febbraio del 1463 il D., che dal 19 maggio dell'anno precedente era entrato a far parte del Consiglio segreto, fu coadiuvato a Roma da Corrado da Fogliano, con il quale ebbe colloqui con il papa; questi si lamentò con loro dell'atteggiamento dei Veneziani a proposito della lotta da lui condotta contro Sigismondo Malatesta.
Nel concistoro del 23 settembre del 1463, Pio II rese noti i suoi disegni a proposito della crociata contro i Turchi. Il giorno dopo, insieme con Agostino de Rossi, che sarebbe da allora in poi rimasto con lui presso il papa, il D. scriveva al duca che bisognava rassicurare il pontefice sulla intenzione di Milano di collaborare all'impresa contro il Turco, perché altrimenti Pio II si sarebbe gettato nelle braccia dei Veneziani. Successivamente i due oratori informarono minuziosamente il duca sugli atteggiamenti delle varie potenze riguardo alla crociata, sui dubbi che si nutrivano in merito all'arrivo del duca di Borgogna, sull'animo "molto ardente" del papa all'impresa. Nel novembre, però, i due oratori ricevettero i furiosi rimproveri dello Sforza, da loro non informato su alcune iniziative politiche del papa; in special modo egli aveva avuto notizia della lega stretta fra il papa, Venezia e la Borgogna, non da loro, ma dall'ambasciatore a Venezia. I due oratori si giustificarono con una lunghissima lettera, mentre nello stesso tempo cercavano di non rivelare che il duca non era affatto disposto a seguire alla crociata il Papa. Del resto l'accordo fra il pontefice e lo Sforza si era incrinato dopo la conclusione della lega dell'uno con Venezia e Borgogna e dell'altro con Luigi XI.
Con il papa il D. si recò a Siena e a Petriolo dal febbraio al maggio 1464, e, tornato a Roma, inviò allo Sforza la richiesta di poter tornare a Milano prima che avesse inizio la crociata, per mettere ordine nei propri affari privati. Anche se il D. cominciava a credere che l'impresa si sarebbe realizzata, prima della partenza del papa (e sua) per Ancona cercò di indurre il pontefice, a cui lo Sforza aveva promesso l'invio del figlio, a rimandare tutto di un anno.
Morto Pio II (15 ag. 1464) il D., che nel luglio era stato a Milano, invio al duca la copia della capitolazione firmata dai cardinali l'11 settembre, riducente in effetti i poteri del futuro pontefice, che Paolo II, rapidamente eletto, cercò immediatamente, come scriveva il D. il 21 settembre, di attenuare. Anch'egli, che pure aveva invitato già nel giugno lo Sforza a blandire il card. Pietro Barbo, ebbe modo di lamentarsi del fare indeciso e sospettoso del papa e della sua "arte di dare belle parole senza effecto".
Il D. continuò a inviare le sue relazioni a Milano fino all'11 genn. 1465, giorno della sua morte, avvenuta a Roma. Fu seppellito nella chiesa di S. Francesca Romana, dove il figlio Oddomino gli fece apporre una lapide e forse L. Crivelli compose per lui un elogio funebre, come sembra di poter dedurre da una lettera del letterato milanese.
Fonti e Bibl.: L. Crivelli, De expeditione Pii papae II adversus Turcos, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIII, 5, a cura di G. C. Zimolo, ad Indicem; V.Forcella, Iscrizioni delle chiese... di Roma, II, Roma 1873, p. 10; L. v. Pastor, Ungedruckte Akten zur Geschichte der Päpste…, I, Freiburg im Breisgau 1904, ad Indicem; Cronaca di anonimo veronese, a cura di. G. Soranzo, Venezia 1915, pp. 106, 132, 146, 160; Gli uffici del dominio sforzesco, a cura di C. Santoro [Milano 1948], pp. 7, 10; G. B. Picotti, La Dieta di Mantova, Venezia 1912, ad Indicem; M. Morpurgo Castelnuovo, Il card. Domenico Capranica, in Arch. della Soc. romana di st. patria, LII (1929), pp. 67-70, 134-37; P. De Brayda, I Del Carretto…, Roma 1933, p. 27; F. Cusin, Le relazioni fra l'Impero e il Ducato di Milano... (1454-1466), in Arch. stor. lomb., LXV (1938), p. 9, nn. 22 ss.; F. Catalano, La nuova Signoria, in Storia di Milano, VII, Milano 1956, pp. 118, 120 s., 123, 145 s., 157, 199, 202 s.; E. Meuthen, Die letzten Jahre des Nikolaus von Kues, Köln - Opladen 1958, ad Indicem; L. v. Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1958; II, ibid. 1961, ad Indices; L. Cerioni, La diplomazia sforzesca..., Roma 1970, ad Indicem.