MANDELLO, Ottone da
Figlio di Alberto, membro di una delle più potenti casate aristocratiche milanesi, nacque intorno agli anni Ottanta del XII secolo.
La famiglia del M. apparteneva alla nobiltà milanese, in quanto membro dell'ordo dei capitanei; i da Mandello erano infatti vassalli imperiali per il feudo di Maccagno. Possedevano inoltre altri importanti beni e diritti signorili in tutta l'area settentrionale del contado milanese. Essi risultano saldamente radicati in Milano: durante il lungo conflitto con l'imperatore Federico I detto il Barbarossa, mentre i signori delle campagne prendevano posizione a favore di Federico I, i da Mandello rimasero legati alle sorti della città, tanto che un loro esponente, Tazio da Mandello, ne guidò l'esercito nel 1158. Al contrario di altre discendenze aristocratiche, essi seppero bene adattarsi alle nuove esigenze della vita urbana e rimasero fra le casate più potenti anche nel corso del Duecento. Le informazioni sul patrimonio e sulle attività economiche della famiglia sono scarse e poco coerenti, ma le notizie concordano nel delineare una gestione razionale dei beni, con importanti investimenti nel miglioramento delle rese fondiarie tramite lo scavo di canali di irrigazione e l'edificazione di cascine. A partire dagli ultimi anni del XII secolo un contributo fondamentale alle finanze e al prestigio familiare giunse dall'impegno di diversi membri nel ruolo di podestà nei Comuni italiani. Uno dei primi fu Alberto, padre del M., che nel giro di quarant'anni ricoprì almeno una decina di importanti incarichi come rettore di Genova (1198), Padova (1203-04), Como (1206 e 1221), Vercelli (1208), Faenza (1211), Firenze (1219-20) e Bergamo (1234).
Come Alberto, il M. si indirizzò verso una vivace carriera di podestà itinerante, nell'ambito della quale mise a frutto le sue capacità sia a favore delle città che lo chiamavano sia a vantaggio della sua città d'origine, verso la quale cercava di orientare lo schieramento politico dei centri da lui governati. Per esempio, il suo primo incarico podestarile a Tortona, nel 1210, fu particolarmente utile, con la contemporanea rettoria del conterraneo Guglielmo de Alliate ad Alessandria, nella rete di alleanze che Milano andava intessendo ai danni di Pavia, con la quale era in conflitto.
A questa prima esperienza esterna seguì un periodo di impegno nell'arena politica milanese, dove il M. assunse un ruolo di primo piano nello schieramento nobiliare che si opponeva all'ascesa del Popolo. Nel 1213 a Milano fu istituita una magistratura straordinaria, con la nomina di due podestà popolari e due aristocratici. Questi ultimi furono Manfredo de Buxinate e il Mandello. La magistratura era volta alla pacificazione fra le due parti, dopo i duri conflitti del secolo, e aprì la strada alla definitiva affermazione del regime podestarile, a partire dal 1214.
Nel 1218 il M. fu podestà a Firenze, dove è ricordato per il giuramento a fini fiscali imposto a tutti gli uomini del Comune legati ai conti Guidi, di Mangone, di Capraia, di Certaldo e altre discendenze signorili, oltre che per la costruzione del secondo ponte sull'Arno, detto della Carraia. Nel 1219 fu chiamato a reggere Arezzo.
Il M. ricompare nel 1221: il 9 maggio, con altri maggiorenti milanesi, assistette all'atto con cui Amizone Sacco, podestà di Milano, si impegnò con Ugolino, cardinale vescovo di Ostia, il futuro Gregorio IX, a inviare un contingente alla progettata crociata che doveva avere per guida l'imperatore Federico II di Svevia. Il suo legame con l'illustre curiale gli valse nell'anno successivo un importante ma delicato incarico a Piacenza, dove il suo ruolo fu decisamente politico. Egli, nominato dal medesimo Ugolino, doveva da un lato assicurare l'allineamento del Comune piacentino alle posizioni di Milano, dall'altro aveva il compito di far accettare al Popolo piacentino le decisioni del cardinale, il quale aveva voluto lo scioglimento della fazione popolare e la destituzione del podestà Guglielmo Landi. La situazione si deteriorò rapidamente e quando il M. decise di attaccare la casa di Landi per arrestarlo, fu sconfitto, catturato dai popolari e allontanato dalla città; Piacenza si alleò così con Cremona.
Lo scacco vissuto a Piacenza non nocque alla carriera del Mandello. Il fatto che egli fosse uno dei capi dei nobili milanesi non implica che egli dovesse rivestire lo stesso ruolo anche nelle città di cui era podestà; anzi, pare che le sue doti e la sua esperienza gli permettessero di perseguire drastiche politiche di rafforzamento delle compagini comunali, soprattutto contro l'aristocrazia rurale, come già avvenuto nel corso della podesteria fiorentina. A Padova, nel 1225, sotto il suo regime furono emanati statuti volti a limitare i poteri dei signori nelle campagne e in città. Già all'epoca, il M. si presentava come il principale referente del fronte antimperiale nella regione, tanto da essere il destinatario di una lettera di esortazione (tradizionalmente datata al 1235 e ora più correttamente attribuita al 1225) da parte dei rettori della Lega a muovere con decisione contro Federico II.
Le sue competenze militari furono particolarmente apprezzate in Toscana. Nel 1230 fu richiamato a Firenze, in sostituzione del concittadino Giovanni Bottacius, che aveva subito diversi insuccessi. Nel corso di tale incarico condusse una vittoriosa campagna di guerra contro Siena, che portò a una battaglia sotto le mura della rivale, il 15 giugno 1230, conclusasi con la cattura del podestà senese, l'aretino Arrigo Testa, di un migliaio di combattenti e di qualche centinaio di altri fra uomini e donne. Meritatamente rieletto, egli intraprese trattative di pace con Siena, sotto l'egida di Gregorio IX. Ciò suscitò però l'ira dei Fiorentini, tanto che in città scoppiarono tumulti contro il M., accusato di debolezza. Egli rimase comunque molto legato a Firenze, tanto che nel 1233 intervenne a favore del fiorentino Pegolotto Gherardini, podestà di Genova, accusato di essersi appropriato di fondi del Comune.
La fama acquisita dal M. gli valse ulteriori, delicati incarichi. Rolandino da Padova presenta con inusuale chiarezza l'intreccio dei motivi che ne determinarono la nomina a podestà di Padova, nel 1234: minacciando infatti l'imperatore la discesa in Lombardia, Cremona e Milano si affrettarono a chiamare a raccolta gli alleati; il Comune di Padova si diede come rettore il M., "vir sapiens et in multis regiminibus iam expertus": egli stesso, infatti, e prima di lui suo padre, erano stati podestà di Padova ("ipse namque iam alio tempore, et ante ipsum pater eius Albertus de Mandello potestas Padue fuerat", Chronica, p. 59). Venne dunque effettuata una scelta di schieramento antisvevo, ma nel contempo si cercò una figura che desse garanzie di buon reggimento in un'eventuale emergenza, grazie alla sua esperienza pregressa, e che fosse già nota, così come la sua famiglia, ai Padovani. Nel 1235, nuovamente nominato podestà di Padova, estese la propria autorità anche sul vicino Comune di Vicenza, dove emanò uno statuto che calmierava gli interessi sui debiti. Rettore unitario delle due città, il M. si proponeva come il principale ostacolo alle ambizioni di affermazione sul Veneto di Ezzelino da Romano e di Federico II. Nel biennio successivo si spostò a Vercelli, nel tentativo di mantenere la città nell'ambito dell'alleanza con Milano, contro i tentativi della fazione filoimperiale incentrata sulla potente famiglia dei Bicchieri.
Rientrato a Milano, il M. fu consigliere del Comune nel biennio 1239-40 e incoraggiò la città alla resistenza dopo la sconfitta di Cortenuova (1237). Nel 1241-42 fu rettore di Bologna, divenuta il primo obiettivo delle operazioni militari di Federico II. Ormai anziano, nel 1247 il M. concluse la sua carriera come podestà a Novara, ancora in un ruolo strategico per la campagna di riconquista delle città piemontesi allo schieramento antimperiale, condotta in quegli anni dal Comune di Milano. Dopo questa data se ne perdono le tracce e sono dunque ignoti il luogo e la data di morte.
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