TERZI, Ottobuono
– Nacque dopo la metà del Trecento, primogenito di Niccolò e di una non meglio precisata Margherita, ebbe due fratelli: Jacopo, dottore in utroque iure, e Giovanni.
Alla morte del padre (1398), gli successe alla guida del composito dominio – tra Piacentino (Castelnuovo e Casale Albino), Parmense (Tizzano, Belvedere e Sissa) e Reggiano (Gombio, Gottano e Coladominio) – che Venceslao IV di Boemia aveva eretto in contea nel 1387. Ma dal genitore Terzi ereditò anche la professione delle armi. La tradizione gli attribuisce un apprendistato con i condottieri John Hawkwood e Alberico da Barbiano. Le prime notizie certe portano in Romagna (1393) dove, per conto di Carlo Malatesta, partecipò alla difesa di Bertinoro contro gli Ordelaffi. L’anno seguente, militava tra le gentes di Antonio Acquaviva: mentre si trovava a Offida, nella Marca anconetana, fu chiamato dai Priori di Fermo per cacciare Luca di Canale e le sue milizie.
Nel 1396 fu in Toscana, dove sostenne il signore di Pisa Giacomo Appiani dalle incursioni fiorentine. In Toscana Terzi fu anche nel gennaio del 1397, sotto il comando di Alberico da Barbiano, che vi aveva condotto un gran numero di capitani. Il rapporto tra Terzi e Gian Galeazzo Visconti, presso il quale da tempo militava il padre Niccolò, divenne manifesto sullo scorcio del Trecento. Nell’estate del 1397 Terzi fu infatti tra i capitani mandati dal Visconti alla conquista di Mantova e partecipò alla battaglia di Governolo. Nel 1399 si portò a Pisa, per preparare la cessione della città al duca di Milano, quindi fu nella Marca, dove le sue milizie e quelle di Galeotto Novello Malatesta subirono una disfatta a Cingoli a opera di Ceccolo Broglia e Conte da Carrara. Nel 1400 operò attivamente per il duca in Umbria (a Perugia e altrove). Nel 1401 fu invece assoldato da Carlo Malatesta contro Faenza, poi da Alberico da Barbiano contro Bologna (in entrambi i casi grazie ai finanziamenti viscontei).
In occasione della campagna bolognese un alterco tra gli uomini di Ugolotto Biancardo e quelli di Terzi, entrambi militanti sul fronte visconteo, degenerò in un confronto armato. Secondo i fiorentini, sul campo rimasero moltissimi morti e lo stesso Terzi fu «gravemente ferito» (Cronica volgare di anonimo fiorentino..., a cura di E. Bellondi, 1915-1918, p. 261). Secondo la cancelleria carrarese invece, le dissensiones tra le brigate dei due capitani non furono «tales quod eorum sit mencio facienda» (Il copialettere..., 1915, p. 75).
Nel corso del 1401 continuò a operare nell’area padana per conto di Visconti, respingendo (a Brescia) la spedizione antiviscontea di Roberto del Palatinato, e svolgendo un ruolo importante nella campagna contro Bologna; partecipò infatti alla battaglia di Casalecchio (1402).
Secondo Bernardino Corio furono proprio i meriti dei fratelli Terzi nella conquista di Bologna a indurre Visconti a concedere loro le giurisdizioni già di Giberto da Correggio: «il che fu principio di la proxima disfactione de tutto il Parmegiano» (Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, 1978, II, pp. 967 s.).
Con diploma datato da Milano il 29 luglio 1402 Gian Galeazzo concesse infatti a Terzi e ai due fratelli il diritto di subentrare nomine feudi in tutti i beni e le giurisdizioni dello scomparso signore parmense, a cominciare dagli immobili posseduti in città, per continuare poi con i castelli di Guardasone, Montelugolo, Scalucchia, Bazzano, Cimiato e Colorno nel territorio. E, ancora, con le rocche di Rossena, Sassatello e Gombio, site nel Reggiano, nonché con tutte le terre arative, boschive e a pascolo possedute da Giberto tra Castelnuovo di Sotto, Medesano, Gualtieri, e quelle tra Guastalla e Boretto, queste ultime in diocesi di Cremona. Da notare che già intorno al 1400 il duca aveva permesso ai Terzi di acquisire i vassalli e i diritti che Giberto da Correggio possedeva nella castellania di Nigone.
La notizia della scomparsa di Gian Galeazzo (3 settembre 1402) raggiunse Terzi mentre da Bologna pianificava l’offensiva contro Firenze: si portò in gran fretta in Lombardia, ma questo non impedì che i fratelli da Correggio riuscissero a riprendere il controllo di alcuni castelli già di famiglia e da Visconti concessi ai Terzi. Anche per questo il 29 novembre 1402 Terzi si premurò di ottenere dalla duchessa madre Caterina il rinnovo dell’investitura del 29 luglio.
Pur in un quadro politico di grande incertezza, che aveva spinto altri capitani a cambiare schieramento, Terzi, benché guelfo, decise di non abbandonare il fronte visconteo, cui lo legavano tanti interessi, a cominciare dai suoi domini territoriali, che proprio entro i confini del Ducato insistevano. Semmai, cercò di sfruttare a proprio vantaggio la debolezza dello Stato. Si adoperò dunque per riportare l’ordine nelle tante terre – dall’Umbria, alla Bergamasca, fino al Bresciano – dove alla morte di Gian Galeazzo si erano liberate forze centrifughe. Al tempo stesso cominciò a gettare le basi per la fondazione di un ampio dominio signorile: nel luglio del 1403 la nomina a commissario ducale per Parma, Piacenza, Reggio, Borgo San Donnino, Fiorenzuola, Borgo Val di Taro, Pontremoli e Castell’Arquato conferì una patina di legittimità alla sua azione nelle aree di più diretto interesse per i Terzi.
A Parma, dopo aver trasformata la squadra (cioè la fazione) dei Correggio in squadra dei Terzi e dopo essersi rappacificato con Pietro Rossi (che per un certo tempo aveva tenuto anche prigioniero nell’autunno del 1403) si fece eleggere signore insieme a quest’ultimo il 14 marzo 1404, dando vita a un incomodo condominio, destinato a concludersi con la cacciata dei Rossi solo pochissimi mesi dopo. Il giorno dopo l’assunzione della signoria in Parma, Terzi entrò anche in Piacenza, cacciandone Manfredo Scotti e facendosi proclamare dominus, salvo dover cedere dopo appena due mesi il governo della città a Francesco Visconti. Quanto alla terza città controllata da Terzi, Reggio, l’elezione a signore di Reggio fu decisa dal Consiglio generale il 29 giugno 1404. Qui Terzi si appoggiò a due influenti capiparte, ben radicati anche nel contado: Guido da Canossa e Carlo da Fogliano, di cui il 2 dicembre 1405 sposò la figlia Francesca (nell’agosto era scomparsa la sua prima moglie, Orsina).
A favore di questi sviluppi signorili giocava la debolezza dei Visconti: quella politica innanzitutto, ma anche quella finanziaria, che aveva impedito di liquidare Terzi per i servizi militari prestati e che costrinse il duca e la duchessa madre a ingenti concessioni. Terzi del resto, sapeva come esercitare pressione sui suoi debitori: nel 1403 fu assoldato da Venezia per recuperare dall’Estense il Polesine di Rovigo, mentre al principio del 1404 avviò trattative anche con Firenze. Nel novembre del 1404 Terzi risultava ancora al soldo di Venezia, adesso impegnato sul fronte padovano, contro Francesco da Carrara il Novello. Il 29 settembre 1405 i fratelli Terzi furono creati cittadini veneziani e ammessi al Maggior Consiglio. Nel marzo 1406 Terzi intratteneva invece rapporti con Firenze, da cui avrebbe ricevuto 25.000 fiorini per non prestare soccorso a Pisa.
Di fronte all’ondivago atteggiamento del capitano, i Visconti si rassegnarono a concessioni sempre più onerose. Già il 2 dicembre 1403 la duchessa aveva assegnato a Terzi la terra e il castello di Brescello, con il diritto di dazio e pedaggio sul Po quale pegno e ipoteca per un credito di 30.000 fiorini. Ancora pochi mesi e l’8 settembre 1404 anche Parma fu data in pegno, concessione poi rinnovata il 4 ottobre 1406, quando il debito dei Visconti, ormai salito a 78.000 fiorini, indusse il giovane duca a cedere – e questa volta a titolo feudale – anche Reggio, eretta per l’occasione in contea, con anche Brescello, Castelnuovo e Cavriago.
Ma Terzi accarezzò anche il disegno di estendere i propri domini al di là del Po: nell’estate del 1405 sostenne l’impresa di Cabrino Fondulo contro Carlo Cavalcabò (imparentato con i Rossi, nemici di Terzi), sperando così di avere Cremona. In realtà, l’unica terra su cui mise le mani fu Casalmaggiore, poi ceduta nel 1409 a Venezia. Sempre nel 1405 sostenne l’offensiva di Francesco Visconti contro Lodi, ma i dissidi sorti tra i due indussero Terzi ad abbandonare l’impresa.
Rispetto alla complessa partita che si giocava a Milano (a corte e in città), Terzi maturò una decisa ostilità verso la fazione ghibellina che, forte del sostegno militare di Facino Cane, all’inizio del 1407 era riuscita a imporsi al giovane duca. Raccogliendo la richiesta d’aiuto dei guelfi milanesi e la chiamata di Iacopo Dal Verme, Terzi sconfisse Facino presso Binasco (21 febbraio) e lo costrinse alla fuga. Durante la sua permanenza in Milano solo la ferma opposizione di Iacopo Dal Verme gli impedì di compiere una strage di ghibellini. Contrariato da quegli sviluppi, Terzi si rassegnò, ma fece comunque sapere che non avrebbe ritirato le truppe finché il duca non avesse onorato il debito per il soccorso prestato. Pur insoddisfatto della cifra ottenuta (100.000 fiorini e 400 buoi), lasciò infine la città ambrosiana, dove i cittadini minacciavano una ribellione.
Lasciata Milano, Terzi andò dapprima a Monza, dove liberò Estorre Visconti, quindi nel Parmense, dove affrontò nuovi scontri. Il 20 giugno 1407 sottrasse infatti ai Pallavicino Torre dei Marchesi, da quel momento rinominata Castelguelfo. Nelle settimane seguenti trovò tuttavia un accordo con i Pallavicino, cui restituì alcuni castelli, tra cui Scipione, ottenendo in cambio Borgo San Donnino, di cui si intitolò da quel momento marchese. In settembre Terzi si portò, dietro incarico del Visconti, a Piacenza, cacciando Facino Cane e saccheggiandola prima di restituirla al duca.
Si riferisce a questo episodio l’aneddoto raccontato da Antonio Cornazzano, secondo cui Terzi, mai pagato dal Dal Verme (che si era reso mallevadore dell’impegno finanziario del duca di Milano verso Terzi), commissionò un ritratto infamante di Iacopo, che un armigero doveva sempre portare appeso alle spalle (Vita di Bartolomeo Colleoni, a cura di G. Crevatin, 1990, p. 114).
Dopo un susseguirsi di tensioni e scaramucce con l’Estense almeno dal 1407, Terzi lanciò nell’aprile del 1408 un’offensiva contro il Modenese e vana si rivelò la mediazione di Venezia. A quel punto, però, in tanti percepirono il conte di Reggio come un elemento destabilizzatore: sorse così una lega che includeva l’Estense, il duca di Milano, il marchese di Mantova, Pandolfo Malatesta, Cabrino Fondulo e il legato pontificio e il cui obiettivo era giungere «ad finale exterminium, consumptionem et depositionem» di Terzi, apertamente definito «hostis publicus» e «perturbator pacis» (L.A. Muratori, Delle antichità estensi..., II, 1776, pp. 174-178). Ormai sempre più isolato, Terzi si ritrovò contro anche Iacopo Dal Verme, che nel settembre del 1408 mandò anzi a Parma un sicario per eliminarlo e per questo fu oggetto di un’altra pittura infamante commissionata da Terzi, che lo volle raffigurato in Parma impiccato per un piede.
Risale a quel tempo il riavvicinamento di Terzi con Facino Cane, che al duca di Milano «domandava 50.000 fiorini per sé e altrettanti per messere Ottobon terzo, e molti altri patti non onesti» (Bartolomeo della Pugliola, Cronica universalis, 1731, col. 596). La risposta fu nel marzo 1408 una nuova lega, comprendente, oltre a Giovanni Maria e Filippo Maria Visconti, il governatore francese di Genova, quello di Asti, il marchese di Monferrato, Amedeo VIII di Savoia e Ludovico di Savoia, principe di Acaia. Al principio del 1409 si sparse la voce che Terzi fosse stato assoldato da Ladislao d’Angiò Durazzo. In realtà, Terzi era in quei mesi impegnato contro l’Estense, che aveva frattanto nominato capitano generale Muzio Attendolo Sforza. In novembre, durante uno scontro, fu catturato Michelotto Attendolo, tenuto diversi mesi prigioniero a Parma in condizioni assai dure – «e ogni giorno li faceva sopra la persona gittare de l’acqua fredda» (B. Corio, Storia di Milano, cit., p. 1015) – prima che riuscisse a scappare.
Il conflitto continuò anche al principio del 1409, finché Terzi e l’Estense decisero di trattare. I due si incontrarono il 27 maggio a Rubiera, tra Modena e Reggio. Accompagnato dai fedeli Carlo da Fogliano, Guido Torelli e Francesco da Sassuolo e da un seguito di alcune decine di uomini, Terzi raggiunse il ponte della Vallesella, dove lo attendevano il marchese d’Este con i suoi. Dallo schieramento ferrarese si staccò improvvisamente Micheletto Attendolo, che colpì a morte Terzi, con un gesto dietro il quale si è visto non solo l’interesse di Niccolò III d’Este, ma anche il desiderio di vendetta di Micheletto, a motivo della dura prigionia cui era stato sottoposto. Del cadavere di Terzi fu quindi fatto orribile scempio: la testa fu portata dai Rossi al castello di Felino, mentre il resto del corpo, diviso in quarti, fu appeso alle porte di Modena. Non sarebbero mancati nemmeno episodi di cannibalismo (Manni, 1925, pp. 167 s.). Pio II ricorda di avere udito da fanciullo un cantare in morte di Terzi (T. Casini, Studi di poesia antica, 1913, pp. 273 s.).
A Terzi si deve la riforma degli statuti di Reggio e dei consigli di Parma, nonché un’interessante disposizione volta a favorire l’integrazione politica fra le due città: nel 1407, infatti, i rispettivi consigli municipali ratificarono la norma secondo cui ciascun abitante dell’una poteva possedere beni nell’altra. Contestualmente fu concessa la cittadinanza reggiana a cento cittadini di Parma e quella parmense a novanta cittadini di Reggio.
Terzi lasciò diversi eredi. Dall’unione con Francesca da Fogliano nacquero Niccolò Carlo (6 dicembre 1405), Caterina (1407) e Margherita (1408). Ma ebbe anche due figli naturali: Niccolò (poi detto ‘guerriero’), nato da Cecilia de Lapergola e legittimato il 25 novembre 1405 e Giorgio, che il 18 febbraio 1408 risultava promesso a Palma, figlia naturale, poi legittimata, di Ugolotto Biancardo.
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